ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione, con sentenza n.18048 del 19/10/2012, si è pronunciata sulla questione relativa alla comparizione in udienza della parti, con particolare riferimento al termine di comparizione precisando che, il Giudice non deve necessariamente attendere “almeno un’ora dall’apertura dell’udienza” per poter provvedere.
Invero, spiega la Corte, l’art. 59 disp. att. cpc secondo cui la dichiarazione di contumacia della parte non costituita nell’udienza di cui all’articolo 171 cpc è fatta “quando è decorsa almeno un’ora dall’apertura dell’udienza” non esprime un principio di carattere generale, valevole per tutte le udienze di trattazione.
La disposizione in oggetto, infatti, essendo prevista per i procedimento pendenti innanzi il Giudice di Pace, con riferimento alla prima udienza, porta a concludere per la sua inapplicabilità agli altri provvedimenti adottati in udienza, considerato che se il legislatore avesse inteso attribuire portata generale alla disposizione, l’avrebbe inserita nell’art. 83 disp. att. cpc, che disciplina la trattazione delle cause.
Ne discende che dall’art. 59 disp. att. cpc non è desumibile un principio valido per tutte le udienze istruttorie nel senso del diritto della parte di poter comparire entro sessanta minuti dall’orario fissato.
In conclusione secondo la Corte, non è rinvenibile nell’ordinamento la regola dell’obbligo di attendere un’ora per la chiusura del verbale di trattazione dell’udienza di appello fissata ex art. 348 cpc e corrisponde semplicemente a criteri di buon governo dell’udienza evitare la chiusura del verbale, in assenza di una delle parti, solamente nei primissimi minuti dell’udienza stessa; ma ulteriori differimenti possono essere adottati solo quando vi sia notoriamente, o sia stato segnalato alla cancelleria, o dal difensore presente, una causa che possa giustificare il ritardo di una delle parti.
Esiste solo ed esclusivamente un comportamento deontologico corretto e leale nei confronti dei propri colleghi, come previsto dall’art.22 Codice deontologico forense a norma del quale: “L’avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà.
I. L’avvocato che collabori con altro collega è tenuto a rispondere con sollecitudine alle sue richieste di informativa.
II. L’avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all’esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, tranne che l’avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare.
III – L’avvocato non può registrare una conversazione telefonica con il collega. La registrazione, nel corso di una riunione, è consentita soltanto con il consenso di tutti i presenti”.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12354-2006 proposto da:
P.G.;
RICORRENTE
contro
LP DI P.L. & C SNC in persona del legale rappresentante pro tempore;
INTIMATO
sul ricorso 15662-2006 proposto da:
LP DI P.L. & C SNC;
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
contro
P.G.;
CONTRORICORRENTE AL RICORSO INCIDENTALE
avverso la sentenza n. 1246/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/03/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In relazione al preliminare di compravendita di due villini a schiera siti in (OMISSIS), stipulato il 21 gennaio 1992, giudicando sulle contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, il tribunale di Roma, con sentenza del maggio 2002, dichiarava la risoluzione per colpa del promissario acquirente P.G..
Lo condannava al risarcimento dei danni in favore della snc L.P. di Livio Pompili, quantificati in Euro 61.000 circa, previa deduzione della somma di Euro 10.329,14 quietanzata come acconto in altra scrittura denominata atto di permuta.
Disponeva inoltre la restituzione al promissario acquirente di numerosi acconti ricevuti tra il maggio 1992 e il maggio 1993.
Su appello della s.n.c. Pompili, la quale non compariva alla prima udienza del 24 aprile 2003, la Corte di appello capitolina nella sentenza, resa il 17 marzo 2005, in via preliminare era chiamata a pronunciarsi sulla improcedibilità dell’appello per mancata comparizione dell’appellante anche all’udienza di rinvio.
La Corte escludeva tale sanzione, sul presupposto che il difensore dell’appellante era sì giunto in udienza dopo l’iniziale dichiarazione di improcedibilità da parte dell’istruttore, ma entro un’ora dall’inizio dell’udienza.
In parziale accoglimento del gravame, i giudici di appello condannavano il promissario acquirente P. al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 85.615,35.
L’appellato P. ha proposto due motivi di ricorso per cassazione, notificato il 13 aprile 2006, relativi alla improcedibilità dell’appello.
L.P snc, oltre a resistere, ha svolto ricorso incidentale, sviluppando tre gruppi di censure, relativi alle proprie maggiori pretese.
Il ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Parte resistente in prossimità dell’udienza ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
La Corte capitolina ha revocato la declaratoria di improcedibilità dell’appello, pronunciata, dal consigliere istruttore all’udienza di rinvio, fissata ex art. 348 c.p.c., per il 26 giugno 2003.
L’orario di inizio previsto per detta udienza era le ore 9,30.
Alle ore 9,55, ancora assente l’appellante, il consigliere istruttore dichiarava l’improcedibilità dell’appello e sottoscriveva il relativo verbale.
Alle ore 10,20 sopraggiungeva il difensore dell’appellante e chiedeva la revoca del provvedimento.
11 consigliere istruttore fissava altra udienza per la discussione di tale istanza.
In esito ad essa, la Corte rimetteva le parti a udienza di precisazione delle conclusioni.
I giudici di secondo grado hanno revocato in sentenza il provvedimento del consigliere istruttore, facendo applicazione dell’insegnamento estratto da Cass. 10870/99, in forza del quale:
“L’art. 59 disp. att. cod. proc. civ., secondo cui la dichiarazione di contumacia della parte non costituita nell’udienza di cui all’art. 171 cod. proc. civ. è fatta “quando e1 decorsa almeno un’ora dall’apertura dell’udienza” esprime un principio di portata generale nel senso che la durata di ogni udienza, intesa come collocazione temporale dell’esplicazione dell’attività processuale, non può essere inferiore ad un’ora; conseguentemente, tutte le attività poste in essere dal giudice e dalle parti in tale arco di tempo devono considerarsi temporalmente e funzionalmente riferibili all’udienza medesima”.
Hanno pertanto ritenuto che fosse stata legittima la riapertura del verbale di udienza e la fissazione di udienza di comparizione delle parti e consentito lo svolgersi della trattazione dell’appello, in quanto non era trascorsa un’ora dall’inizio dell’udienza quando il difensore dell’appellante era sopraggiunto.
Il ricorso censura questa decisione, denunciando violazione dell’art. 348 c.p.c. con riferimento all’art. 59 disp. att. e violazione e falsa applicazione dell’art. 178 c.p.c., comma 4.
Il Collegio ritiene il ricorso fondato, non condividendo la tesi di Cass. 10870/99, secondo la quale l’art. 59 disp. att. cod. proc. civ. esprimerebbe un principio di carattere generale.
Riesce, in primo luogo, difficile comprendere come da una disposizione dettata specificamente per il procedimento davanti al giudice di pace, sia possibile ricavare un principio di carattere generale: a) valevole per tutte le udienze di trattazione; b) valevole anche per i giudizi davanti al tribunale.
Da un punto di vista logico, invece, la limitazione di cui all’art. 59 disp. att. cod. proc. civ., proprio perchè espressamene prevista con riferimento ad un specifico tipo di procedimento, porta a contrario a concludere per la sua inapplicabilità agli altri provvedimenti adottati in udienza.
Sempre sotto il profilo logico, se il legislatore avesse inteso attribuire portata generale alla limitazione in questione, l’avrebbe inserita nell’art. 83 disp. att. cod. proc. civ., che disciplina la trattazione delle cause.
Ma, soprattutto, va considerato che l’art. 59 disp. att. cod. proc. civ. trova la sua specifica ratio nel disposto dell’art. 171 c.p.c., comma 2, (applicabile al giudizio davanti al giudice di pace in virtù del rinvio di cui all’art. 320 cod. proc. civ.), il quale prevede che il convenuto, se l’attore si è costituito tempestivamente, può costituirsi fino alla prima udienza.
In sostanza, il legislatore ha indirettamente limitato il diritto del convenuto di costituirsi in qualunque momento fino al termine della prima udienza (con correlativo onere del difensore dell’attore di attendere la conclusione di tale udienza), ma, d’altro canto, gli ha garantito la possibilità di costituirsi entro un’ora dall’inizio dell’udienza.
Se tale è la ratio dell’art. 59 disp. att. cod. proc. civ. è evidente che trova conferma il fatto che dalla disposizione in questione non è desumibile un principio valido per tutte le udienze istruttorie, nel senso del diritto della parte di poter comparire entro sessanta minuti dall’orario fissato, fidando sulla impossibilità di trattazione all’ora stabilita e di relativa chiusura del verbale.
Corrisponde a criteri di buon governo dell’udienza evitare la chiusura del verbale, in assenza di una delle parti, nei primissimi minuti dell’udienza stessa, onde consentire il superamento di piccoli disguidi e prevenire disagi nell’ordine di trattazione.
Opportuni differimenti possono essere adottati quando vi sia notoriamente, o sia stato segnalato alla cancelleria, o dal difensore presente, una causa che possa giustificare il ritardo di una delle parti.
Non è però rinvenibile nell’ordinamento la regola dell’obbligo di attendere un’ora per la chiusura del verbale di trattazione dell’udienza di appello fissata ex art. 348 c.p.c..
Nella specie il provvedimento del consigliere istruttore era stato reso 25 minuti dopo l’inizio dell’udienza, senza che constassero particolari giustificazioni per ulteriore attesa. L’appellante giunse ben 55 minuti, dopo l’inizio dell’udienza.
Non v’era quindi presupposto alcuno per revocare la declaratoria di improcedibilità.
Il ricorso va accolto, restando così assorbito il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata, che erroneamente ha esaminato il gravame, deve essere quindi cassata senza rinvio, giacchè l’appello era improcedibile, come dichiarato dall’istruttore.
E’ tuttavia giustificata la integrale compensazione delle spese, giacchè vi è sul punto incertezza giurisprudenziale, che ha indotto la decisione della Corte d’appello.
PQM
La Corte accoglie il ricorso e per l’effetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Spese compensate. Assorbito il ricorso incidentale
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