ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione ha ritenuto che gli avvocati nel caso in cui il giudizio non abbia ad oggetto fatti attinenti all’esercizio della professione non hanno diritto alla PREVENTIVA COMUNICAZIONE di iniziative giudiziarie nei loro confronti, dovendosi equiparare in questo caso gli avvocati ai comuni cittadini.
Ne discende, quindi, che non commette alcuna violazione deontologica ex art. 22, comma quarto, codice deontologico forense, l’AVVOCATO che conviene in giudizio il collega, senza una preventiva comunicazione, nel caso in cui i fatti di causa in cui risulta essere convenuto quest’ultimo, non siano inerenti alla professione forense, trattandosi di circostanze per cui non è necessaria l’iscrizione all’albo degli avvocati.
Ai fini della competenza territoriale, relativamente agli illeciti disciplinari, il luogo in cui è stato commesso il fatto coincide con il luogo in cui è stato convenuto in giudizio senza tempestiva comunicazione scritta preventiva, dato che solo, a seguito dell’instaurazione del giudizio, si perfeziona l’illecito disciplinare in parola.
Il caso
Il Consiglio Nazionale Forense aveva inflitto la sanzione della censura per la ingiustificata piena omessa comunicazione, in danno di un avvocato che aveva proposto un giudizio nei confronti di un collega senza un preventivo avviso a norma dell’art.22 del Codice deontologico.
Il detto legale aveva proposto ricorso per cassazione sul presupposto di aver convenuto in giudizio il collega per fatti non attinenti alla professione forense.
La decisione
La Corte di Cassazione ha ritenuto che gli avvocati non hanno diritto, nel caso in cui il giudizio non abbia ad oggetto fatti attinenti alla professione, alla PREVENTIVA COMUNICAZIONE di iniziative giudiziarie nei loro confronti, dovendosi equiparare in questo caso gli avvocati ai comuni cittadini.
Ne discende quindi che non commette violazione deontologica l’avvocato che cita il collega nel caso in cui i fatti del giudizio in cui risulta essere convenuto non siano fatti inerenti alla professione forense, perché circostanze per cui non è necessaria l’iscrizione all’albo degli avvocati.
Nella specie sottolinea la Suprema Corte l’illecito disciplinare era da escludersi in considerazione del fatto che l’attività svolta dall’avvocato convenuto , quella di gestione del patrimonio di Tizio, non aveva ad oggetto fatti attinenti all’esercizio della professione, bensì come detto, dalla gestione del patrimonio, per cui la detta attività è da equiparare a quella svolta da un comune cittadino.
Nel caso di illeciti disciplinari commessi dagli avvocati, competente territorialmente per decidere il giudizio sarà il Giudice del luogo dove l’avvocato è stato convenuto senza preventiva comunicazione, in quanto l’illecito disciplinare si perfeziona solo nel momento dell’instaurazione del giudizio.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA
sul ricorso 17549/2011 proposto da:
AVVOCATO ROSSO
RICORRENTE
CONTRO
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORINO, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI TORINO;
INTIMATI
AVVERSO
PROVVEDIMENTO DECISIONE
ENTE EMITTENTE CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
DATA 13/12/2010
NUMERO 200
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’avv. ROSSO propone ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, affidato a tre motivi, avverso la decisione del CNF che, in parziale modifica della decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, gli ha inflitto la sanzione dell’avvertimento.
Il COA di Torino, a seguito di esposto dell’avv.VERDE ed all’esito di complessa attività di indagine relativa alla pubblicazione sul (OMISSIS) del contenuto sintetico della citazione, notificata il 1.6.2007, che la cliente dell’avv.ROSSO aveva proposto a carico dell’esponente ebbe a contestare all’avv. ROSSO la violazione dell’art.18, 2 cpv e art.22, 2 cpv del CDF per avere proposto il giudizio verso il collega senza prima avvisarlo, per avere dato alla stampa notizia della proposizione prima del deposito degli atti allegati alla citazione, per avere abusato del nome della cliente per accreditare la propria competenza professionale.
Con decisione 2.10.2008 il COA di Torino ha quindi inflitto la sanzione della censura, affermando la propria competenza territoriale e ravvisando le contestate violazioni del CDF. Il CNF adito dall’Avv.ROSSO con decisione 13.12.2010 ha attenuato la sanzione in quella dell’avvertimento dopo aver condiviso la statuizione del COA sulla competenza territoriale: ha invero affermato la piena sussistenza dei profili di cui all’art.22, 2 cpv. del CDF (la ingiustificata piena omessa previa comunicazione al collega della citazione), quanto al capo 1), e dell’art.18, 2 cpv, quanto al capo 3), relativo al comunicato stampa del 31.5.2007. Il CNF ha invece assolto l’incolpato Avv.ROSSO dalla censura afferente la comunicazione al (OMISSIS) della azione intrapresa (capo 2).
Per la cassazione di tale decisione l’avv. ROSSO ha proposto ricorso 23.6.2011 censurando la decisione stessa per eccesso di potere, per vizio di motivazione e per violazione della regola della competenza territoriale (che avrebbe visto radicata in Milano la competenza del COA a decidere).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il TERZO MOTIVO, da esaminare preliminarmente pur tenuto conto delle considerazioni del professionista riguardo ai motivi per cui tale tema è trattato in ricorso per ultimo, sotto il profilo della violazione del RDL 27 novembre 1933, n.1578, art.38, comma 2, il ricorrente contesta la competenza dell’Ordine torinese, assumendo che tanto l’illecito di cui all’art.22 del CDF, quanto quello di cui all’art.18, contestato al capo 3), si sarebbero compiuti a (OMISSIS).
1.1.- Il mezzo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Per quanto riguarda l’incolpazione di cui al capo 1, è infatti evidente – in ciò correggendo la motivazione della decisione del CNF, ai sensi dell’art.384 cpc, uc, – che il luogo in cui è stato commesso il fatto non può che coincidere, in relazione all’art.22, comma 2, del CDF, con il luogo in cui l’avvocato è stato convenuto in giudizio senza tempestiva comunicazione scritta preventiva, in quanto solo con l’instaurazione del giudizio si perfeziona l’illecito disciplinare, a nulla rilevando che colui al quale detto illecito è contestato risieda altrove ed ivi abbia verosimilmente redatto l’atto introduttivo del giudizio, trattandosi di attività solo preparatoria dell’illecito.
Per quanto riguarda invece il TERZO CAPO di incolpazione il mezzo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Il motivo si fonda infatti sul tenore letterale del comunicato stampa in questione, assumendosi che da esso emergerebbe la mancanza di prova riguardo al fatto che il comunicato stesso sia stato redatto o trasmesso a (OMISSIS), cosicchè la mancata trascrizione integrale – ivi compresa la firma – di detto comunicato preclude al giudice di legittimità di valutare la fondatezza delle censure.
2.- Con il PRIMO MOTIVO, sotto il profilo della violazione dell’art.22 del CDF, il ricorrente assume, tra l’altro, che l’avv. VERDE non era stato convenuto in giudizio per fatti attinenti all’esercizio della professione.
2.1.- Il mezzo è fondato.
E’ pacifico che l’avv.VERDE è stato convenuto in giudizio in quanto, nella prospettazione dell’attrice, avrebbe gestito il patrimonio di XX., prima e dopo la sua morte, insieme con il Dott. Y. ed il sig. Z.
Premesso che la norma di cui all’art.22 del CDF va interpretata restrittivamente, attribuendo ad una categoria di cittadini – gli avvocati – un diritto ad essere preavvisati delle altrui iniziative giudiziarie non riconosciuto alla generalità dei consociati, deve escludersi che il giudizio, instaurato nei termini suindicati, avesse ad oggetto “fatti attinenti all’esercizio della professione”, non potendo certamente intendersi come atto di esercizio della professione una attività per la quale non è richiesta l’iscrizione all’albo degli avvocati e che in concreto il professionista svolge insieme a non avvocati, a nulla rilevando ogni indagine – necessariamente ipotetica nella specie – sui motivi (soggettivi) per i quali il dominus abbia officiato per detta attività (anche) un avvocato.
3.- Con il secondo motivo, sotto il profilo della violazione dell’art.18 del CDF e del vizio di motivazione, il ricorrente si duole della condanna disciplinare relativa al capo 3), assumendo, tra l’altro, che sarebbe fondata su circostanze diverse da quelle contestate.
3.1.- Il mezzo è inammissibile per difetto di autosufficienza, per le medesime ragioni già esposte sub 1.1., non essendo testualmente riprodotto il comunicato stampa in questione, ivi compresa la firma, cosicché è precluso a questo giudice di legittimità di valutare la congruità della motivazione del CNF;
4.- Accolto il primo motivo di ricorso, la decisione del CNF va cassata in relazione, con l’esclusione dell’illecito disciplinare contestato all’avv. ROSSO al capo 1 dell’incolpazione.
Pur avendo il CNF applicato la sanzione minima dell’avvertimento, che potrebbe essere giustificata dall’unico illecito disciplinare residuo (quello contestato al capo 3), la causa va comunque rinviata allo stesso CNF perché valuti la concreta irrogabilità della sanzione.
PQM
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri;
cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al CNF.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 15 novembre 2011.
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Numero Protocolo Interno : 13/2011