Ai fini della liquidazione del compenso al curatore del fallimento ex art. 39 l.fall., non può ricomprendersi nel concetto di “attivo realizzato”, alla cui entità ragguagliare le percentuali previste dal d.m. n. 30 del 2012, il valore dell’immobile liquidato nella procedura esecutiva promossa dal creditore fondiario, a meno che il curatore non sia intervenuto nell’esecuzione svolgendo un’attività diretta a realizzare una concreta utilità per la massa dei creditori, anche mediante la distribuzione a questi ultimi di una parte del ricavato della vendita.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sez. VI, Pres. Genovese – Est. Caiazzo con l’ordinanza n. 1175 del 21.01.2020 con la quale è stato cassato il decreto del Tribunale di Ragusa che aveva escluso dall’attivo fallimentare il ricavato della vendita del bene oggetto di esecuzione forzata, nonostante il curatore avesse amministrato l’immobile ipotecato nell’interesse e per l’utilità della massa dei creditori, provvedendo alle spese di manutenzione, locandolo a terzi e curando gli adempimenti fiscali connessi all’alienazione coattiva, intervenendo nella procedura espropriativa con varie richieste al giudice dell’esecuzione.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
COMPENSO CURATORE: NON PUÒ PARAMETRARSI AL VALORE DELL’IMMOBILE LIQUIDATO NELLA PROCEDURA ESECUTIVA
NON RIENTRA NEL CONCETTO DI “ATTIVO REALIZZATO” TRATTANDOSI DI RICAVO OTTENUTO AL DI FUORI DEL FALLIMENTO
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Cristiano, Cons. est. Ceniccola | 06.06.2018 | n.14631
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