ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Cassazione, con sentenza n.19861 del 14/11/2012, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, laddove, nel complesso di un componimento transattivo della lite, un soggetto abbia a rinunziare all’impugnazione già presentata non è ammissibile la successiva contestazione di acquiescenza prestata alla decisione non ulteriormente gravata.
Nel caso di specie, un contribuente dopo aver ricevuto alcune cartella esattoriale relative ad IVA, sanzioni ed interessi per gli anni 1993 e 1994 definiva il contenzioso con l’Agenzia delle entrate, per il periodo 1993-1996, con una transazione che, tra l’altro, prevedeva l’acquiescenza alle sentenze della commissione tributaria regionale di Torino a lui sfavorevoli, concernenti le imposte afferenti al periodo 1993-1994.
Proposto ricorso dalla Agenzia delle entrate, la stessa rilevava che, sebbene le procure rilasciate dal contribuente al proprio difensore in calce agli atti di appello da questi proposti recasse la formula “conferisce procura speciale con ogni e più ampia facoltà di legge, ivi compresa quella di procedere alla conciliazione giudiziale della controversia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48 ai seguenti professionisti… affinchè lo rappresentino, assistano e difendano nel presente procedimento“, la sentenza impugnata si era limitata ad escludere che il conferimento di “ogni e più ampia facoltà di legge” abbia attribuito il potere di prestare acquiescenza alle sentenze sfavorevoli emesse all’esito dei giudizi di appello (secondo motivo di ricorso).
Orbene la Corte, accogliendo il ricorso, ha rilevato che la sentenza impugnata correttamente precisa che la “rinuncia al ricorso in Cassazione avverso le sentenze della Commissione Tributaria di Torino” va qualificata come acquiescenza espressa a tali sentenze, in quanto la rinuncia postula un’impugnazione già proposta.
Invero, è la sentenza stessa a rimarcare il “corretto comportamento – del contribuente – in relazione agli accertamento con adesione per l’anno 1996“, ossia l’esecuzione di un altro segmento della transazione; transazione, che prevedeva, oltre alla “rinuncia al ricorso in Cassazione” destinata ad incidere sulle pretese tributarie degli anni 1993 e 1994, la “rinuncia dell’Ufficio al ricorso in appello“, destinata ad incidere sulla pretesa tributaria riguardante l’anno 1995 e, appunto, l’accertamento con adesione rilevante per il 1996.
Si deve dunque concludere che l’acquiescenza espressa alle sentenze sfavorevoli concernenti gli anni 1993 e 1994 abbia prodotto i propri effetti, di guisa che alla data di presentazione delle istanze di definizione oggetto dei dinieghi impugnati, non vi fossero liti pendenti definibili.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4254/07 RG., proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE;
RICORRENTE
contro
R.B.;
INTIMATO
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, sede di Torino, sez. 12, depositata in data 1 febbraio 2006, n. 64/12/05;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
R.B. impugnò la cartella esattoriale notificatagli relativa ad IVA, sanzioni ed interessi per gli anni 1993 e 1994 a seguito di rettifica, lamentando l’erronea quantificazione della pretesa relativa al 1993 e l’inefficacia dell’iscrizione in ordine ad entrambe le annualità in considerazione della presentazione di istanze di condono L. n.289 del 2002, ex art.16; quindi, impugnò separatamente i dinieghi opposti dall’Ufficio alle istanze di definizione delle liti pendenti, dinieghi successivamente reiterati e nuovamente impugnati.
La Commissione tributaria provinciale di Cuneo, riuniti i ricorsi, li respinse, ritenendo che le liti originarie non potessero essere considerate pendenti al 29 settembre 2002, in quanto il contribuente aveva definito il contenzioso con l’Agenzia delle entrate, per il periodo 1993-1996, con una transazione che, tra l’altro, prevedeva l’acquiescenza alle sentenze della commissione tributaria regionale di Torino a lui sfavorevoli, concernenti le imposte afferenti al periodo 1993-1994.
La sentenza impugnata ha accolto l’appello proposto dal contribuente, ritenendo che i dinieghi di condono opposti dall’ufficio siano illegittimi e che comunque illegittima sia l’iscrizione a ruolo, essendo state presentate, successivamente ad essa, le istanze di condono.
Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza, esperendo quattro motivi.
Non spiega difese il contribuente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Col PRIMO motivo di ricorso, calibrato sull’art.360 cpc, n.3, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n.289 del 2002, art.16, formulando il seguente quesito di diritto, peraltro non necessario ratione temporis: “se la presentazione di istanze di condono L. n.289 del 2002, ex art.16 implichi per ciò solo la sospensione del potere di riscossione dei crediti tributati vantati dall’amministrazione finanzaria“.
Censura, in particolare, la ricorrente il punto della sentenza impugnata in cui la commissione tributaria regionale sostiene che l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo, anche se compiuta in data antecedente alla presentazione delle domande di definizione delle liti pendenti, diviene illegittima a seguito della proposizione di tali domande.
Emerge di fatti nel nostro caso che la cartella esattoriale portante IVA, interessi e sanzioni per gli anni 1993 e 1994 e stata notificata a R.B. in data 15 aprile 2003, là dove le istanze di definizione delle liti pendenti sono state presentate in data 21 maggio 2003. Il motivo è fondato.
1.1.- Le sezioni unite di questa Corte hanno già avuto occasione di chiarire che la L. n.289 del 2002, art.16 non prevede alcuna rinuncia all’accertamento dell’imposta, postulando, anzi, che il relativo potere sia già stato esercitato, bensì si limita ad autorizzare l’amministrazione finanziaria a transigere la lite a determinate condizioni, in considerazione dell’immanente incertezza del suo esito, e giustappunto in ragione della natura meramente deflativa assegnata all’art. 16 della legge, questa Corte ne ha escluso l’incompatibilità col diritto comunitario, ritenendo che essa si collochi al di fuori dello specchio della sentenza del 17 luglio 2008, causa C-132/06, con la quale la Corte di giustizia, in esito ad una procedura d’infrazione promossa dalla Ce, ha dichiarato l’incompatibilità col diritto comunitario della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9 (Cass., sez.un., 17 febbraio 2010, n. 3676).
1.2.- Dunque, la definizione agevolata contemplata dalla L. n.289 del 2002, art.16 richiede che:
a.- il potere di accertamento dell’imposta sia stato esercitato;
b.- la sua legittimità sia contestata;
c.- la lite, con la quale si esprime la contestazione, sia pendente al momento della presentazione della domanda di definizione agevolata.
Per conseguenza, l’iscrizione a ruolo antecedente alla presentazione dell’istanza di condono, invece che affetta da illegittimità sopravvenuta, come vuole la sentenza impugnata, configura, al contrario, almeno in astratto, il presupposto per l’applicazione del condono, giacchè essa, contenendo la pretesa erariale di pagamento del tributo, da luogo, in caso d’impugnazione, alla lite pendente definibile in base alla legge del 2002 (vedi, d’altronde, nel senso della riconducibililà alla nozione di lite pendente definibile ex L.289 del 2002 dell’impugnazione della cartella esattoriale notificata a seguito di iscrizione a ruolo straordinario, Cass. 31 marzo 2011, n.7399; Cass. 25 gennaio 2008, n.1604).
Una diversa interpretazione, peraltro estranea già alla lettera normativa, che paralizzi l’esercizio della pretesa erariale di pagamento, invero, entrerebbe in attrito con la giurisprudenza, dianzi richiamata, sulla legittimità comunitaria del condono Iva, in relazione agli obblighi incombenti sull’Italia ai sensi degli artt. 2 e 22 della sesta direttiva del consiglio 17 maggio 1977 n.77/388/Cee nonchè dell’art. 10 Ce, in quanto, ha osservato la Corte di giustizia, la libertà degli Stati membri nella scelta dei modi da impiegare per assicurare il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi d’imposta, “è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri, che nell’insieme di tutti loro” (Corte giust. 17 luglio 2008, C-132/06, punto 39).
7.3.- Va dunque affermato il seguente principio di diritto: “La presentazione d’istanza di definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 16 non inficia ex post l’iscrizione a ruolo di una pretesa tributaria per Iva che, anzi, in caso di contestazione, può dar luogo alla lite pendente, presupposto di applicazione della legge sul condono“.
2.- Col secondo e col quarto motivo di ricorso, proposti a norma dell’art.360 cpc, n.5, da esaminare congiuntamente perchè strettamente avvinti, l’Agenzia delle entrate lamenta l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia.
Precisamente, rileva la ricorrente, sebbene le procure rilasciate dal sig. R. al proprio difensore in calce agli atti di appello da questi proposti recassero la formula “conferisce procura speciale con ogni e più ampia facoltà di legge, ivi compresa quella di procedere – ove nell’interesse della sottoscritta lo ritengano opportuno – alla conciliazione giudiziale della controversia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48 ai seguenti professionisti… affinchè lo rappresentino, assistano e difendano nel presente procedimento, la sentenza impugnata si è limitata ad escludere che il conferimento di “ogni e più ampia facoltà di legge” abbia attribuito il potere di prestare acquiescenza alle sentenze sfavorevoli emesse all’esito dei giudizi di appello (secondo motivo di ricorso).
Inoltre, aggiunge l’Agenzia delle entrate, la sentenza non spiega i motivi per i quali la presenza del contribuente al momento della conclusione dell’accordo e la sua accettazione del contenuto di questo non rilevino ai fini dell’accertamento del potere rappresentativo del procuratore che ha sottoscritto la transazione conclusa a definizione dell’intero periodo 1993-1996 (quarto motivo).
Le censure sono fondate.
2.1.- La sentenza impugnata correttamente precisa che la “rinuncia al ricorso in Cassazione avverso le sentenze della Commissione Tributaria di Torino” va qualificata come acquiescenza espressa a tali sentenze, in quanto la rinuncia postula un’impugnazione già proposta. La sentenza, tuttavia, è alletta da manifesta illogicità e contraddittorietà, nella parte in cui esclude l’efficacia dell’acquiescenza espressa formulata.
E invero pacifico in fatto che le parti abbiano raggiunto un’intesa transattiva complessiva in relazione alle pretese tributane degli anni 1993-1994-1995-1996, in seno alla quale la “rinuncia al ricorso in Cassazione avverso le sentenze della Commissione Tributaria di Torino“, relativa agli anni 1993-1994, rappresenta mero segmento del complessivo assetto d’interessi programmato.
2.2.- Ciò posto, è la sentenza stessa a rimarcare il “corretto comportamento – del contribuente – in relazione agli accertamento con adesione per l’anno 1996“, ossia l’esecuzione di un altro segmento della transazione; transazione, che prevedeva, oltre alla “rinuncia al ricorso in Cassazione” destinata ad incidere sulle pretese tributarie degli anni 1993 e 1994, la “rinuncia dell’Ufficio al ricorso in appello“, destinata ad incidere sulla pretesa tributaria riguardante l’anno 1995 e, appunto, l’accertamento con adesione rilevante per il 1996.
In definitiva, la sentenza da atto della esecuzione parziale da parte del contribuente della transazione raggiunta con l’Amministrazione.
E’, allora, manifestamente contraddittoria e illogica la motivazione nella parte in cui esclude l’efficacia dell’acquiescenza di cui si discute: anche a voler escludere la sussistenza di poteri rappresentativi in capo al procuratore, va rilevato che l’esecuzione, anche parziale, manifesta la volontà del dominus di avvalersi degli effetti negoziali della transazione (in termini, Cass. civ., 27 gennaio 2012, n. 1181); effetti negoziali che, va chiarito, sono tutti quelli prodotti dall’accordo raggiunto, volto a disciplinare un complessivo assetto d’interessi, composto con le determinazioni alla fine raggiunte per effetto delle reciproche concessioni.
Si deve dunque concludere che l’acquiescenza espressa alle sentenze sfavorevoli concernenti gli anni 1993 e 1994 abbia prodotto i propri effetti, di guisa che alla data di presentazione delle istanze di definizione oggetto dei dinieghi impugnati, non vi fossero liti pendenti definibili.
3.- Le considerazioni che precedono comportano l’assorbimento del terzo motivo, proposto ex art.360 cpc, n.3, ed incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art.83 cpc.
La sentenza va in conseguenza cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, col rigetto delle impugnazioni proposte dal contribuente.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza riguardo alla fase di legittimità; l’esito alterno delle fasi di merito comporta la compensazione delle relative voci di spesa.
PQM
La Corte:
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge le impugnazioni proposte dal contribuente;
– compensa le spese inerenti alle fasi di merito e condanna il contribuente alla refusione delle spese inerenti alla fase di legittimità, liquidate in Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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Numero Protocolo Interno : 144/2012