Testo massima
Nella procedura di concordato preventivo a differenza di quanto invece avviene per il fallimento – non è prevista una procedura di verificazione dei crediti concorsuali. Il liquidatore può pertanto modificare le proprie valutazioni in merito all’esistenza, alla consistenza ed al rango privilegiato o chirografario dei singoli crediti. Se il creditore non dovesse essere d’accordo con le valutazioni del liquidatore, lo stesso può rivolgersi nelle forme ordinarie all’autorità giudiziaria ordinaria per far accertare il credito in contraddittorio con la procedura concorsuale. La distribuzione dell’attivo concordatario potrà anche avvenire mediante formali piani di riparto, per ragioni di ordine e di vigilanza sulla procedura, ma senza che il relativo decreto di approvazione abbia alcuna valenza decisoria.
In forza di quanto previsto dall’art. 186 L.F., il concordato preventivo non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza, quindi è necessaria l’esistenza di un grave pregiudizio per poter essere pronunciata la dichiarazione di risoluzione. Il grave pregiudizio è dunque presupposto sostanziale sia per l’accoglimento della domanda di risoluzione del concordato preventivo sia il presupposto di ammissibilità della richiesta avanzata dal creditore. Ne consegue pertanto che: a) il grave pregiudizio deve essere affermato ed effettivamente subito da chi agisce per la risoluzione del concordato; b) il grave pregiudizio deve riguardare in modo esiziale le medesime obbligazioni discendenti dall’omologazione del concordato nel senso di riflettersi sull’equilibrio e sul fondamento dell’impianto obbligatorio così come ridisegnato dall’accettazione successiva omologa del concordato.
Sono questi i principi sanciti dal Tribunale di Ravenna investito della cognizione del caso che ha visto un creditore presentare ricorso per la risoluzione del concordato preventivo di una società per azioni in liquidazione già oggetto di omologazione di cui chiedeva la dichiarazione di fallimento.
Il ricorrente deduceva innanzitutto il fatto che il liquidatore aveva contestato il credito ed aveva promosso un giudizio arbitrale diretto al suo accertamento con conseguente aggravio di spese non previste dal piano di riparto, a cui aveva fatto seguito un’ulteriore analoga iniziativa giudiziaria rispetto alla quale l’istante non aveva tuttavia interesse a partecipare.
A sostegno della richiesta di risoluzione del concordato preventivo, il ricorrente lamentava pertanto non solo l’insufficienza delle somme residue a disposizione del liquidatore, ma anche il fatto che gli altri creditori di pari grado chirografario avevano ricevuto ulteriori riparti per una percentuale di soddisfacimento del credito superiore rispetto a quella riconosciuta all’istante in violazione della par condicio creditorum.
Nel corso dell’esame della domanda presentata dall’istante, il Tribunale di Ravenna ha rilevato, in via preliminare, come la procedura concorsuale oggetto della controversia doveva essere qualificata come concordato con garanzia della percentuale del 30% offerta ai creditori chirografari, alla luce della decisione assunta, in via incidentale, dalla Corte di Appello di Bologna all’esito del giudizio di impugnazione del decreto di omologazione parallelamente proposto dalla società in liquidazione.
Il Tribunale di Ravenna riteneva che la qualificazione operata dalla Corte di Appello di Bologna doveva ritenersi vincolante nel giudizio promosso dal creditore ricorrente, il quale peraltro conveniva in merito alla natura della procedura come concordato in garanzia, giacché l’istante, a sostegno della propria domanda, aveva contestato il fatto di aver ricevuto solo il 10% del credito rispetto alla maggiore percentuale promessa.
Nell’affrontare nel merito la questione sottoposta alla sua cognizione, il Tribunale di Ravenna ha innanzitutto sottolineato che nella procedura di concordato preventivo manca una fase di accertamento dei crediti.
Nel concordato preventivo infatti ogni decisione del giudice delegato, in fase di ammissione al voto,
ha natura incidentale, non decisoria e non vincolante, così come previsto dall’art. 176 L.F. in materia di crediti contestati.
L’art. 176 L.F. prevede infatti che il giudice delegato possa ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi. I creditori esclusi hanno tuttavia la possibilità di opporsi alla esclusione in sede di omologazione del concordato nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze.
Ciò trova conferma nella giurisprudenza che ha affermato come le questioni aventi ad oggetto i diritti pretesi dai singoli creditori o dal debitore attinenti all’esecuzione del concordato preventivo danno luogo a controversie sottratte al potere decisionale del giudice delegato perché costituiscono materia del contendere devoluta alla cognizione del giudizio ordinario laddove la procedura di concordato si sia esaurita con il decreto di omologazione (Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza, 24 settembre 2012, n. 16187).
Nel caso pertanto in cui si verifichi un contrasto in merito alla misura o alla natura privilegiata o chirografaria del credito in un momento successivo al decreto di omologa del concordato preventivo, la decisione deve essere rimessa alla cognizione del giudice ordinario o all’arbitrato – qualora ne ricorra la competenza – in ragione del fatto che nella procedura concordataria manca la fase di accertamento dei crediti.
Si tratta di un’impostazione di principio che trova applicazione anche nell’ambito della procedura di concordato preventivo per garanzia, visto che il creditore ed il debitore hanno entrambi la possibilità di promuovere un’azione diretta all’accertamento in merito all’esistenza e all’entità del credito. Per poter esercitare tale azione il creditore o il debitore deve però radicare un autonomo giudizio di cognizione che può essere avviato sia anteriormente alla procedura concorsuale sia nel corso della stessa (Cassazione civile, sezione prima, 22 dicembre 2006, n. 27489).
Il Tribunale di Ravenna ha convenuto sul fatto che le disposizioni che regolano il concordato preventivo non prevedono – diversamente rispetto a quanto accade per il fallimento ove si procede attraverso la formazione dello stato passivo una procedura di verificazione dei crediti concorsuali.
Il liquidatore ha pertanto sempre la possibilità di modificare le proprie valutazioni in ordine all’esistenza, alla consistenza ed al rango chirografario o privilegiato dei singoli crediti (Cassazione civile, sezione prima, 17 giugno 1995, n. 6859).
Il creditore che non dovesse concordare con le valutazioni espresse dal liquidatore ha tuttavia la possibilità di far accertare il proprio credito in contraddittorio con la procedura concorsuale rivolgendosi all’autorità giudiziaria nelle forme ordinarie (Tribunale di Bassano del Grappa, 28 maggio 2013). Per ragioni di ordine e di vigilanza, la distribuzione dell’attivo può tuttavia avvenire attraverso l’uso di formali piani di riparto, ma il decreto di approvazione non può avere alcuna valenza decisoria.
Il Tribunale di Ravenna ha dunque ritenuto che il creditore ricorrente non possa invocare l’accertamento in ordine all’entità del credito.
Nè può essere accolta la richiesta di risoluzione del concordato preventivo, stante la mancanza del termine di paragone rispetto al quale verificare la gravità dell’inadempimento alla luce di quanto previsto dall’art. 186 L.F..
L’art. 186 L.F. prevede infatti che ciascuno dei creditori può richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento, ma tale risultato può essere conseguito soltanto in presenza di un grave pregiudizio, giacché l’inadempienza non deve essere di scarsa importanza.
Il grave pregiudizio costituisce sia il presupposto sostanziale per l’accoglimento della domanda di risoluzione del concordato preventivo sia il presupposto di ammissibilità dell’istanza avanzata dal creditore.
È pertanto necessario verificare – in primo luogo – che il grave pregiudizio sia affermato ed effettivamente subito da chi agisce per la risoluzione del concordato preventivo. In secondo luogo è indispensabile accertare che il grave pregiudizio abbia riguardato le obbligazioni discendenti dall’omologazione del concordato preventivo. È infatti essenziale che il grave pregiudizio si sia riflesso sull’equilibrio e sul fondamento dell’impianto obbligatorio così come determinato dall’accettazione e dalla successiva omologa del concordato preventivo.
Il Tribunale di Ravenna ha pertanto respinto la richiesta avanzata dal creditore perché l’accertamento in ordine all’entità del credito deve essere escluso quando quest’ultimo è oggetto di una verifica giudiziale o arbitrale ancora pendente.
L’accertamento va altresì escluso quando il credito abbia già fruito di un riparto parziale e siano stati già adempiuti gli altri obblighi concordatari.
Testo del provvedimento
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