ISSN 2385-1376
Testo massima
“La circostanza che non sia stata rilasciata la certificazione di agibilità integra una grave forma di inadempimento ex art. 1455 c.c.[..omissis..]La circostanza che gli acquirenti abbiano abitato l’immobile e continuino a farlo – non può escludere la gravità dell’addebito mosso alla parte venditrice; infatti la gravità del mancato rilascio della certificazione in parola può escludersi quando il suo mancato rilascio dipende dalla semplice inerzia della P.A., pur essendo il bene venduto, conforme alla disciplina urbanistica; ma non quando, come nel caso in esame, è conclamata la difformità tra concessione edilizia e quanto di fatto costruito.”
In tal senso si è pronunciato il Tribunale di Taranto in persona del Giudice dott. Claudio Casarano, con la sentenza del 10.12.2014, n. 3721 in materia di risoluzione contrattuale ex art. 1455 c.c., lottizzazione abusiva ed occupazione di immobile.
Come già evidenziato, la sentenza in commento ha deciso in ordine alla domanda di risoluzione per inadempimento ex art. 1455 c.c. proposta dagli acquirenti di un immobile ad uso abitazione, i quali lamentavano il mancato rilascio del certificato di agibilità da parte del venditore, impegnatosi nell’atto di vendita a consegnarlo nel termine di un anno. In aggiunta alla suddetta pretesa, gli attori chiedevano la restituzione del prezzo versato, nonché il risarcimento del danno da deprezzamento del valore dell’immobile e del danno morale per l’intervenuto sequestro preventivo.
In propria difesa, la parte convenuta chiamava in causa il Comune, da essa ritenuto unico responsabile per aver sospeso il rilascio del certificato di agibilità in attesa della risoluzione del procedimento penale per lottizzazione abusiva, anziché rigettare la relativa richiesta o revocare la concessione edilizia già conferita. Spiegava, inoltre, due domande riconvenzionali, chiedendo la risoluzione del contratto preliminare con condanna degli istanti al risarcimento per occupazione dell’immobile, nonché al pagamento della somma di 432,22 per consumo idrico.
Il Comune, chiamato in causa, chiariva che il mancato rilascio del certificato di agibilità trovava fondamento esclusivamente nella rilevata difformità urbanistica dell’immobile.
Il Tribunale di Taranto, esaminate con attenzione le avverse pretese, ha concluso per l’accoglimento della domanda attorea di risoluzione del contratto e restituzione del prezzo, rigettando le connesse richieste di risarcimento danni, nonché per l’accoglimento della riconvenzionale di risarcimento per illegittima occupazione di immobile, condannando gli attori al pagamento di 22.500,00.
L’accoglimento della domanda principale di risoluzione del contratto ex art. 1455 c.c. è fondata sulla evidente gravità dell’inadempimento della convenuta, la quale si impegnava a trasmettere il certificato di agibilità agli acquirenti nel termine di un anno.
A ciò si aggiunga che il preliminare di vendita appariva strumentalmente congegnato al fine di aggirare il vincolo di destinazione urbanistica ad attività terziaria. Il Comune, infatti, rilasciava la concessione edilizia presupponendo che la destinazione fosse ad attività terziaria e, solo dopo aver rilevato la violazione, sospendeva il rilascio della certificazione per “non corrispondenza urbanistica”.
A parere del giudicante, non vale ad escludere l’addebito mosso alla venditrice la denunciata occupazione dell’immobile da parte degli acquirenti, in quanto la gravità dell’inadempimento sarebbe venuta meno solo nel caso di inerzia della P.A. al rilascio della suddetta certificazione per un immobile conforme alla disciplina urbanistica. Vicenda, questa, evidentemente diversa da quella in oggetto.
Quanto alle domande risarcitorie, il Tribunale di Taranto ha rigettato entrambe le pretese danno da deprezzamento del valore dell’immobile e danno morale ritenendole infondate.
Ed invero, il danno morale non sarebbe configurabile non essendo stato leso alcun diritto costituzionalmente garantito; parimenti, il risarcimento del danno da deprezzamento del valore sarebbe stato ammissibile ove il contratto di vendita non si fosse risolto e, dunque, purché ambo le domande di risoluzione non fossero state accolte.
In ordine alle riconvenzionali spiegate dalla convenuta, il giudice adito ha ritenuto di accogliere solo quella riguardante il risarcimento per occupazione dell’immobile con conseguente condanna di parte attrice al pagamento di un tot per ogni mese di occupazione, nonché di rigettare quella di risoluzione contrattuale e di risarcimento per mancata stipula del preliminare.
Nella sentenza in commento viene affrontato uno dei temi più complessi e più dibattuti in dottrina e giurisprudenza: risoluzione per inadempimento e gravità dello stesso.
Si ricorda che la risoluzione – volontaria o legale è considerata la maggiore causa di estinzione del contratto, per effetto della quale il singolo contraente, o entrambi, determinano lo scioglimento del vincolo contrattuale.
La risoluzione è strumento tipico nelle ipotesi di contratti a prestazioni corrispettive, ossia di quelli in cui due o più prestazioni sono legate tra loro da un nesso di interdipendenza cosiddetto sinallagma. Tale legame caratterizza il contratto sia nella sua fase costitutiva l’una prestazione è pattuita in vista dello scambio con l’altra sia nella sua fase esecutiva l’adempimento di una prestazione è dovuto in ragione dell’adempimento dell’altra.
Accade non di rado, però, che il legame sinallagmatico venga turbato da una serie di avvenimenti successivi alla conclusione del contratto, quali l’inadempimento di una parte, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione o l’eccessiva onerosità.
Soffermandoci esclusivamente sull’ipotesi che ha interessato il caso in commento, la risoluzione per inadempimento è disciplinata dall’art. 1453 c.c. e ad essa si ricorre allorquando sia venuto a mancare il sinallagma funzionale a causa, appunto, dell’inadempimento di una delle parti.
La parte adempiente ha una duplice possibilità: chiedere l’adempimento, qualora abbia ancora interesse alla prestazione, o la risoluzione, qualora l’interesse manchi e si opti per lo scioglimento del vincolo contrattuale. Ovviamente, il ricorso ad uno strumento piuttosto che ad un altro non è senza limiti, giacché domandato l’adempimento si potrà sempre chiedere la risoluzione, ma mai il contrario.
L’art. 1455 c.c., richiamato nel caso commentato, prevede che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra” e, pertanto, chiarisce espressamente che una delle condizioni per la domanda di risoluzione è la gravità dell’inadempimento.
A parere di dottrina e giurisprudenza, la “non scarsa rilevanza dell’inadempimento” va valutata sotto il duplice aspetto oggettivo e soggettivo, ossia coordinando il giudizio sull’elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell’economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi, investendo le circostanze del concreto svolgimento del rapporto (cfr. Cass., Sez. II, 6 marzo 2012, n. 3477).
Più in particolare il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto – in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente – sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; nell’applicare il criterio soggettivo, invece, il giudicante deve considerare il comportamento di entrambe le parti un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra che può attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata (cfr. Cass., Sez. III, 18 febbraio 2008, n. 3954).
Sulla base di quanto appena esposto, è evidente che il giudice adito, nell’accoglimento della domanda attorea principale, abbia seguito l’orientamento maggioritario e tenuto conto di entrambi i criteri per la valutazione della gravità dell’inadempimento.
Ed invero, l’interesse all’esatto adempimento può desumersi dalla tempestiva condotta degli acquirenti, i quali hanno in tempi brevi sollecitato il venditore al rilascio della certificazione di agibilità e, dinnanzi all’inadempienza, agito giudizialmente, circostanza che ha portato il giudicante a sottolineare che “nessuna tacita tolleranza si veniva a configurare”.
Quanto al valore dell’inadempimento, rapportato al valore complessivo delle prestazioni contrattuali, può rinvenirsi nel fatto che il rilascio della certificazione di agibilità sia stato sospeso a causa della non corrispondenza urbanistica dell’immobile, circostanza evidentemente dipesa dallo scorretto modus agendi della venditrice.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 50/2014