In materia di compenso dell’avvocato, ai sensi dell’art. 2233 c.c., comma 3 (come sostituito del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 2-bis, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006), l’accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta “ad substantiam” a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dalla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 2 (recante la nuova disciplina sull’ordinamento professionale forense), che, nell’innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data del conferimento dell’incarico, ha lasciato invariato (con la previsione di cui dello stesso art. 13, successivo comma 6) quello sul requisito di forma, con la conseguenza che, da un lato, l’accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne, sia seguita dall’accettazione nella medesima forma e, dall’altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Giusti – Rel. Guida, con la sentenza n. 34301 del 7 dicembre 2023.
Nel caso di specie, un avvocato proponeva ricorso presso il Tribunale di Monza nei confronti della Banca per ottenerne la condanna al pagamento di compensi professionali nella misura di Euro 242.848,34. A sostegno della domanda, la ricorrente deduceva che le azioni revocatorie ordinarie si erano estinte a seguito di conciliazione e che erano stati inutili i suoi tentativi di ottenere dalla cliente il pagamento del dovuto.
Costituendosi in giudizio, la banca eccepiva che per la ricorrente dovesse valere la medesima “convenzione operativa e tariffaria con i legali fiduciari” sottoscritta dalla banca e dal collega di studio dell’avvocato ricorrente.
Il giudice, in parziale accoglimento della domanda, con ordinanza liquidava in favore della ricorrente la somma di Euro 17.396,00, sostenendo che nonostante la convenzione tariffaria dell’11/04/2013 fosse stata sottoscritta dal collega di studio dell’avvocato, dagli atti di causa doveva desumersi la volontà del ricorrente all’adesione a detta convenzione, non applicandosi quindi i parametri del D.M. n. 55 del 2014.
Avverso tale provvedimento l’avvocato proponeva ricorso in Cassazione, sulla base di dieci motivi.
La Corte accoglieva i primi quattro motivi, nei quali l’avvocato deduceva che i patti riguardanti i compensi degli avvocati devono essere redatti in forma scritta e che l’adesione alle tabelle della convenzione del 2013 non era stata da lui sottoscritta.
Ritenendo assorbiti gli altri motivi, la Suprema Corte cassava l’ordinanza e rinviava al giudice di prime cure, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
TANTO IN CONSIDERAZIONE DEL FATTO CHE IL RAPPORTO PROFESSIONALE SI È COMUNQUE INSTAURATO CON LA PROCURA ALLE LITI
Ordinanza | Cass. civ., Sez. II, Pres. Manna – Rel. Caponi | 24.05.2023 | n.14283
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