In materia di conto corrente bancario, l’assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l’interesse di questi all’accertamento giudiziale, anche prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto. In particolare, a prescindere dalla chiusura o meno del conto, è sempre sussistente l’interesse del correntista ad impugnare la statuizione che ha ritenuto prescritto il credito vantato in restituzione, facendo valere la natura ripristinatoria (e non quella solutoria, ritenuta dal giudice) delle rimesse effettuate.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Scotti – Rel. Reggiani, con l’ordinanza n. 19123 del 6 luglio 2023.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha evidenziato che vi era stata una pronuncia di primo grado in cui era stato dichiarato prescritto gran parte del credito restitutorio della correntista, sicchè doveva ritenersi evidente l’interesse della medesima a impugnare tale statuizione, il cui passaggio in giudicato avrebbe comportato l’impossibilità di agire successivamente in giudizio per ottenere in restituzione somme la cui riscossione indebita era stata già accertata.
Pertanto, il Collegio ha affermato che “a prescindere dalla chiusura o meno del conto, è sempre sussistente l’interesse del correntista ad impugnare la statuizione che ha ritenuto prescritto il credito vantato in restituzione, facendo valere la natura ripristinatoria (e non quella solutoria, ritenuta dal giudice) delle rimesse effettuate.”
Anche le Sezioni Unite, richiamate dalla Corte giudicante, aveva del resto affermato che il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, “ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, aggiungendo che potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli ( Cass., Sez. U, Sentenza n. 24418 del 02/12/2010).
In conclusione, il ricorso è stato accolto nei limiti di cui in motivazione, e, dichiarate assorbite tutte le altre censure, la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
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