ISSN 2385-1376
Testo massima
Il notaio non puntuale nella registrazione e trascrizione degli atti non incorre nella sanzione disciplinare della sospensione se si è “adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione”.
È quanto stabilito dalla Corte Cassazione con la sentenza n.3203, depositata il 12/02/2014, che mutuando il principio dalla giurisprudenza penale, ha esteso l’applicazione dell’attenuante generica alle sanzioni disciplinari a carico del professionista.
L’art. 144, comma 1, legge notarile (n. 89 del 1913), infatti, prevede che se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria è diminuita di un sesto e sono sostituite l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’art. 138 bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione.
Nel caso di specie la Commissione regionale competente aveva applicato ad un notaio la sanzione disciplinare della sospensione di otto mesi, per violazioni della L. n. 89 del 2013, art. 147(legge notarile), consistenti in numerose registrazioni, trascrizioni ed iscrizioni tardive. La Corte d’Appello, pronunciatasi sul caso, aveva ridotto la pena a tre mesi senza, però, riconoscere le attenuanti generiche, sul presupposto che la registrazione tardiva e il pagamento dei tributi fossero solo degli atti dovuti.
Il professionista aveva proposto, perciò, ricorso per cassazione facendo presente che il suo ravvedimento era scattato prima della contestazione degli addebiti e che, inoltre, l’azione riparatoria da lui posta in essere comportava la completa eliminazione degli effetti negativi delle violazioni, chiedendo, dunque, l’applicazione del citato art 144, comma primo della legge notarile.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso precisando che, essendo le violazioni poste in essere dal professionista di natura omissiva e non patrimoniale, ben rientrerebbero nell’ambito di azione dell’articolo in parola e che la circostanza per la quale l’eliminazione delle conseguenze dannose fosse atto dovuto da parte del professionista abitualmente in ritardo, non vale ad impedire l’applicazione del beneficio in esso sancito.
Sulla base di tali considerazioni il Supremo Collegio ha dunque ritenuto di allargare anche al disciplinare notarile il principio dell’attenuante generica previsto e disciplinato in ambito penale dall’art.62 n.6 c.p.
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Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
–
Ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso 26823/2012 proposto da:
C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA G MAZZINI 8, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS)
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NOTARILE DISTRETTI RIUNITI COSENZA ROSSANO CASTROVILLARI & PAOLA, PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO CATANZARO;
– intimati –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 31/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/06/2013 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con decisione del 28.7.2011 la Commissione regionale di disciplina della Calabria applicava al dr. C.S., notaio in Bisignano, la sanzione disciplinare della sospensione per otto mesi, per violazioni della L. n. 89 del 2013, art. 147, (legge notarile), consistenti, in particolare, in numerose registrazioni, trascrizioni ed iscrizioni tardive.
Il reclamo proposto contro tale provvedimento dal notaio C. era parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Catanzaro, con ordinanza del 31.10.2012, che riduceva la sanzione irrogata a tre mesi di sospensione. Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte calabrese riteneva ostativa alla concessione delle attenuanti generiche la ripetitività dei comportamenti e l’esistenza di altre violazioni disciplinari commesse dal notaio per fatti analoghi, anteriori e successivi. Osservava, inoltre, che non poteva ritenersi integrata neppure la fattispecie del ravvedimento operoso, atteso che le registrazioni tardive e il pagamento dei tributi costituivano atti dovuti.
Per la cassazione di tale ordinanza ricorre il notaio C., formulando due mezzi d’impugnazione.
Il consiglio notarile non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. – Col PRIMO MOTIVO il ricorrente deduce la violazione della L. n. 89 del 1913, art. 144, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Sostiene parte ricorrente che una volta concesse le attenuanti generiche ovvero verificata l’effettiva eliminazione delle conseguenze dannose (ravvedimento operoso) dell’illecito disciplinare ad opera del notaio, non residua alcuna discrezionalità nel concedere il beneficio della sostituzione della pena secondo il meccanismo previsto dall’art. 144 legge notarile.
Nella specie, si sostiene, la Corte territoriale, non solo non ha concesso, con motivazione illogica, le attenuanti generiche, ma altresì, pur dando atto che il notaio C. ha successivamente provveduto ad effettuare le registrazioni, trascrizioni ed iscrizioni di cui alla contestazione disciplinare e a pagare i tributi e le sanzioni relative, ha erroneamente ritenuto irrilevante tale condotta in quanto avente ad oggetto il compimento di atti dovuti.
2. – Col SECONDO MOTIVO è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 134 c.p.c., comma 1, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
La Corte d’appello ha illogicamente ritenuto che il pagamento tardivo costituisca un atto dovuto, senza considerare che nella specie i ridetti pagamenti sono stati effettuati ancor prima della contestazione dei relativi addebiti. In tal modo la Corte è incorsa in un difetto di motivazione per non aver estrinsecato il percorso logico arguito al riguardo, atteso che gli atti dovuti in questione costituivano l’oggetto della contestazione disciplinare, sicchè il pagamento rappresenta proprio l’eliminazione delle relative conseguenze dannose, rendendo così applicabile l’art. 144 legge notarile.
3. – I due motivi, da esaminare congiuntamente per l’identità della quaestio iuris che pongono, sono fondati.
3.1. – L’art. 144, comma 1, legge notarile (n. 89 del 1913) prevede che se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, si è adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria è diminuita di un sesto e sono sostituite l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’art. 138 bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione.
In un precedente (n. 14238/99) questa Corte ha avuto modo di affermare che l’annotazione tardiva di atti che il notaio abbia ricevuto anteriormente alla numerazione e vidimazione del repertorio, determina (soltanto) la cessazione della condotta vietata e costituisce comportamento suscettivo di valutazione per la concessione delle attenuanti, ai sensi dell’art. 144 della legge notarile. Dal che si ricava che la doverosità dell’atto ritardato non è ragione per escludere che il successivo compimento di esso, siccome ad ogni modo dovuto, rilevi in funzione attenuante.
3.2. – Tale conclusione (in realtà solo accennata nella sentenza anzi detta) deve condividersi e confermarsi.
3.2.1. – Mentre la seconda delle due attenuanti specifiche, previste dalla norma appena citata, presuppone la commissione di un illecito che abbia cagionato un danno di natura patrimoniale (come si desume dal sintagma avverbiale “riparato interamente”), la prima (l’essersi il notaio adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione) è da ritenersi tendenzialmente applicabile ad ogni tipo di illecito disciplinare che non abbia prodotto in concreto un danno patrimoniale, e segnatamente agli illeciti di tipo permanente, soltanto rispetto ai quali si può configurare una condotta di “eliminazione” e non già di riparazione. Se ne trae conferma dal fatto che, altrimenti, si rileverebbero all’interno della medesima norma due prescrizioni contraddittorie. Parificate dalla qualificazione patrimoniale del danno, per integrare la prima attenuante basterebbe “adoperarsi per”, mentre per la seconda sarebbe necessario “riparare interamente” il pregiudizio; con la conseguenza che quest’ultima previsione sarebbe posta invano, producendosi il medesimo effetto normativo con una condotta di minor spessore.
La conferma che l’attenuante relativa all’eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito si riferisce ai pregiudizi di natura non patrimoniale, si trae – indirettamente – dalla prevalente dottrina penalistica e dalla giurisprudenza penale di questa Corte sull’omologa attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 6, secondo cui l’elisione o l’attenuazione delle conseguenze del reato si riferiscono al danno in senso penalistico, inerente alla lesione del bene giuridico tutelato, e non riguarda, quindi, i reati contro il patrimonio o che comunque offendano il patrimonio (cfr. Cass. penale n. 5996/89).
3.2.2. – Se dunque le conseguenze dannose di cui all’art. 144, comma 1, legge notarile sono quelle non patrimoniali e si riferiscono all’oggetto giuridico dell’illecito, va da sè (cambiando ciò che v’è da cambiare) che la loro eliminazione si realizza mediante ogni condotta idonea a rimediare alla lesione del bene protetto dall’ordinamento notarile, non essendo d’ostacolo l’eventuale carattere omissivo di questa (ed anzi tenendo in conto il fatto che la gran parte degli illeciti disciplinari previsti dalla legge notarile ha, appunto, natura omissiva).
Negli illeciti commissivi la rimozione delle conseguenze dannose consiste nel compimento di un’attività uguale e contraria a quella integrante la violazione, sicchè essa non può esaurirsi nella condotta doverosa mancata, ma richiede un comportamento diverso e ulteriore, volto a modificare la situazione di fatto e di diritto prodottasi in contrasto con quella che, rispettando la prescrizione deontologica e professionale, si sarebbe verificata.
La prospettiva è, invece, diversa nel caso delle violazioni di tipo omissivo proprio, come quelle in oggetto, che in quanto tali non cagionano un evento in senso naturalistico. In tal caso le conseguenze dannose o pericolose apatrimoniali, dipendenti dal vulnus arrecato al bene protetto dalla norma, possono essere eliminate solo attraverso il compimento della condotta omessa. La doverosità di questa non è, pertanto, argomento valido ad escludere l’attenuante in parola, poichè non vi può essere altro comportamento resipiscente idoneo a porre rimedio alla violazione.
Quanto appena detto non è confutato dall’obiezione che anche gli illeciti omissivi propri, come quelli in esame, possono produrre danni patrimoniali a terzi. Proprio perchè in tale ipotesi – che però non corrisponde alla situazione di fatto accertata nella specie dalla Corte distrettuale – l’esistenza di un danno patrimoniale rende applicabile per via di assorbimento soltanto l’attenuante del risarcimento integrale, è evidente che nel caso inverso – assenti cioè, danni patrimoniali e inapplicabile, pertanto, quest’ultima attenuante – l’unico danno che è possibile eliminare è quello intrinseco alla violazione disciplinare e consistente nel porre in essere la condotta omessa, facendo cessare l’effetto permanente della lesione.
4. – Per le considerazioni svolte, in accoglimento del ricorso l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, che nel valutare la sanzione applicabile si atterrà ai principi anzi detti, e provvederà, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, che provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2014
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Numero Protocolo Interno : 113/2014