ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la redazione del commento il Dott. Filippo Li Causi, Funzionario UNEP,
Tribunale di Marsala
La compensazione legale estingue ope legis i debiti contrapposti in virtù del solo fatto oggettivo della loro contemporanea sussistenza. L’estinzione per compensazione legale di due debiti (art. 1242 c.c.), però, presuppone non solo la liquidità ed esigibilità degli stessi, ma anche la loro certezza. Un tale carattere difetta con riferimento al credito riconosciuto da una sentenza, o da altro titolo, provvisoriamente eseguibile. E ciò perché la provvisoria esecutività consente soltanto la temporanea esigibilità del credito determinato nel suo ammontare ma non l’affermazione della sua irrevocabile certezza. Ciò vuol dire che quando vengono in questione due crediti (o debiti) sanzionati da un titolo giudiziario non definitivo, anche se provvisoriamente eseguibile, l’eventualità che il titolo giudiziario cada o venga modificato per effetto dell’impugnazione esperita od esperibile impedisce l’operatività della compensazione. Questa, infatti, per essere un mezzo di estinzione delle obbligazioni, presuppone il definitivo accertamento delle obbligazioni da estinguere, e non è applicabile a situazioni provvisorie.
Questi costanti principi, più volte ribaditi dalla Corte di legittimità, sembrano essere posti in dubbio dalla decisione della stessa Corte n. 23573 del 2013, che ha affermato che la circostanza che l’accertamento di un credito risulti “sub iudice” non è di ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore.
Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione, Sezione Terza, Pres. Salmè Rel. Vivaldi, con ordinanza n. 18001 del 5 febbraio 2015, depositata in cancelleria in data 11 settembre 2015, con cui il Collegio ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della operatività della compensazione legale allorché uno dei crediti risulti ancora sub iudice, per essere stato accertato giudizialmente ma con sentenza non ancora passata in giudicato.
In particolare, il provvedimento in commento, richiamati i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità dei debiti ai fini della compensazione legale, e chiarito che tali condizioni debbano ritenersi insussistenti con riferimento al credito riconosciuto da una sentenza o da altro titolo provvisoriamente eseguibile (perché la provvisoria esecutività consente soltanto la temporanea esigibilità del credito, ma non l’affermazione della sua irrevocabile certezza), ha poi richiamato il precedente contrario rappresentato da Cass. n. 23573 del 2013, secondo cui, il fatto che l’accertamento di un credito risulti sub iudice, non possa essere di ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore.
Per tale ipotesi occorre distinguere a seconda che:
a) i due giudizi pendano dinanzi al medesimo ufficio giudiziario: occorrerà procedere alla loro riunione, all’esito della quale il giudice potrà procedere ex art. 1243 comma 2° c.c.
b) i due giudizi pendano dinanzi ad uffici diversi (e non sia possibile la rimessione della causa ex art. 40 cpc dinanzi al giudice che tratta la controversia avente ad oggetto il credito eccepito in compensazione), ovvero il giudizio relativo al credito in compensazione penda in grado di impugnazione: in tale ipotesi il giudice che decide sul credito principale dovrà pronunciare una condanna con riserva all’esito della decisione sul credito eccepito in compensazione, disponendo contestualmente la rimessione della causa nel ruolo per decidere in merito alla sussistenza delle condizioni per la compensazione, seguita da sospensione del giudizio ex artt. 295 e 337 comma 2 cpc, fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito
Questi gli orientamenti contrapposti per i quali la Terza Sezione civile ha deciso di rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite.
Sembra opportuno a questo punto delineare alcuni brevi cenni sull’istituto della compensazione.
Va preliminarmente detto che la compensazione configura un’ipotesi di estinzione satisfattoria dell’obbligazione, per effetto della quale due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti (con essa si estinguono le obbligazioni e si realizzano contestualmente i crediti).
Ratio di tale istituto, è non solo quella di realizzare una forma di economia degli atti giuridici, ma anche di soddisfare esigenze di garanzia della realizzazione del credito (l’impossibilità di opporre la compensazione metterebbe il debitore nella condizione di non poter rifiutare il pagamento anche nell’ipotesi in cui il proprio creditore si rendesse inadempiente di altra prestazione dovuta nei suoi confronti).
Il codice civile, agli articoli 1241 e ss., disciplina tre diverse ipotesi, a cui corrispondono:
a)la compensazione legale (art. 1243 c.c.): presuppone la omogeneità, liquidità ed esigibilità dei crediti. Dispone il primo comma dell’art. 1242 c.c., che in caso di compensazione legale, l’estinzione dei debiti opera fin dal giorno della loro coesistenza.
A tal riguardo, mentre la giurisprudenza ritiene che tale operatività sia automatica (ossia prescinda da qualsivoglia manifestazione di volontà), la dottrina ritiene sia invece necessario che il debitore a cui sia stato richiesto di adempiere eserciti il potere di opporre la compensazione.
Tuttavia, si rileva che contro la tesi della automatica operatività, sembra porsi la seconda parte del primo comma dell’art. 1242 c.c., ove è detto che la compensazione non può essere rilevata dal giudice d’ufficio in giudizio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata (se il fatto è già automaticamente avvenuto, esso dovrebbe poter essere rilevato d’ufficio dal giudice).
In realtà, appare corretta la tesi dottrinaria che esclude l’operatività automatica della compensazione, ma ritiene sufficiente l’esercizio stragiudiziale del potere di opporla, a prescindere da una rituale eccezione sollevata in giudizio dalla parte.
In conseguenza di ciò, potrà dirsi che la sentenza con cui il giudice rileva l’avvenuta compensazione legale avrà natura prettamente dichiarativa con efficacia ex nunc, in quanto si limita all’accertamento di un evento già verificatosi.
b) la compensazione giudiziale: si fa ricorso ad essa quando la compensazione legale non ha potuto operare perché uno dei due crediti non è liquido, ma soltanto di facile e pronta liquidazione. In questo caso, la compensazione sarà effetto della sentenza del giudice, la quale avrà efficacia ex nunc in quanto non si limita ad accertare un fatto, ma lo determina.
c) la compensazione volontaria: è disciplinata dall’art. 1252 c.c., il quale costituisce una sorta di norma di chiusura, disponendo che, in ogni caso, la compensazione può aver luogo per volontà delle parti, trasfusa in un contratto di natura estintiva, anche se non ricorrono le condizioni previste per la compensazione legale o giudiziale.
Ovviamente ciò che può difettare sono i presupposti della omogeneità, liquidità ed esigibilità del credito, mentre non potrà mai mancare il presupposto della reciprocità del rapporto debito-credito.
Si ritiene che sia proprio alla compensazione giudiziale che debba ricondursi l’ipotesi presa in esame dall’ordinanza interlocutoria in commento, con la conseguenza che la medesima avrà efficacia ex nunc dalla sentenza del giudice che la riconosce; al credito sub iudice opposto in compensazione, infatti, non potrà riconoscersi il carattere della liquidità, ma sarà senza dubbio da considerare quale credito di facile e pronta liquidazione.
Nulla esclude, ovviamente, che le medesime parti, al di fuori del giudizio, possano convenire una compensazione volontaria, non difettando il presupposto essenziale che ne può legittimare la stipulazione, ossia la reciprocità del rapporto debito-credito.
Interessante è poi l’eccezione preliminare trattata in tema di vocatio in ius.
In particolare, nel caso di specie, la resistente aveva articolato eccezione di inammissibilità del ricorso per avere la ricorrente citato la società “Alfa sas” quale soggetto cessato, anziché la società “Beta srl” quale nuovo soggetto risultante da atto di scissione societaria.
A tale riguardo, ha osservato la Corte che, ex art. 2504 septies c.c., la scissione parziale di una società, consistente nel trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, integra una fattispecie traslativa, per effetto della quale la nuova società acquisisce valori patrimoniali prima non esistenti nel suo patrimonio.
Tale fattispecie, non determinando l’estinzione della società scissa ed il subingresso di quella risultante dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, si configura come una successione a titolo particolare nel diritto controverso che, ove intervenga nel corso del giudizio, comporta l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 111 cpc, con facoltà per il successore di spiegare intervento nel giudizio e di impugnare la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti del dante causa. Corretta è pertanto la vocatio in ius effettuata nei confronti del dante causa, ossia la società “Alfa sas“.
Testo del provvedimento
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