Gli atti in frode al ceto creditorio vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, e che non si identificano con quelle di cui agli artt. 64 e ss. L. F., inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza a fronte di una evidenziazione precedente del tutto inadeguata.
Sul piano soggettivo, gli atti di frode devono essere stati assunti con dolo, inteso come volontarietà del fatto.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sez. prima civile, Pres. Didone Antonio – Rel. Nazzicone Loredana, con la sentenza n. 3409 del 22.02.2016.
Nella fattispecie, la società debitrice proponeva ricorso per Cassazione avverso il decreto emesso dalla Corte d’Appello di Brescia con cui erano stati respinti i reclami proposti dalla Banca e dalla stessa debitrice, avverso il decreto emesso dal Tribunale di Cremona avente ad oggetto il diniego di omologa del concordato preventivo presentato dalla ricorrente.
La Corte d’Appello di Brescia aveva ravvisato la presenza di atti di frode verso il ceto creditorio, rilevanti ex art. 173 L.F., non essendo stati informati i creditori, nel piano, della reale situazione ed essendo emersi dagli accertamenti del commissario giudiziale, fatti potenzialmente idonei ad ingannare i creditori circa la reale consistenza del patrimonio della società, attesi pagamenti avvenuti in favore di banche successivi alla presentazione della domanda di concordato.
La società ricorrente deduceva, in primo luogo, la violazione o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., o in subordine degli artt. 99 e 100 c.p.c. ed art. 182 c.p.c. comma 2, per aver la corte territoriale reputato proposto il reclamo dalla liquidatrice in proprio e non in nome e per conto della società, con conseguente omissione di esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c. e nullità del procedimento per violazione del diritto di difesa.
In secondo luogo, la società in liquidazione eccepiva la violazione o falsa applicazione degli artt. 173, 175 e 180 L.F., posto che il commissario giudiziale nella relazione regolarmente depositata e comunicata ai creditori, non aveva mai discorso di atti di frode posti in essere dalla ricorrente, ma solo dell’incasso di titoli sui conti correnti sociali, destinati agli istituti di credito.
La Suprema Corte ravvisava il fatto che l’errata qualificazione del soggetto effettivamente reclamante, aveva impedito alla Corte l’esame della censura della violazione del diritto di difesa ed escludeva, peraltro, la sussistenza di atti in frode ai creditori, qualificati tali dal commissario giudiziale.
Secondo gli ermellini, infatti, i comportamenti fraudolenti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 173 L.F. presuppongono: a) l’esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell’impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale; b) il carattere doloso della divergenza, inteso come volontarietà del fatto.
Invero, nel caso considerato, i giudici di legittimità osservavano che la relazione del commissario giudiziale ex art. 172 L.F. aveva solo indicato la circostanza che alcuni titoli erano stati incassati, con devoluzione alle banche creditrici e che i creditori, esaminata la proposta e la relazione, avevano manifestato consenso ampiamente maggioritario al concordato, nulla statuendo in ordine alla legittimità o meno delle operazioni compiute.
Per quanto suesposto, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassava il decreto impugnato, rinviando innanzi alla Corte d’Appello di Brescia per nuovo esame, anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
FALLIMENTO – CONCORDATO PREVENTIVO – REVOCA AMMISSIONE – ATTI DI FRODE ESPLICITA CONOSCENZA DEI CREDITORI AL MOMENTO DELLA VOTAZIONE- ESCLUSIONE – INSUSSISTENZA
Cassazione civile, sezione prima – 23 Giugno 2011 n. 13817
http://www.expartecreditoris.it/provvedimento.php?id=290&catid=2
CONCORDATO: È LEGITTIMA LA REVOCA SE IL DEBITORE HA AVUTO COMPORTAMENTI ANTERIORI ALLA DOMANDA AVENTI VALENZA DECETTIVA
IL SILENZIO DELLA PROPOSTA DI CONCORDATO SU FATTI E CIRCOSTANZE NON PUÒ ESSERE RESO IRRILEVANTE DALLA RELATIVA ANNOTAZIONE SULLE SCRITTURE CONTABILI.
Sentenza Corte di Cassazione, prima sezione civile 15-10-2013 n.23387
CONCORDATO PREVENTIVO: IL TRIBUNALE PROCEDE D’UFFICIO ALLA REVOCA IN CASO DI FRODE DA PARTE DEL DEBITORE
IL COMMISSARIO GIUDIZIALE HA SOLO IL COMPITO DI ACCERTARE I FATTI E DI RIFERIRLI AL TRIBUNALE.
Sentenza Cassazione civile, prima sezione 24-04-2014 n.9271
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