ISSN 2385-1376
Testo massima
In caso di risoluzione del concordato preventivo e conseguente dichiarazione di fallimento, in applicazione analogica del principio sancito dall’articolo 140, comma 3, legge fall., in tema di concordato fallimentare – secondo il quale i creditori anteriori alla riapertura della procedura fallimentare sono esonerati dalla restituzione di quanto hanno riscosso in base al concordato risolto o annullato, sempre che si tratti di riscossioni valide ed efficaci e non di riscossioni alle quali essi non avevano diritto – sono privi di efficacia quegli atti che, pur trovando la loro ragione d’essere nella procedura concordataria, siano divenuti estranei alle finalità dell’istituto, in quanto eseguiti al di là dei limiti stabiliti nella sentenza di omologazione o in violazione del principio della par condicio creditorum e dell’ordine delle prelazioni.
In caso di risoluzione del concordato preventivo e conseguente dichiarazione di fallimento, l’azione recuperatoria esperita dal curatore volta alla restituzione dei pagamenti eseguiti nell’ambito della procedura concordataria, in quanto eseguiti in violazione dell’ordine delle prelazioni, non può essere configurata come azione per la ripetizione dell’indebito, trattandosi non di ripetere ciò che è stato pagato e “non dovuto” di cui all’art. 2033 c.c., bensì di pagamenti che divengono inefficaci nella successiva apertura del fallimento.
L’azione volta a far dichiarare l’inefficacia dei pagamenti eseguiti in ragione del concordato preventivo risolto o annullato si prescrive nel termine di cinque anni e il dies a quo decorre da quando l’azione può essere promossa ex art.2935 c.c. e dunque dall’instaurazione della carica curatoriale.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sezione Prima, Pres. Ceccherini – Rel. Ferro, con la sentenza n. 509 del 14.01.2016, in un giudizio ove la curatela fallimentare aveva chiesto la restituzione ex art. 2033 cc di taluni pagamenti effettuati, in esecuzione della procedura di concordato preventivo, poi risolto, in favore di una Banca, creditore chirografario, a differenza di altri creditori di pari rango, non soddisfatti e dei creditori privilegiati.
La Corte di Appello, nell’accogliere l’appello del FALLIMENTO avverso la sentenza del Tribunale, riconosceva che, una volta risolto il concordato preventivo e conseguentemente dichiarato il fallimento, i pagamenti effettuati in esecuzione della prima procedura non mantenevano in concreto la loro efficacia, dovendosi invero – accogliendo la domanda di restituzione – fare applicazione dell’art. 2033 c.c., in correlazione alla L. Fall., art. 140, ed alla corrispondente eccezione di cui al comma 3.
In particolare, la Corte d’Appello, richiamando l’applicazione analogica della L. Fall., art. 140, comma 3, esclusa dal tribunale e dunque la superabilità del principio della conservazione dei pagamenti regolarmente disposti e percepiti, affermava la violazione della par condicio creditorum in relazione ai pagamenti percepiti dalla banca, creditore chirografario ma a differenza di altri creditori di pari rango, invece non soddisfatti e anche di creditori privilegiati, come emerso dalla sentenza, passata in giudicato, di risoluzione del concordato e conseguente dichiarazione di fallimento.
Proposto ricorso per Cassazione da parte dell’istituto di credito, la Corte di Cassazione muove il proprio esame richiamando il principio secondo cui, in caso di risoluzione del concordato preventivo e di conseguente dichiarazione di fallimento, in applicazione analogica del principio sancito dalla L. Fall., art. 140, comma 3, in tema di concordato fallimentare – secondo cui i creditori anteriori alla riapertura della procedura fallimentare sono esonerati dalla restituzione di quanto hanno riscosso in base al concordato risolto o annullato, sempre che si tratti di riscossioni valide ed efficaci e non di riscossioni cui essi non avevano diritto – sono privi di efficacia quegli atti che, pur trovando la loro ragione d’essere nella procedura concordataria, siano divenuti estranei alle finalità dell’istituto, in quanto eseguiti al di là dei limiti stabiliti nella sentenza di omologazione o in violazione del principio della “par condicio creditorum” e dell’ordine delle prelazioni.
La Corte precisa trattarsi di un’azione che, pur non appartenendo in senso stretto a quelle di revocatoria fallimentare (di cui al sistema della L. Fall., artt. 66 e 67), da esse si differenzia per una semplificazione in punto di elementi costitutivi, apparendo invero e tra essi la prova dell’insolvenza non necessaria e tuttavia, proprio perchè ispirata ad un’eccezione alla stabilità delle riscossioni (enunciata come principio espresso alla L. Fall., art. 140, per il concordato fallimentare) e addirittura configurata solo in via giurisprudenziale alla luce di un’esigenza di armonizzazione con i pagamenti avvenuti nel concordato preventivo, ad avviso della Corte, essa impone una lettura indubbiamente restrittiva dei suoi presupposti operativi.
Da tanto il collegio fa conseguire non soltanto che l’azione esperita è esercitabile esclusivamente a vantaggio della massa dei creditori così costituita, per cui la legittimazione è circoscritta al solo organo concorsuale, ma che non sia corretta la configurazione fatta propria dalla sentenza impugnata, tenuto conto che la mancanza di obbligo “a restituire quanto…riscosso” L. Fall., ex art. 140, comma 3 non rinvia ad una locuzione agilmente armonizzabile con “il diritto di ripetere” ciò che è stato pagato e “non dovuto” di cui all’art. 2033 c.c., non potendosi discorrere di pagamenti vietati in punto di validità per coloro che li hanno ricevuti, stante l’attuazione di essi in conformità allo statuto di creditori (ammessi al passivo nel concordato fallimentare ovvero non contestati nel concordato preventivo) e per mano dell’organo concorsuale o con il suo controllo.
Rilevata, pertanto, un’identità di ratio rispetto alle azioni di revocazione di cui alla L. Fall., artt. 66 e 67, la Corte di Cassazione ritiene doversi discorrere, “di oggettiva ripetibilità derivante dalla caducazione del titolo della prestazione percepita”, precisando però che il suo fondamento presuppone che la perdita di titolo alla conservazione, nel successivo fallimento, di quanto ricevuto in via solutoria nel concordato preventivo, poi risolto, si correli da un lato alla natura concordataria del credito soddisfatto e dall’altro all’incidenza che il pagamento abbia determinato nella sequenza d’ordine delle cause di prelazione (mediante posposizioni senza ragione ovvero omissioni o disparità adempitive) ovvero nel rispetto più piano della par condicio creditorum (tra crediti chirografari, aventi tutti diritto al medesimo trattamento).
La Corte ritiene cioè che la fattispecie in esame sia più che altro riconducibile a situazioni che sottraggono causa al pagamento, già disposto con il concorso degli organi della procedura e non colpito da altro rilievo di irregolarità, divenendo dunque esso, nella successiva apertura del fallimento inefficace, ma non in quanto oggettivamente non dovuto, nè perchè l’azione già fosse nel patrimonio dell’insolvente, ma in quanto il riconoscimento della sua avvenuta difformità rispetto ai canoni legali di soddisfacimento concordatario viene fatto valere dal curatore, a vantaggio di tutti i creditori e ad invocazione della sua inefficacia rispetto a questi.
Da tale configurazione, la Corte, infine, fa conseguire il principio che, trattandosi di declaratoria d’inefficacia, la relativa azione si prescrive non nell’ordinario decennio ai sensi dell’art. 2946 c.c., bensì nel quinquennio già posto in via generale per tutte le azioni ed ora divenuto termine di decadenza, alla stregua di quanto sancito dalla L. Fall., art. 69 bis, con l’ulteriore conseguenza che il dies a quo, ai fini del calcolo della prescrizione, decorre da quando l’azione può essere promossa ex art. 2935 c.c. e dunque dall’instaurazione della carica curatoriale.
Sulla base di tale iter argomentativo, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e per l’effetto rigettato la domanda, in quanto esercitata dal curatore oltre il termine di prescrizione quinquiennale.
Sul tema, si segnala altro precedente giurisprudenziale, di senso contrario a quanto affermato nella sentenza in commento e precisamente la sentenza del Tribunale di Salerno dott. Alessandro Brancaccio n. 4928 del 21.10.2014 , ove è stato affermato il principio secondo cui che, ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. e) cit, non sono suscettibili di revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo.
REVOCATORIA FALLIMENTARE: ESCLUSI I PAGAMENTI E LE GARANZIE POSTI IN ESSERE IN ESECUZIONE DEL CONCORDATO PREVENTIVO
IL LEGISLATORE HA PRIVILEGIATO LA CONTINUITÀ AZIENDALE E IL SALVATAGGIO DELLE IMPRESE IN CRISI RISPETTO ALLA PAR CONDICIO CREDITORUM
Gli atti, i pagamenti e le garanzie astrattamente revocabili ai sensi dell’art. 67, commi 1 e 2, R.D. 267/1942 diventano intangibili se posti in essere in attuazione di un concordato preventivo o di un accordo omologato di ristrutturazione dei debiti avendo il legislatore introdotto al terzo comma del citato articolo una ipotesi di esenzione privilegiando la continuità aziendale e il salvataggio delle imprese in crisi rispetto alla par condicio creditorum
Sentenza Tribunale di Salerno, dott. Alessandro Brancaccio 21-10-2014 n.4928
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 121/2016