In regime patrimoniale di comunione legale, il disposto di cui all’art. 184 c.c. (secondo cui “gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683”) presuppone l’effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, pertanto non si applica nel caso in cui tutti i contraenti siano a conoscenza della comunione dei beni tra i coniugi e questi ultimi figurino entrambi nel contratto come venditori, atteso che, in tal caso, il mancato consenso di uno dei due impedisce il sorgere di una valida obbligazione a carico dell’altro.
Si esclude l’operatività della norma di cui all’art. 184 c.c. che presuppone l’avvenuta effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi. Pertanto, la mancata prestazione del consenso da parte di uno dei coniugi, espressamente indicato nell’atto quale contraente, non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell’altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Pres. Mazzacane – Rel. Bellini, con la sentenza n. 8525 del 06.04.2018.
Con atto notificato il 4 settembre 2002, un CONIUGE, in proprio e quale tutore della moglie interdetta, chiedeva l’adempimento ex art. 2932 cod. civ. del preliminare con cui gli era stato promesso in vendita un terreno in comproprietà con la moglie.
Interrotta la causa per morte di entrambi i convenuti, la stessa veniva riassunta nei confronti degli eredi (che si costituivano ribadendo le precedenti difese svolte dai rispettivi danti causa).
Il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea, rigettando le difese dei convenuti, in quanto l’annullabilità ex artt. 375 e 377 cod. civ. non ricorreva, non avendo il coniuge agito come tutore, ed essendo tardiva la domanda di annullamento ex art. 184 cod. civ. (perché proposta oltre l’anno da quando il protutore aveva avuto notizia del contratto; per l’effetto disponeva il richiesto trasferimento del bene, condannava l’attore al pagamento del prezzo residuo ed i convenuti al rilascio, e compensava le spese).
Con atto notificato l’8 aprile 2009, la sentenza veniva impugnata davanti alla Corte d’appello di Venezia e ne veniva chiesta la riforma, previa inibitoria ex art. 283 cod. proc. civ..
Per la cassazione della decisione di rigetto della Corte d’appello di Venezia, l’attore ha proposto ricorso sulla base di tre motivi tra cui la “violazione dell’art. 1387 c.c. in relazione all’art. 357 c.c., richiamato dall’art. 424 c.c., nonché violazione dell’art. 183 c.c., comma 3, che esclude il coniuge interdetto dall’amministrazione dei beni comuni: l’interdizione della moglie impediva la di lei sottoscrizione del preliminare di vendita immobiliare – Violazione delle cennate norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3“.
A parere del ricorrente l’errore di diritto sarebbe consistito nel non aver considerato che il potere di rappresentanza della moglie in capo al coniuge tutore era a questi conferito dalla legge e nel non avere tenuto conto che l’art. 183 c.c., comma 3, esclude il coniuge interdetto dall’amministrazione dei beni comuni.
Gli ermellini hanno ritenuto il motivo infondato, in quanto proprio la scelta di utilizzare una figura contrattuale in cui entrambi i coniugi figurano come contraenti, promittenti venditori, nonché di escludere dal contenuto dell’atto qualunque riferimento allo stato di interdizione legale della coniuge, dimostra la chiara volontà delle parti di predisporre il contratto preliminare de quo per la partecipazione al negozio di entrambi i comproprietari; e non già per la partecipazione di uno solo di essi quale tutore e rappresentante legale della interdetta.
In tal senso, correttamente dunque la Corte d’appello di Venezia ha valorizzato e posto a fondamento della propria decisione, il fatto che la scrittura privata in questione, così come testualmente redatta dalle parti, aveva il fine di permettere la partecipazione all’atto di entrambi i comproprietari.
Per la suddetta ragione, dunque, la Corte d’appello ha, altrettanto correttamente, attribuito carattere e valenza assorbente alla eccezione di nullità/inefficacia, per vizio del consenso, del contratto preliminare di vendita di immobile, appartenente ai due coniugi in regime di comunione legale, per mancata sottoscrizione del medesimo di uno dei due coniugi comproprietari, indicato insieme all’altro coniuge, nella intestazione e nel contenuto dell’atto, come parte dello stesso.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese del grado di giudizio.
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