ISSN 2385-1376
Testo massima
“La cointestazione di un conto corrente dà luogo a una presunzione di contitolarità dell’oggetto del contratto che può essere superata in presenza di risultanze di segno opposto”
Così ha deciso la Corte di Cassazione nel caso de quo, suffragando ulteriormente una corrente giurisprudenziale consolidata in seno alla stessa Corte, secondo la quale la cointestazione di un conto, da cui far discendere la contitolarità delle somme ivi versate, è da considerarsi alla stregua di una presunzione semplice e come tale suscettibile di essere sfatata da prova contraria, (nel caso de quo la documentazione bancaria prodotta nei gradi di merito dall’attore).
Nel caso di specie, accadeva che, nel corso di un giudizio di separazione, il marito richiedeva al Giudice, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme che erano state prelevate dalla moglie da un conto comune, alimentato unicamente da versamenti effettuati dal marito.
Quest’ultimo asseriva che la moglie, approfittando della sua fiducia, aveva nel tempo prelevato ingenti somme, non utilizzandole per le necessità proprie della coppia, ma versandole in altri conti personali.
Nel giudizio di primo grado, introdotto nel 1998 e successivamente riassunto nei confronti delle eredi della ex moglie, deceduta nelle more del processo, il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere e rigettava le domande svolte da entrambi i contendenti, compensando le spese.
Impugnata la sentenza di primo grado presso la Corte d’Appello, il marito ribadiva le domande spiegate in primo grado, tra le quali quella relativa alla condanna delle eredi della moglie alla restituzione delle somme indebitamente prelevate dal conto corrente comune.
la Corte territoriale disattendeva le argomentazioni del marito e rigettava la domanda per difetto di prova oggettiva e certa in ordine alla provenienza dei fondi e, per di più, sentenziava, in evidente ultrapetizione rispetto alle eccezioni sollevate dalle convenute, che in un caso come quello in esame, l’apertura da parte di un coniuge di un conto comune alimentato con versamenti effettuati da una sola parte, potrebbe essere considerato alla stregua di una donazione indiretta, effettuata da un coniuge a favore dell’altro in costanza di matrimonio.
L’ex marito allora adiva la Suprema Corte di Cassazione, chiedendo agli ermellini se la presunzione di contitolarità fosse una presunzione juris tantum, suscettibile di prova contraria e se la documentazione bancaria prodotta in giudizio fosse sufficiente a tale scopo.
Inoltre, chiedeva se la qualificazione giuridica di donazione indiretta operata dai giudici di merito, senza una espressa deduzione della parte interessata, senza alcuna individuazione dell’animus donandi integrasse o meno ultra o extra petizione.
La Corte, dichiarando fondati entrambi i motivi, si pronunciava in favore del ricorrente.
Con la sentenza in commento si assiste ad un’inversione di tendenza, che pone maggiore attenzione sulla tutela degli interessi del reale titolare di un conto corrente al di là della formale contitolarità di questo con un altro soggetto.
In un’ottica più lungimirante, si può ritenere che tale pronuncia abbia potenzialità espansive non indifferenti. Si potrebbe intravedere, infatti, nel principio di diritto espresso dal Supremo Collegio, un baluardo a presidio non soltanto del titolare effettivo delle somme presenti nel conto, ma anche dei suoi aventi causa.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8056/2008 proposto da:
F.M.A.;
– RICORRENTE –
contro
A.F., A.P.;
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 2057/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/07/2007;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel giudizio di separazione personale introdotto il 30.05.1998 da F.M.A. nei confronti della moglie M. A., l’adito Tribunale di Milano, anche a seguito della morte di quest’ultima sopravvenuta il 25.02.2001 e della riassunzione del giudizio, pronunciava nei confronti del F. e di F. e A.P., figlie di altro matrimonio della M. e di lei eredi, la sentenza 12608/03 del 4.06-15.09.2003, con cui dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alle contrapposte domande di separazione svolte dai coniugi ed alle reciproche istanze di addebito della separazione nonchè in ordine alla pretesa alimentare o comunque di mantenimento svolta in via riconvenzionale dalla parte convenuta; dichiarava inammissibile la domanda tardivamente svolta dalla medesima convenuta per il pagamento delle somme maturate a suo credito in forza dei provvedimenti provvisori emessi dal Presidente del Tribunale il 12.10.1998, inerenti all’attribuzione di un contributo di mantenimento in favore della stessa ed a carico del ricorrente, dichiarava in conseguenza l’inefficacia dell’autorizzato sequestro conservativo ed ordinava, pertanto, la cancellazione della relativa trascrizione; rigettava la domanda svolta dal ricorrente nei confronti della M. e quindi delle A., volta alla restituzione delle somme dalla moglie indebitamente prelevate, durante il matrimonio, dal conto corrente cointestato, compensava integralmente le spese processuali.
Con sentenza del 4-14.07.2007 la Corte di appello di Milano, decidendo sul gravame proposto dal F. nei confronti delle A., che resistevano all’impugnazione e chiedevano la conferma della prima pronuncia, dichiarava l’inefficacia dei provvedimenti provvisori assunti dal Presidente del Tribunale di Milano il 12/10/1998, respingeva ogni altra domanda ed eccezione, confermando l’appellata sentenza, compensava 1/3 delle spese processuali e poneva a carico del F. il pagamento della restante parte.
La Corte territoriale osservava e riteneva che:
il gravame del F. concerneva sia la richiesta di declaratoria di sopravvenuta inefficacia o revoca dei provvedimenti provvisori assunti il 12.10.1998 dal Presidente del Tribunale, in relazione alla quale per chiarezza potevano fornirsi precisazioni e sia la domanda di condanna delle eredi della M. a restituirgli le somme che, durante il matrimonio, la dante causa aveva in tesi indebitamente prelevato dal conto corrente comune (indicativamente Euro 149.131,28); l’autonoma domanda restitutoria, pur ammissibile nei confronti della M. e poi delle sue eredi, era stata condivisibilmente respinta dal primo giudice per difetto di prova oggettiva e certa in ordine alla provenienza dei fondi con cui era stato alimentato il conto corrente in questione, dato anche che:
a) ben poteva presumersi, pure in regime di separazione dei beni tra i coniugi, che il denaro accreditato sul conto a costoro cointestato fosse di pertinenza di ciascuno di loro per quota pari al 50%;
b) inoltre poteva ravvisarsi una donazione indiretta da parte del coniuge che aveva aperto il conto comune all’altro con la dazione di proprio denaro;
c) nella specie, sebbene il conto corrente fosse stato aperto nel 1994 con una dazione di L. 105.000.000, i successivi prelievi erano stati in gran parte effettuati con operazioni compiute da entrambi i coniugi per importi analoghi, tanto che al 31.05.1994 vi figurava un saldo attivo di sole L. 13.984.582 (il ricorso per separazione era stato depositato quattro anni dopo) e durante il periodo posteriore al maggio 1994 il conto era stato alimentato con importi modesti, idonei a coprire le corrispondenti operazioni, sino all’estinzione, di tal che si poteva ritenere che il denaro accreditato fosse stato utilizzato dalla M. nei limiti della disponibilità di sua pertinenza (50%).
Avverso questa sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato a F. e A. P., che hanno resistito con controricorso e depositato memoria.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso il F. denunzia:
1. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1298 c.c., comma 11, artt. 2727 e 2729 c.c.; artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al mancato accoglimento della domanda di restituzione delle somme prelevate dal conto corrente cointestato”.
Formula conclusivamente il seguente quesito “dica la Corte Suprema se la presunzione di contitolarità di cui all’art. 1298 c.c., comma 2, è una presunzione juris tantum e come tale suscettibile di essere superata da risultanze di segno contrario, con qualsiasi mezzo di prova, anche di carattere presuntivo, purchè precise e concordanti tra di loro, e se tale onere può dirsi assolto dalla documentazione attestante che quel conto corrente è stato alimentato, sin dall’inizio, esclusivamente con provvista proveniente ed eseguita da uno solo dei cointestatari: dall’assenza di versamenti da parte dell’altro cointestatario: dalla sottrazione da quel conto – da parte dell’altro cointestatario ed all’insaputa del primo – di ingenti somme ed il loro versamento su altri conti di sua esclusiva pertinenza, con modalità volte a renderne difficile la individuazione della destinazione medesima:, ed – inoltre – se il giudice del grado non abbia l’obbligo di riesaminare del tutto autonomamente le risultanze probatorie – testimoniali e documentali – del fascicolo processuale e di darne conto nella propria decisione e non richiamando acriticamente le convinzioni del primo giudice”.
2. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 769 e 809 c.c., e artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto nonchè per ultra petizione, per avere erroneamente ravvisata una donazione indiretta da parte del marito alla moglie nell’apertura del conto corrente cointestato, contro le risultanze probatorie e la stessa qualificazione della parte interessata”.
Formula conclusivamente il seguente quesito “dica la Corte adita se si possa qualificare donazione indiretta l’apertura da parte di un coniuge di un conto corrente cointestato all’altro – senza alcuna individuazione dell’animus donandi in capo al donante, implicitamente – peraltro – presupponendolo in difetto di specifica prova della sua esistenza e – inoltre – se non costituisca ultra o extra petizione il pervenire a quella qualificazione in contrasto – ovvero senza – una espressa deduzione in tal senso dell’altra parte”.
I motivi di ricorso, che essendo connessi consentono esame congiunto, si rivelano ammissibili in rapporto anche ai formulati quesiti di diritto e fondati.
Il F. aveva fondato la sua domanda restitutoria/risarcitoria sul presupposto della responsabilità della M. per appropriazione di somme che assumeva da lei indebitamente prelevate per scopi personali, dal conto corrente bancario cointestato ad entrambi ed a firma disgiunta ma in tesi aperto ed alimentato con versamenti effettuati soltanto da lui con proprio denaro.
Al rigetto di tale domanda la Corte distrettuale è pervenuta con argomentazioni estremamente sintetiche in ordine pure ai profili fattuali della vicenda ed ai prelievi in contestazione, le quali hanno anche reso superfluo verificare se fosse o meno emersa la prova di utilizzi di denaro altrui integranti appropriazione indebita. In particolare, pur ineccepibilmente richiamando il principio secondo cui la contestazione del conto corrente bancario fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto se non risulta diversamente, i giudici di merito hanno sostanzialmente ritenuto che tale presunzione non fosse stata superata e ciò essenzialmente in ragione sia dell’andamento anche temporale e dell’entità dei prelievi attuati nel tempo e sino alla chiusura del conto in questione, da ciascuno dei due coniugi cointestari e sia ravvisando una donazione indiretta in favore della cointestataria, nel cospicuo versamento iniziale ritenuto effettuato dal solo F..
Entrambe le considerate ragioni, pur inserite nel contesto coniugale, non si rivelano idonee a sostenere l’affermata conclusione negativa circa il mancato superamento della menzionata presunzione iuris tantum, che da luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio e può essere superata anche attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (in tema cfr. Cass. n. 28839 del 2008; n. 19305 del 2006; n. 5584 del 1981).
Da un canto, infatti, la valenza sintomatica attribuita all’andamento del conto avrebbe dovuto essere meglio chiarita ed in ogni caso avrebbero dovuto essere esaminati i dati tratti dalla documentazione bancaria prodotta e richiamata in questa sede dal F. a sostegno della sua tesi di avere effettuato tutti gli accrediti con denaro proprio, ivi compresi quelli successivi al momento dell’apertura del conto, documentazione di cui pertanto il ricorrente a ragione lamenta l’omessa valutazione da parte dei giudici di merito. D’altro canto la qualificazione in termini di donazione indiretta (peraltro senza espressa indicazione della relativa consistenza) del versamento attuato dal F. per l’accensione del conto corrente, si rivela illegittima prima che erronea, esorbitando dalla linea difensiva assunta dalla parte interessata ad opporre l’esistenza di tale liberalità oltre che apodittica, stante il mancato richiamo di elementi che consentissero di apprezzare la ricorrenza nel F. dell’animus donandi (in tema, cfr Cass. n. 468 del 2010; n. 26983 del 2008; n. 2499 del 2009), certo non evincibile dalle modalità di gestione del medesimo conto corrente aderenti alla sua struttura e funzione. Conclusivamente si deve accogliere il ricorso e limitatamente alle censure accolte, cassare l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa in parte qua la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.
Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2012
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Numero Protocolo Interno : 145/2012