Le contestazioni alla consulenza tecnica di ufficio sollevate dalle parti e non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive che, sebbene non di carattere tecnico giuridico, possono essere svolte nella comparsa conclusionale sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, e che il breve termine a disposizione per la memoria di replica, non si traduca nella violazione del principio del contradditorio.
E’, dunque, ammissibile il deposito di una consulenza di parte con la comparsa conclusionale trattandosi una mera allegazione difensiva di natura tecnica, la cui produzione non rientra nel divieto di cui all’art. 345 c.p.c..
L’esposizione di argomenti critici a confutazione della c.t.u. solo in comparsa conclusionale sarà valutata dal giudice come ogni altra condotta delle parti e dei loro difensori, caso per caso, sotto la lente dell’obbligo di correttezza e buona fede processuale.
Questi i principi espressi dalla Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Ragonesi – Rel. Nazzicone, con la sentenza n. 15418 del 26.07.2016.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della decisione del Tribunale di Pesaro, aveva respinto la domanda di accertamento della contraffazione della porzione italiana di un brevetto europeo nella titolarità di una società e le connesse domande di accertamento della concorrenza sleale, risarcimento del danno ed accessorie, proposte da quest’ultima contro altra società.
La Corte territoriale aveva ritenuto, in particolare, non sussistente la dedotta contraffazione, in ragione del fatto che, mentre il brevetto dell’attrice prevedeva in relazione all’elemento di estrazione un movimento combinato di rotazione ed avanzamento, in quello della convenuta, il movimento riscontrato nelle macchine risultava essere incontrollabile ed indesiderato, unico e non duplice, esistente solo per la fase iniziale e non per tutto il processo di stallonatura: ad avviso del giudice di seconde cure, infatti, solo la combinazione dei due distinti movimenti avrebbe potuto rappresentare un equivalente della soluzione del brevetto.
La Corte adita, aveva richiamato, in proposito, le conclusioni tratte dalla consulenza di parte, ritenuta utilizzabile dal giudice in quanto avente valore di allegazione difensiva ed in quanto, sul punto, le parti già avevano avuto modo di interloquire in primo grado.
Avverso questa sentenza veniva proposto ricorso per cassazione dalla soccombente, sulla base di otto motivi.
Resisteva con controricorso l’intimata.
La ricorrente deduceva, tra l’altro, la violazione e la falsa applicazione degli art. 183 e 184 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto tardiva la produzione di un parere tecnico, sebbene allegato solo alla comparsa conclusionale in primo grado, dopo che il tribunale aveva rilevato il decorso del termine a tal fine assegnato alle parti, nonché la violazione e la falsa applicazione degli art. 152 e 154 c.p.c., in ragione del decorso del termine fissato dal giudice per osservazioni alla c.t.u., spirato senza che l’attrice avesse depositato la relazione tecnica oggetto di contestazione, ma solo del proprio c.t.p..
La Suprema Corte, preliminarmente, richiamava, in ordine all’ammissibilità delle osservazioni critiche alla c.t.u. svolte dalla parte nella comparsa conclusionale, due distinti orientamenti.
Da una parte, l’orientamento secondo cui con la comparsa conclusionale la parte può svolgere nuove ragioni di dissenso e di contestazione avverso le valutazioni e le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa, che non ampliano l’ambito oggettivo della controversia.
Dall’altra, la teoria secondo la quale le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale.
Gli ermellini osservavano, in proposito, che la consulenza di parte costituisce una mera allegazione difensiva di natura tecnica, alla stregua degli atti della parte medesima, la cui allegazione al procedimento è regolata dalle norme che li disciplinano, non valendo la natura tecnica del documento ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo: in altri termini, la relativa produzione non rientra nel divieto di cui all’art. 345 c.p.c. ed il giudice di merito che intenda esprimere un convincimento ad essa contrario, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto.
Orbene, la Corte adita sottolineava che, in linea generale, le contestazioni sollevate dlle parti in ordine ad una c.t.u. possono riguardare il procedimento, oppure il contenuto di essa: se le prime integrano eccezioni di nullità e si inquadrano nell’ambito di applicazione degli art. 156-157 c.p.c., onde la relativa eccezione va sollevata nella prima difesa, le seconde costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico-giuridico, le quali non soggiacciono a detto rigoroso termine di decadenza.
Ove, nel procedimento volto all’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, le parti abbiano rispettato il termine fissato dal giudice per il deposito della c.t.p. che alla prima rivolga osservazioni critiche, sorge l’obbligo per il consulente tecnico d’ufficio di rispondere ad esse e per il giudice di tenerne conto nella sua decisione. Viceversa, ove il parere tecnico di parte non sia prodotto entro il termine assegnato dal giudice, non sussistono detti connessi obblighi; ma ciò non vuol dire che quelle argomentazioni tecniche siano ormai precluse nel processo.
I soli limiti rilevanti al riguardo consistono, pertanto, nel divieto di introdurre per questa via in giudizio dopo che siano decorsi i relativi termini fissati dal codice di rito fatti costitutivi, modificativi od estintivi nuovi, nuove domande o eccezioni e nuove prove, nonché di rispettare il contraddittorio, in modo che la controparte abbia la possibilità di replicare in un proprio atto, successivo a quello che tali nuove difese abbia introdotto.
Rispettate tali condizioni, le confutazioni e le critiche alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio ben possono essere svolte nella comparsa conclusionale, anche mediante argomentazioni tecniche “suggerite” da un esperto della specifica materia extragiuridica.
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, l’esposizione di argomenti critici a confutazione della consulenza tecnica d’ufficio solo in comparsa conclusionale deve essere valutata dal giudice, come ogni altra condotta delle parti e dei loro difensori, sotto la lente dell’obbligo di correttezza e buona fede processuale.
Per quanto suesposto, la Cassazione rigettava il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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