ISSN 2385-1376
Testo massima
” La sussistenza, all’interno di un contratto, della clausola compromissoria con la quale si deferisce ad arbitri il potere di risoluzione delle eventuali controversie nascenti in relazione al contenuto dello stesso, è causa di improcedibilità del ricorso ma tale improcedibilità non investe e, pertanto, non determina l’inefficacia dell’eventuale domanda riconvenzionale spiegata dal convenuto“. (Tribunale di Verona Sez. IV Civ., 22/11/2012)
La mancata adesione ad una eccezione di incompetenza per effetto di una clausola compromissoria sulla base di argomenti pretestuosi, ed in parte contraddetti da un orientamento giurisprudenziale consolidato, senza farsi carico di addurre le ragioni di controparte per cui deve essere disatteso, induce a ritenere la difesa connotata da mala fede per cui può essere adottata la condanna ai sensi dell’art.96 cpc.
Con la menzionata sentenza, il giudice di prime cure, affronta l’ipotesi della sussistenza in ambito contrattuale di eventuali clausole compromissorie ed, in specie, della devoluzione ad arbitro e/o collegio arbitrale di eventuali controversie che possano insorgere tra i contraenti, in ordine allo stesso.
Il Tribunale, ne affronta il problema dal punto di vista processuale ovvero valutando se la presenza di tale clausola possa o meno determinare l’improcedibilità del ricorso e la contestuale procedibilità della riconvenzionale spiegata dal convenuto nella comparsa di risposta.
La fattispecie concerneva la richiesta di risoluzione, per grave inadempimento, di un contratto avente ad oggetto la realizzazione di un sito informatico con delle specifiche caratteristiche indicate dettagliatamente nello stesso.
Il contratto veniva impugnato dal contraente il quale eccepiva che le prestazioni contrattuali fossero state rese in modo scadente, con necessità di rivolgersi ad altro professionista e comunque realizzate oltre il termine di scadenza previsto dalle condizioni contrattuali. Nell’immediato si costituiva il convenuto eccependo che all’interno del contratto fosse presente una clausola compromissoria con la quale si deferiva ad arbitri l’eventuale risoluzione delle controversie insorgenti circa l’interpretazione ed esecuzione; altresì tale clausola rendeva l’inadempimento improponibile innanzi all’autorità giudiziaria.
Contestualmente il convenuto proponeva riconvenzionale chiedendo risarcimento da perdita di chance, per essersi dedicato esclusivamente alla realizzazione del sito commissionato perdendo, così, in questo frangente di tempo, altri potenziali clienti.
Il Tribunale, rigettava il ricorso per improcedibilità ed accoglieva la riconvenzionale spiegata dal convenuto condannando l’attore alla rifusione delle spese di lite dovute alla “condotta temeraria” ed altresì ad una ulteriore somma, calcolata in via equitativa, a titolo di risarcimento per perdita di chance.
Orbene, il giudice di prime cure ha sostenuto l’assoluta improcedibilità proprio a causa della presenza della menzionata clausola compromissoria e sulla base della circostanza che la doglianza sollevata dall’attore(nonché l’azione volta ad ottenere la risoluzione per grave inadempimento)sia da annoverare nell’alveo della cosiddetta fase di “esecuzione” del contratto.
Nel caso di specie il Tribunale, pur pervenendo ad una soluzione che risponde all’orientamento giurisprudenziale consolidato, appare aver trascurato un’importante valutazione ovvero: l’eventuale conoscenza della clausola compromissoria e l’approvazione di essa da parte dell’attore.
Invero, secondo un orientamento espresso già in passato dalla Cassazione: “in tema di condizioni generali di contratto, l’efficacia delle clausole onerose, tra cui rientra la clausola compromissoria istitutiva dell’arbitrato rituale, è subordinata alla specifica approvazione per iscritto, quando le dette clausole siano inserite in strutture negoziali predisposte da un contraente che esplichi attività contrattuale nei confronti di una pluralità di soggetti. La mera attività di formulazione del regolamento contrattuale va tenuta distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto, non potendo considerarsi tali le clausole contrattuali elaborate da uno dei contraenti in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio, ed a cui l’altro contraente possa richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto“(Cass. 29/02/2008 n. 5513).
Ragion per cui, nella fattispecie in oggetto, sarebbe stato opportuno analizzare anche la tipologia di contratto e la sua specificità, onde verificare la sussistenza della effettiva struttura negoziale predisposta(come specificato dalla Cassazione); altresì andava accertato se alla clausola compromissoria fosse stata data una autonoma, separata collocazione nel testo delle condizioni generali e la stessa clausola fosse stata seguita da distinta sottoscrizione del contraente in adesione (Cass. 06/02/2002 n. 1637).
Difatti, per le clausole compromissorie di cui all’art. 1341 non è sufficiente la conoscenza ovvero la conoscibilità del contraente che non le ha predisposte, ma occorre che le parti raggiungano un accordo specifico sul punto (Trib. Monza 01/07/2005).
Sulla base delle considerazioni svolte, quindi, la eventuale mancata specifica approvazione per iscritto della clausola compromissoria ex art. 1341 c.c potrebbe comportarne la nullità, eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, compresa la fase di legittimità innanzi la Cassazione ( Cass. 19/01/2000 n. 569; Cass. 20/01/1997 n. 534;Cass.15/02/1995 n. 1606).
Cadrebbe, pertanto, l’impalcatura costruita sulla “improcedibilità del ricorso” e, una volta sancita la nullità della clausola(ritenuta infondata l’eccezione sollevata circa la clausola compromissoria ed altresì fondata l’azione volta ad ottenere la risoluzione del contratto) potrebbe essere esclusa sia l’improcedibilità che la “temerarietà” dell’attore, con presunta “mala fede” rilevabile, per converso, in capo al convenuto.
Dott.ssa Valentina Zirafa
Testo del provvedimento
TRIBUNALE DI VERONA
SEZIONE IV CIVILE
SENTENZA 22 NOVEMBRE 2012
All’esito della discussione, il Giudice, dandone integrale lettura in udienza,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, sezione IV Civile, dott. Massimo Vaccari
definitivamente pronunziando nella causa civile di X. grado promossa con atto di citazione notificato in data 18 marzo 2011
DA
F. B. in qualità di titolare dell’impresa individuale X. Group & Partners Comunicazione di (P. I.V.A. OMISSIS) rappresentata e difesa dall’Avv. D. Montanari del foro di Verona
ATTRICE
CONTRO
A. R. in qualità di titolare della impresa individuale Y. (C.F. OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. N. Spagnol del foro di Verona
CONVENUTO
RILEVA CHE
L’attore ha convenuto in giudizio avanti a questo Tribunale il R. per sentir dichiarare risolto per grave inadempimento dello stesso il contratto, intercorso tra le parti e datato 7 ottobre 2010, avente ad oggetto la realizzazione da parte del convenuto di un sito informatico avente determinate specifiche, meglio descritte nello stesso accordo.
Il B., a migliore illustrazione delle ragioni della suddetta domanda e di quella conseguente di condanna del convenuto al risarcimento dai danni conseguenti al dedotto inadempimento, ha assunto che le prestazioni che il R. aveva reso erano risultate assai scadenti, tanto da indurre esso attore a rivolgersi ad un grafico esterno, e, per di più, non erano state ultimate nel termine massimo del 7 dicembre 2010 che era stato previsto a tal fine.
Il convenuto si è costituito in giudizio e, in via pregiudiziale di rito, ha eccepito la improponibilità delle domande di controparte alla luce della clausola compromissoria contenuta nel succitato accordo. In via preliminare di rito il R. ha eccepito la nullità dell’atto di citazione in quanto nell’avvertimento ai sensi dell’art. 163 n.7 c.p.c. era stato omesso il richiamo all’art. 38 c.p.c. e, in via preliminare di merito, la intervenuta decadenza dell’attore dalla denunzia dei vizi lamentati. Con riguardo al merito della controversia, ha resistito alla domanda avversaria assumendone la infondatezza.
In via riconvenzionale ha spiegato domanda di condanna dell’attore alla risarcimento di un danno da perdita di chance quantificato in euro 8.300,00 dal momento che, a suo dire, per dedicarsi alla realizzazione del progetto commissionatogli dal B. aveva rinunciato ad altri clienti.
Sempre in via riconvenzionale il convenuto ha chiesto la condanna dell’attore al pagamento in proprio favore della somma di euro 15.000,00 ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c.
La causa è giunta a decisione, dopo lo scambio delle memorie ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., in assenza di attività istruttoria, avendo il G.I invitato le parti alla precisazione delle conclusioni sulla eccezione pregiudiziale.
Ciò detto con riguardo alle prospettazioni delle parti va affermata la manifesta fondatezza della eccezione pregiudiziale sollevata da parte convenuta stante l’inequivoco contenuto della clausola compromissoria di cui al contratto concluso dalle parti in data 7 ottobre 2010 (doc. 1 di parte convenuta), che devolve ad un collegio arbitrale “ogni eventuale controversia concernente l’interpretazione e l’esecuzione del contratto” (si tratta dell’art. 5 del contratto).
Parte attrice ha sostenuto che tale previsione non è applicabile in quanto sarebbe stata travolta dall’intervenuta risoluzione del contratto.
Orbene tale assunto è non solo erroneo ma anche fuorviante per due distinte ragioni. Innanzitutto non vi è ancora stata una pronuncia risolutoria del succitato accordo, tant’è che lo stesso attore ha avanzato a questo Giudice una apposita domanda in tal senso. In ogni caso la presente controversia rientra tra quelle che sono state devolute agli arbitri con la pattuizione in esame, potendo agevolmente ricondursi a quelle “concernenti l’esecuzione del contratto” alle quali essa fa riferimento. E’ evidente infatti che il prospettato inadempimento del convenuto implica l’accertamento della integrale e tempestiva esecuzione delle obbligazioni che egli aveva assunto con quell’accordo.
Anche l’ulteriore obiezione della difesa dell’attore secondo cui l’eccezione di compromesso risulterebbe incompatibile con la proposizione da parte del convenuto di una domanda riconvenzionale giacchè questa implicherebbe rinuncia ad avvalersi della clausola arbitrale.
Sul punto è sufficiente richiamare l’insegnamento della Suprema Corte secondo cui: “La contestuale proposizione dell’eccezione di devoluzione della controversia in arbitri e della domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta non implica peraltro la necessità di subordinare espressamente la seconda al rigetto della prima, onde evitare che essa sia ritenuta rinunciata, in quanto l’esame della domanda riconvenzionale è ontologicamente condizionato al mancato accoglimento dell’eccezione di compromesso, essendo la fondatezza di quest’ultima incompatibile con l’esame della prima” (Cassazione civile, sez. I, 30/05/2007, n. 12684).
All’accoglimento della eccezione di parte convenuta consegue anche la condanna dell’attore alla rifusione delle spese di lite in favore della prima che si liquidano come in dispositivo in applicazione del criterio della soccombenza e facendo riferimento ai parametri introdotti dal d.m.140/2012 in conformità alle indicazioni date al riguardo dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Cassazione nn. 17405 e 17406 del 12 ottobre 2012.
Ai fini della relativa determinazione vanno presi a riferimento i valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento per le controversie di valore fino ad euro 25.000,00 per le fasi di studio, introduttiva e decisoria ed aumentati del 30 %, tenuto conto del livello di complessità della causa, come determinato dalle argomentazioni difensive svolte. Nulla può invece essere riconosciuto a titolo di compenso per la fase istruttoria che non vi è stata. Gli importi che vanno riconosciuti a titolo di compenso per le succitate fasi sono pertanto i seguenti: euro 715,00 per la fase di studio, euro 400,00 per la fase introduttiva ed euro 910,00 per la fase decisoria per un totale di euro 2.235,00 al quale vanno aggiunti, come richiesto, euro 2,66 per spese.
Merita invece di essere accolta la domanda avanzata dal convenuto ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c. di condanna dell’attore al pagamento in favore del convenuto di una somma equitativamente determinata. Tale norma presuppone, ad avviso di questo Giudice, che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ossia la sussistenza dei medesimi requisiti soggettivi di cui al X comma dell’art. 96 c.p.c.
Questa infatti è l’interpretazione più convincente, anche perché costituzionalmente orientata, della norma, risultando evidente che, se si prescindesse dai predetti requisiti, il solo agire o resistere in giudizio sarebbe sufficiente a giustificare la condanna, soluzione che pare in contrasto con il parametro dell’art. 24 Cost.
Nel caso di specie la considerazione che l’attrice ha insistito nel sostenere la proponibilità della domanda, quantunque avesse possibilità di aderire all’eccezione di controparte, sulla scorta di argomenti in parte pretestuosi ed in parte contraddetti da un orientamento giurisprudenziale consolidato, senza farsi carico di addurre le ragioni per cui quest’ultimo dovesse essere disatteso induce a ritenere la sua difesa connotata da malafede.
Non osta all’adozione della condanna ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c la circostanza che il giudizio abbia avuto una durata contenuta atteso che l’iniziativa giudiziaria dell’attore ha avuto comunque l’effetto indiretto di sottrarre tempo e risorse alla trattazione di altri giudizi.
La somma che si stima adeguata a sanzionare tale condotta, avuto riguardo al ravvisato elemento soggettivo e tenuto conto della durata contenuta del giudizio, pari ad un anno e mezzo, è quella di poco inferiore alla metà dell’importo riconosciuto a titolo di spese di lite, esclusi gli accessori.
PQM
Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, così decide:
– dichiara improponibili le domande dell’attore e per l’effetto lo condanna a rifondere al convenuto le spese di lite che liquida nella somma complessiva di euro 2.237,66, di cui 2.235,00 per compenso ed il resto per spese, oltre Cpa;
visto l’art. 96, comma terzo, c.p.c.
– condanna l’attore a corrispondere al convenuto l’ulteriore somma di euro 1.100,00.
Verona 22 novembre 2012.
Il Giudice Unico
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Numero Protocolo Interno : 51/2012