ISSN 2385-1376
Testo massima
In caso di modificazione contrattuale, non può ritenersi estinta la clausola risolutiva espressa, se il creditore ha manifestato tolleranza con comportamenti positivi o negativi. Né tale tolleranza può interpretarsi quale tacita rinuncia ad avvalersi della clausola risolutiva, se l’inadempimento si protrae.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.M.;
– ricorrente –
contro
ALFA s.p.a;
– controricorrente –
e contro
S.M.;
– controricorrente –
e contro
COSTRUZIONI s.r.l.;
– intimati –
e sul ricorso proposto da:
S.M;
– ricorrente in via incidentale –
contro
ALFA s.p.a.;
– controricorrente –
e contro
C.M.;
– controricorrente –
e contro
COSTRUZIONI s.r.l.;
– intimati –
e sul ricorso proposto da:
ALFA s.p.a.;
– ricorrente in via incidentale –
contro
C.M.;
– controricorrente –
e contro
S.M;
– intimati –
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma in data 20 ottobre 2011;
Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 25 marzo ed il 6 aprile 1996, C.M. esponeva che con contratto preliminare di compravendita del 27 luglio 1995 la soc. Edilizia a r.l., rappresentata da M.R., quale promittente, e la soc.Costruzioni a r.l., rappresentata da F.S., quale associata, gli avevano promesso in vendita, per il prezzo di L. 310.000.000, un immobile, sito in (OMISSIS), nel complesso residenziale in località (OMISSIS); che detto immobile era di proprietà della Immobiliare s.p.a., la quale, con contratto preliminare dell’8 aprile 1993, lo aveva promesso in vendita, per sé o per persona da nominare, alla Costruzioni s.r.l.; che quest’ultima aveva nominato esso C. quale acquirente.
Riferiva che, dopo avere pagato la complessiva somma di L. 110.000.000 ed essere stato immesso nel possesso del bene, aveva constatato, nel dicembre 1995, che l’immobile era stato ceduto dal M. alla società X a r.l., la quale aveva poi nominato promissario acquirente S.M.. Tanto premesso, non essendo riuscito ad ottenere dalla (OMISSIS) il trasferimento della proprietà, l’attore conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma la (OMISSIS), la (OMISSIS), la Costruzioni e la X, nonchè il M. ed il F. in proprio, chiedendo che:
(a) accertato e dichiarato che esso C. era il terzo acquirente nominato regolarmente dalla Costruzioni quale promissaria della Immobiliare, ora (OMISSIS), gli fosse trasferita, ex art. 2932 cod. civ., la proprietà dell’immobile; (b) venisse accertato l’obbligo solidale della (OMISSIS). e della E.Costruzioni a fare trasferire l’immobile ad esso attore nella sua consistenza attuale e reso conforme alle norme urbanistiche; (c) venisse accertato l’inadempimento contrattuale della E.G. e della E. e la responsabilità personale, per atti dolosi e colposi, degli amministratori M. e F., con condanna dei medesimi, in solido, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede.
Si costituiva la società (OMISSIS), la quale chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, che, accertato l’inadempimento della E. all’obbligo di pagamento del prezzo, la stessa società, o la persona dalla stessa legittimamente nominata, venisse condannata all’adempimento del contratto, con il pagamento del saldo del prezzo e l’accollo del mutuo. La (OMISSIS) si riservava di modificare la domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto, per il decorso del termine previsto in contratto per il pagamento del prezzo.
Si costituivano altresì, resistendo: la E.G. Edilizia e il M. in proprio; la X; nonchè, tardivamente, Costruzioni e il F. in proprio.
Nel giudizio cosi instaurato interveniva volontariamente S. M., il quale dichiarava di essere l’unico cessionario legittimato ad ottenere il trasferimento della proprietà dell’immobile in contestazione, essendo stato nominato promissario acquirente, in data 10 novembre 1995, dalla X (a sua volta nominata dalla Costruzioni, in data 20 aprile 1995, con comunicazione all’altra contraente Immobiliare s.p.a., che aveva prestato, il 3 maggio 1995, il proprio consenso alla cessione), e successivamente immesso nel possesso del bene, e chiedeva pertanto il rigetto della domanda formulata dall’attore ed il trasferimento in suo favore, ex art. 2932 cod. civ., della proprietà dell’appartamento, anche in via surrogatoria ex art. 2900 cod. civ., stante l’inerzia della società X e della società E.
Nel giudizio si costituiva la S.T. s.p.a., subentrata in tutti i diritti vantati dalla (OMISSIS) in liquidazione, la quale mutava la originaria domanda riconvenzionale, di adempimento del contratto preliminare dell’8 aprile 1993, in una domanda di accertamento della risoluzione del contratto, in forza della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto stipulato con la E.
L’adito Tribunale di Roma respingeva la domanda del C. per difetto di titolo contrattuale e cosi pure la domanda del S., attesa l’accertata non autenticità della firma apposta apparentemente dal legale rappresentante della E., F. S., nella lettera trasmessa il 20 aprile 1995 all’Immobiliare; in accoglimento della domanda della S.T., dichiarava risolto il contratto preliminare dell’8 aprile 1993 tra l’Immobiliare e la promissaria acquirente Costruzioni, per inadempimento di quest’ultima.
2. – La sentenza di primo grado veniva appellata, con distinti atti di impugnazione, dal S. e dal C.. Nel giudizio di gravame si costituiva soltanto la S.T.I., la quale proponeva appello incidentale.
2.1. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 20 ottobre 2011, ha respinto tutte le impugnazioni.
Con riguardo all’impugnazione del S., la Corte d’appello ha rilevato che questi aveva eccepito la tardività del disconoscimento effettuato dal F. solo in appello e, anzi, davanti al Tribunale, a seguito del disconoscimento tardivamente formulato dal F., aveva avanzato la richiesta di verificazione della scrittura; ed ha osservato che, a fronte della accertata non autenticità della sottoscrizione, la lettera, datata 20 aprile 1995, trasmessa all’Immobiliare, contenente apparentemente la nomina, da parte della promissaria acquirente (nel preliminare dell’8 aprile 1993) Costruzioni, della X, quale nuovo contraente nel contratto definitivo di trasferimento di proprietà dell’immobile per cui è causa, era priva di efficacia probatoria. Di qui l’inefficacia della successiva lettera del 10 novembre 1995, trasmessa dalla X all’Immobiliare e ricevuta da questa il successivo 16 novembre 1995, contenente l’indicazione del S. quale intestatario futuro dell’immobile.
Con riguardo al gravame del C., la Corte di Roma – respinta preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla difesa del S. – ha rilevato:
– che la scrittura datata 27 luglio 1995 era stata disconosciuta da uno dei contraenti, la E.G. Edilizia, in persona del legale rappresentante pro tempore M.R., e non era stata sottoposta a verificazione da parte del C., sebbene quest’ultimo avesse posto a base della sua domanda di trasferimento proprio tale scrittura;
– che in quest’ultima l’obbligazione principale di impegnarsi a trasferire la proprietà dell’immobile (peraltro dichiarato nello stesso contratto, nella prima parte, come di proprietà della E.G. e, nella parte relativa alle modalità di pagamento del prezzo, come di proprietà della Immobiliare) al C. venne assunta esclusivamente dalla E.G., indicata ripetutamente nel corpo dell’atto come sola parte promittente, essendo menzionata la Costruzioni, nella stessa scrittura, quale semplice associata temporanea alla parte promittente E.G.;
– che, a fronte della mancata verificazione dell’autografia della sottoscrizione effettuata da parte del M., correttamente il Tribunale ha ritenuto la scrittura del 27 luglio 1995 come non riconosciuta ed inidonea a costituire valido fondamento della domanda di trasferimento ex art. 2932 cod. civ. del C.
La Corte d’appello ha poi confermato la sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita stipulato l’8 aprile 1993 per inadempimento della promissaria acquirente Costruzioni s.r.l.. A tal fine la Corte territoriale ha considerato il decorso del termine previsto nel contratto per il pagamento del prezzo (essendo stata versata dalla promissaria acquirente Costruzioni soltanto la caparra di lire 124.000.000 a fronte di un corrispettivo di lire 310.000.000 e della previsione contrattuale del versamento del residuo prezzo tra luglio e dicembre 1993) e ha rilevato che non erano stati dedotti fatti o comportamenti dell’Immobiliare idonei a provare la volontà inequivoca della società di rinunciare all’esercizio della facoltà di avvalersi della clausola risolutiva contemplata nell’art. 20 del preliminare.
In ordine all’appello incidentale della S.T., con il quale la società aveva chiesto che venisse accertato il suo diritto a trattenere la caparra, la Corte d’appello ha rilevato che la domanda della convenuta di incameramento della caparra confirmatoria ricevuta non era stata reiterata (insieme alla domanda di risarcimento) dalla S.T. in sede di conclusioni, sicché essa doveva ritenersi rinunciata e non esaminabile.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso principale il C., con atto notificato il 15 ed il 16 maggio 2012, con due motivi di censura.
Hanno resistito, con controricorso, il S., la ALFA (già S.T.I.), mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Il S. e la ALFA hanno a loro volta proposto ricorso incidentale, affidato, rispettivamente, a quattro motivi e a un motivo.
Il C. ha resistito con controricorso ad entrambi e la ALFA ha resistito con controricorso al ricorso incidentale del S..
In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie il C. e la ALFA.
Motivi della decisione
1. – Preliminare in ordine logico è l’esame del quarto motivo del ricorso incidentale S. (relativo all’eccezione da lui sollevata – e rigettata dalla Corte territoriale – sull’inammissibilità dell’appello proposto da C.), con cui si prospetta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 152, 153 e 331 cod. proc. civ. La Corte d’appello – si assume – non poteva disporre la rinnovazione della notificazione dell’appello ma doveva rilevare l’inosservanza del termine perentorio e, quindi, dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione del C. a norma dell’art. 331 c.p.c., comma 2, in quanto il C., pur avendo chiesto il nuovo termine per provvedere alla notificazione, non aveva allegato alcuna ragione di impossibilità di osservare il primo termine per causa a lui non imputabile.
1.1. – Il motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata risulta la seguente scansione procedimentale:
– con ordinanza del 6 marzo 2009 la Corte d’appello ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del S. al quale non era stato notificato l’appello del C.;
– quest’ultimo ha quindi notificato l’atto di appello al procuratore del S.;
– poichè era decorso l’anno dalla pronuncia della sentenza impugnata e la notifica avrebbe dovuto essere effettuata nei confronti della parte personalmente, la Corte d’appello, rilevata la nullità della notifica per l’integrazione del contraddittorio, ha concesso un nuovo termine per la notifica, che è stato rispettato.
Ciò stando, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che il termine per il rinnovo della notifica poteva essere concesso e che il rinnovo della notifica ha sanato la nullità verificatasi.
Va infatti data continuità al principio di diritto secondo cui, nei giudizi di impugnazione, la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente e non già al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata; tuttavia la notificazione fatta al procuratore, integrando una mera violazione della prescrizione in tema di forma, e non già l’impossibilità di riconoscere nell’atto la rispondenza al modello legale della sua categoria, da luogo a una nullità sanabile, con conseguente operatività del rimedio della rinnovazione (Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2006, n. 2197).
2. – Passando, a questo punto, all’esame del ricorso principale, con il primo motivo (motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punti controversi e decisivi per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1456 cod. civ.) il C. deduce che la motivazione della Corte di merito è viziata dall’erroneità del presupposto, perchè il titolo scritto contrattuale della richiesta di trasferimento della proprietà dell’immobile non è il preliminare del 27 luglio 1995, sottoscritto dal C. con la E.G. e la Costruzioni, ma quello in data 8 aprile 1993, tra la Costruzioni e la proprietaria promittente, Immobiliare ora S.T.., nel quale il C. è parte quale acquirente nominato ex art. 1401 cod. civ. In subordine, il ricorrente in via principale si duole che la sentenza abbia qualificato la scrittura del 27 luglio 1995 come una promessa di vendita dell’immobile del terzo Immobiliare da parte della E.G., “e non come promessa della Costruzioni di trasferire al C. il suo status di promissaria acquirente nel preliminare del 1993”, omettendo di indagare sulla comune intenzione delle parti, in violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, e mal valutando la posizione rispettiva della Costruzioni e della E.G. quale “associate” nel contratto, in relazione alla normativa dell’art. 2549 cod. civ..
2.1. – Il motivo – scrutinatale nel merito perchè proposto nel rispetto delle prescrizioni formali dettate dall’art. 366 cod. proc. civ. – è fondato.
Il ricorrente in via principale addebita alla sentenza impugnata di non avere considerato che, “anche indipendentemente dalla scrittura del 27 luglio 1995”, la “legittimazione” del C. a pretendere la sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. deriverebbe da un altro titolo, contemporaneamente fatto valere sia in primo grado che in appello, ossia dall’essere egli “terzo acquirente nominato dalla Costruzioni s.r.l. e cessionario nel contratto preliminare di compravendita in data 8 aprile 1993 stipulato con la Immobiliare s.p.a. ora S.T. s.r.l.”.
Su questo titolo ulteriore, che, nella prospettazione del ricorrente, avrebbe giustificato la richiesta sentenza costitutiva, manca, nella decisione impugnata, una pronuncia della Corte d’appello, la quale si è limitata a confermare “le conclusioni del Tribunale che, a fronte della mancata verificazione dell’autografia della sottoscrizione effettuata da parte del M., quale legale rappresentante della E.G., ha ritenuto la scrittura del 27 luglio 1995 come non riconosciuta ed inidonea a costituire valido fondamento della domanda di trasferimento”, giudicando i restanti “rilievi mossi dal C.” “assorbiti” da queste argomentazioni.
Cosi decidendo, la sentenza impugnata non ha tenuto conto – incorrendo in un vizio di omessa pronuncia derivante dall’errore nell’interpretazione della domanda azionata in giudizio – dello specifico motivo di censura (pag. 6 dell’atto di appello) con cui si deduceva che il titolo alla sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. derivava anche dalla “lettera della Costruzioni alla Immobiliare in data 21 novembre 1995 che, comunicando di aver trasferito i diritti e obblighi inerenti all’immobile di cui in oggetto, vale anche come cessione dello status di promissario acquirente nel preliminare 8 aprile 1993, ed è confermata dalla lettera 22 novembre 1995, che ribadisce alla società promittente di aver ceduto in data 27 luglio 1995 il contratto preliminare sottoscritto a suo tempo”.
3. – Con il secondo motivo del ricorso principale (motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria; violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 cod. civ.) ci si duole che la sentenza impugnata abbia confermato la risoluzione ex art. 1456 cod. civ. del preliminare di compravendita in data 8 aprile 1993, per colpa della Costruzioni, rigettando il secondo motivo di appello, con cui era stata dedotta la rinuncia della Immobiliare ad avvalersi della clausola risolutiva ed era stato negato l’inadempimento della E.
3.1. – La doglianza è, in parte, fondata.
3.2. – La Corte d’appello – nel confermare la pronuncia del Tribunale – ha escluso che sia stata raggiunta la prova di una rinuncia, sia pure tacita od implicita, della Immobiliare (poi S.T.) ad avvalersi della clausola risolutiva.
Trattasi di quaestio voluntatis la cui risoluzione è stata condotta dalla Corte distrettuale in modo da escludere ogni ragionevole dubbio sull’effettiva intenzione del preteso rinunciante. Con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, i giudici di merito hanno infatti sottolineato: che l’Immobiliare ha indubbiamente avuto un iniziale atteggiamento tollerante, al manifestarsi dei primi conflitti tra i vari soggetti che rivendicavano il proprio titolo ad essere parti del futuro contratto definitivo di compravendita, nel corso del 1995, dovuto alla necessità di ricercare comunque una soluzione che conservasse possibilmente gli effetti del contratto previo chiarimento delle posizioni di tutti i soggetti coinvolti; e che la stessa Immobiliare tuttavia, già con la costituzione in giudizio, nel maggio 1996, aveva manifestato la propria volontà, sia pure subordinatamente, di avvalersi della clausola risolutiva espressa, tanto più a fronte di un inadempimento che perdurava da tempo (in ragione del mancato pagamento del saldo prezzo, che avrebbe dovuto essere effettuato entro un anno dalla sottoscrizione del preliminare, e anche del mancato accollo del mutuo contratto con la BNL a decorrere dal 1 gennaio 1994).
Tale essendo la situazione inoppugnabilmente emergente dalla ricostruzione fatta dai giudici del merito, la sentenza impugnata si è attenuta, correttamente, al principio secondo cui, in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento (Cass., Sez. 3, 15 luglio 2005, n. 15026; Cass., Sez. 3, 14 febbraio 2012, n. 2111).
3.3. – Coglie, invece, nel segno, sotto il profilo del vizio di motivazione, la censura (articolata a pag. 19 del ricorso, in fine) con cui si addebita alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della sopravvenuta inconciliabilità della clausola risolutiva espressa con il novello reticolo contrattuale.
Si tratta, anzitutto, di censura scrutinabile: sia perchè non si tratta di questione nuova (avendo il C. già posto all’attenzione della Corte d’appello il rilievo che “i pagamenti previsti nel luglio/dicembre 1993 furono sostituiti dall’accollo del mutuo negoziato dalla Immobiliare e da effettuarsi all’atto della compravendita, per la cui stipula non è indicato un termine finale”: v. pag. 9 del libello introduttivo del gravame); sia perchè veicolata con il puntuale e specifico richiamo dei documenti che la Corte distrettuale avrebbe omesso di valutare (v. pag. 16, in fine, del ricorso per cassazione).
Tanto premesso, i giudici di secondo grado non hanno adeguatamente motivato sul se la clausola risolutiva espressa, attivata dalla S.T.I. (subentrata in tutti i diritti vantati dalla F.) ed attinente al mancato pagamento cosi come disciplinato inizialmente nel contratto (residuo prezzo da versarsi tra luglio e dicembre 1993), fosse compatibile con la sopravvenuta lettera della (OMISSIS) 95 in data 20 luglio 1995 (e richiamata dalla lettera (OMISSIS) in data 22 novembre 1995), prevedente che il pagamento avvenisse attraverso accollo di mutuo ed alla stipula del definitivo.
In questi limiti il motivo è fondato.
4. – Con il primo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 cod. civ., nonchè insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio), il ricorrente in via incidentale S. lamenta che la Corte di merito non abbia considerato che il fatto dell’accettazione della nomina di X da parte della Immobiliare, cioè da parte della promittente venditrice, comunicata a Costruzioni, promissaria acquirente, e da questa non opposta, era costitutivo dell’accordo delle parti e che, sebbene la nomina di X fosse contenuta in una lettera apocrifa, l’accettazione della nomina (costituente proposta contrattuale), pervenuta alla nominante e da questa non contestata, aveva determinato la conclusione del contratto di nomina del terzo e di cessione del contratto preliminare in data 8 aprile 1993. In questa prospettiva, la nomina di X – si assume – doveva considerarsi valida ed efficace ed era di conseguenza efficace anche la nomina del S. trasmessa dalla X alla Immobiliare.
4.1. – La censura è infondata.
La Corte distrettuale ha motivato il percorso argomentativo, privo di mende logiche e giuridiche, delle conclusioni cui è pervenuta:
accertando che la lettera in data 20 aprile 1995 della Costruzioni, promissaria acquirente nel preliminare 8 aprile 1993, alla Immobiliare, promittente venditrice, contenente l’apparente nomina della X quale nuovo contraente nel contratto definitivo di trasferimento di proprietà dell’immobile, è priva di efficacia probatoria nel giudizio, essendone stata accertata la non autenticità della sottoscrizione; ritenendo, di conseguenza, inefficace anche la successiva lettera in data 10 novembre 1995, trasmessa dalla X alla Immobiliare e da questa ricevuta il successivo 16 novembre 1995, contenente l’indicazione di S. quale intestatario futuro dell’immobile.
La censura del ricorrente in via incidentale insta, sostanzialmente, per la non consentita sovrapposizione del giudizio di legittimità a quello del giudice di merito riguardo al materiale probatorio valutato, con congrua motivazione, da quest’ultimo.
5. – Con il secondo mezzo (insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio), il S. censura che la Corte di merito non si sia fatta carico delle specifiche note critiche mosse dal consulente tecnico di parte alla relazione del c.t.u. in punto di non autenticità della firma apposta dal F., neppure esaminate dallo stesso consulente d’ufficio.
5.1. – La doglianza è inammissibile, perchè non accompagnata dalla puntuale indicazione di quali fossero le specifiche note critiche del consulente di parte che il consulente tecnico d’ufficio, prima, ed il giudice del merito, poi, avrebbero omesso di valutare (Cass., Sez. 3, 6 settembre 2007, n. 18688).
6. – Il terzo motivo del ricorso incidentale del S. (violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1456 cod. civ. ) deduce che la Corte di merito avrebbe dovuto respingere la domanda di risoluzione del contratto preliminare proposta da S.T.I., rilevando l’inammissibilità della variazione della domanda di adempimento in quella di risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1456 cod. civ..
6.1. – Il motivo è infondato.
Va innanzitutto osservato che la Corte d’appello ha sottolineato che “non sono stati formulati specifici rilievi in ordine all’ammissibilità del mutamento da parte della S.T.I. della domanda di adempimento in quella di risoluzione”.
Questa statuizione della Corte d’appello avrebbe dovuto essere più propriamente censurata sotto il profilo dell’error in procedendo, con l’evidenziazione, nel ricorso, che, in realtà, contro il capo della pronuncia di primo grado, contenente la declaratoria di intervenuta risoluzione del contratto a seguito dell’attivazione, da parte del creditore, della clausola risolutiva, era stato mosso un motivo di appello specifico, nel rispetto dell’art. 342 cod. proc. civ., anche sul punto della ritenuta ammissibilità di detta domanda una volta che era stato chiesto l’adempimento.
In ogni caso, nel merito la censura è infondata.
Invero, nulla osta a che il creditore, dopo avere chiesto in giudizio l’adempimento della prestazione, possa, nel corso della causa iniziata per conseguire la manutenzione del contratto, avvalersi della clausola risolutiva espressa, non essendovi alcuna ragione per negare lo ius variandi ammesso in generale dall’art. 1453 c.c., comma 2. Infatti, finchè il contratto non sia risoluto (e ciò si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva), il creditore ha diritto di optare per l’adempimento: e questa sua richiesta, come non gli preclude la facoltà di agire giudizialmente in risoluzione con l’apposita azione costitutiva ex art. 1453 cod. civ., cosi non gli impedisce neppure la facoltà di instare per lo scioglimento del contratto in correlazione con la clausola risolutiva espressa, di cui intenda avvalersi.
Tale caso è infatti diverso da quello in cui, proposta azione ordinaria di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 cod. civ., la parte, nel corso del processo, promuova un’azione – differente per presupposti, carattere e natura – di risoluzione del contratto in applicazione dell’art. 1456 cod. civ., e quindi miri ad una pronuncia dichiarativa in conseguenza dell’esplicita dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (Cass., Sez. 3, 5 gennaio 2005, n. 167; Cass., Sez. 2, 12 gennaio 2007, n. 423).
Quanto all’ulteriore deduzione, contenuta nel motivo di ricorso, circa le modalità di pagamento del prezzo che sarebbero mutate e circa l’avvalimento da parte della S.T.I. di una clausola risolutiva in relazione ad un inadempimento non più esistente, si tratta di censura che (sia pure parzialmente sovrapponibile con il secondo motivo del ricorso principale del C.) non può trovare ingresso: sia perchè articolata soltanto sotto il profilo del vizio di violazione di legge (laddove essa avrebbe dovuto essere proposta sotto il profilo del vizio di motivazione), sia perchè non accompagnata, in violazione del principio di autosufficienza, dall’indicazione puntuale e specifica del testo dei documenti contrattuali su cui si sarebbe appuntato l’errore di valutazione della Corte territoriale.
7. – Per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale resta assorbito l’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale della ALFA (violazione e falsa applicazione dell’art. 189 cod. proc. civ.), con cui ci si duole che la Corte d’appello non abbia esaminato la domanda sulla legittimità dell’incameramento della caparra, ritenendola rinunciata per non essere stata riproposta in sede di conclusioni.
8. – Il ricorso principale è accolto nei sensi di cui in motivazione.
Il ricorso incidentale del S. è rigettato. Il ricorso incidentale della ALFA è assorbito. La sentenza impugnata è cassata, e la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte cosi provvede:
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso principale del C.;
rigetta il ricorso incidentale del S.;
dichiara assorbito il ricorso incidentale della ALFA;
cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la relativa causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2013
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Numero Protocolo Interno : 691/2013