ISSN 2385-1376
Testo massima
Il creditore che ritiene di conseguire un soddisfacimento maggiore rispetto a quello conseguibile in caso di apertura della procedura fallimentare, è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa ai sensi dell’articolo 173, comma 2, L.F. o ad intervenire ad adiuvandum nel giudizio di impugnazione proposto in via principale dal fallito, in virtù del principio dell’art. 18, comma 1, L.F. che attribuisce la legittimazione a “qualunque interessato”, indipendentemente dal fatto che questi abbia partecipato all’istruttoria prefallimentare.
I pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l’automatica revoca, ai sensi dell’art. 173 u. comma L.F., dell’ammissione alla procedura, la quale consegue solo all’accertamento, che va compiuto dal giudice del merito, che tali pagamenti sono diretti a frodare le ragioni dei creditori, in quanto pregiudicano le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato.
Questi sono i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione, prima sezione, Pres. Ceccherini Rel. Cristiano, con la sentenza n. 3324 del 19 febbraio 2016.
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Messina aveva respinto il reclamo proposto dalla società fallita e dalla sua creditrice contro la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il fallimento della prima società, revocando l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
In particolare, le due società lamentavano l’omessa comunicazione della fissazione dell’udienza camerale per la revoca del concordato e, pertanto, si rivolgevano alla Suprema Corte per sentir dichiarare la nullità del procedimento per violazione del diritto di difesa dei creditori.
La Corte di Cassazione ha dichiarato la nullità relativa e non assoluta della sentenza dichiarativa di fallimento, sulla base della seguente motivazione: la Corte territoriale ha respinto il reclamo sostenendo che la società debitrice non era legittimata a sollevare tale eccezione, avendo compiuti atti fraudolenti consistiti in vari e reiterati pagamenti di debiti sorti sia prima, che dopo l’apertura della procedura concordataria, senza l’autorizzazione del giudice delegato e, pertanto, avendo l’interesse esattamente contrario a quello dei creditori, a sentir dichiarare il fallimento.
In realtà, la Corte di Appello non ha tenuto conto che il reclamo era stato proposto anche dalla società creditrice. Infatti, l’interesse del debitore di evitare il fallimento ben può corrispondere allo stesso interesse del creditore, anche per il solo fatto che il concordato gli assicuri un soddisfacimento maggiore rispetto a quello che potrebbe conseguire in caso di apertura della procedura fallimentare.
Tra l’altro, l’art. 18, 1° comma, L.F. stabilisce che “contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto appello dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi entro trenta giorni presso la corte d’appello”.
Anche il creditore, pertanto quale soggetto pregiudicato dal fallimento, può essere legittimato a proporre reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento o a spiegare intervento ad adiuvandum nel giudizio di impugnazione proposto dal fallito in via principale.
Per quanto riguarda, poi, gli atti compiuti senza l’autorizzazione del giudice delegato, la Suprema Corte ha ritenuto che solo quelli eccedenti l’ordinaria amministrazione sono sottoposti al vaglio del g.d., e che tra questi non possono rientrare i pagamenti di debiti scaduti che scaturiscono o da rapporti sorti antecedentemente all’ammissione al concordato o da esigenze di tutela del patrimonio e che i pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l’automatica revoca, dovendo il Giudice valutare concretamente il pregiudizio alle possibilità di adempimento della proposta negoziale formulata con la domanda di concordato.
Alla luce delle argomentazioni esposte, la Suprema Corte ha cassato con rinvio al giudice di merito, rinviando alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione al fine di delle rivalutazione della fattispecie alla luce di principi di diritto espressi.
Testo del provvedimento
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