Durante la pendenza di una procedura di concordato, non può ammettersi il corso di un autonomo procedimento prefallimentare, che si concluda con la dichiarazione di fallimento, indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173,179 e 180 L. fall..
Il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia infatti come un fenomeno di consequenzialità (eventuale, del fallimento, all’esito negativo della procedura di concordato) che determina un’esigenza di coordinamento fra i due procedimenti e che impone la necessità di esaminare dapprima la domanda di concordato e, solo nel caso di mancata apertura dello stesso, quella di fallimento.
Sul piano strettamente processuale, detto rapporto si configura in termini di c.d. continenza per specularità, atteso che la domanda di concordato e l’istanza o la richiesta di fallimento sono iniziative tra loro incompatibili ma dirette a regolare la medesima situazione di crisi: ne consegue che i relativi procedimenti vanno riuniti ai sensi dell’art. 273 c.p.c. se pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, mentre, nell’ipotesi in cui essi pendano dinanzi ad uffici giudiziari diversi, deve trovare applicazione il disposto dell’art. 39 II comma c.p.c.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sez. sesta, Pres. Dogliotti – Rel. Cristiano con l’ordinanza n. 14518 del 16 maggio 2016, pronunciandosi sul regolamento di competenza d’ufficio richiesto dal Tribunale di Milano, a seguito della domanda di concordato preventivo proposta da una società s.r.l. in liquidazione.
La società, dopo aver trasferito la propria sede legale da Roma a Milano, presentava domanda di concordato preventivo al Tribunale di Roma, dinanzi al quale già pendeva il procedimento per la dichiarazione di fallimento introdotto nei suoi confronti da un Ente di Riscossione.
Il Tribunale di Roma declinava la propria competenza a decidere della domanda di concordato, ritenendo territorialmente competente il Tribunale di Milano, atteso che, a differenza dell’istanza di fallimento, detta domanda era stata depositata oltre il termine di un anno di cui all’art. 9 II comma L. fall..
Il Tribunale di Milano sollevava, quindi, d’ufficio, conflitto di competenza.
La Suprema Corte adita ha stabilito che la competenza appartiene al Tribunale di Roma, richiamando al riguardo la sentenza n. 9936/2015, resa a Sezioni Unite, con cui è stato affermato che durante la pendenza di una procedura di concordato, non può ammettersi il corso di un autonomo procedimento prefallimentare, che si concluda con la dichiarazione di fallimento, indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173,179 e 180 L. fall..
Come chiarito nella citata sentenza, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia infatti come un fenomeno di consequenzialità (eventuale, del fallimento, all’esito negativo della procedura di concordato) che determina un’esigenza di coordinamento fra i due procedimenti e che impone la necessità di esaminare dapprima la domanda di concordato e, solo nel caso di mancata apertura dello stesso, quella di fallimento.
La Corte ha, altresì, chiarito che sul piano strettamente processuale, detto rapporto si configura in termini di c.d. continenza per specularità, atteso che la domanda di concordato e l’istanza o la richiesta di fallimento sono iniziative tra loro incompatibili ma dirette a regolare la medesima situazione di crisi: ne consegue che i relativi procedimenti vanno riuniti ai sensi dell’art. 273 c.p.c. se pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, mentre, nell’ipotesi in cui essi pendano dinanzi ad uffici giudiziari diversi, deve trovare applicazione il disposto dell’art. 39 II comma c.p.c.
Ha, infine, aggiunto che l’art. 161 L. fall. non stabilisce l’inderogabilità della competenza territoriale del tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale a decidere sulla domanda di concordato.
Nel caso di specie, il Tribunale di Roma, sicuramente competente a decidere sull’istanza di fallimento ai sensi dell’art. 9, II comma L. fall., non poteva pertanto declinare la propria competenza territoriale rispetto alla sola domanda di concordato depositata dalla società (e ciò a prescindere dal rilievo che il trasferimento della sede sociale non poteva ritenersi sic et simpliciter effettivo solo perché era decorso oltre un anno dalla sua iscrizione nel R.I.), ma era tenuto a disporre la riunione dei due procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c.
Per tali ragioni, la Corte dichiarava la competenza del Tribunale di Roma, al quale rimetteva gli atti del procedimento relativo alla domanda di concordato preventivo depositata dalla società.
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