ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza del 02 ottobre 2012 il Tribunale di Verona ha deciso il caso relativo alle contestazioni di un cliente mosse con riferimento ad operazioni effettuate tramite il servizio di “home banking”.
In particolare il cliente, dall’esame dell’estratto conto, aveva rilevato di esser stato vittima di una “frode informatica” del tipo cd. “phishing” in quanto risultavano effettuate ben quattordici operazioni di bonifico on line in favore di persone sconosciute e prive di rapporto con il correntista, dell’importo complessivo di euro 70.904,00.
Il Tribunale ha accolto la domanda proposta dal cliente, ordinando la restituzione delle somme contestate.
Invero, il Giudice ha preliminarmente stabilito che la Banca, nei rapporti contrattuali con il correntista, «risponde secondo le regole del mandato» (art. 1856 cc) e la diligenza cui è tenuta va valutata con particolare rigore: come più volte statuito dalla giurisprudenza, anche della Suprema Corte, «la diligenza del buon banchiere deve essere qualificata dal maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione professionale dell’agente consente e richiede» (cfr. di recente, fra le altre, Cass., sez. I civile, 24 settembre 2009, n. 20543).
Pertanto, individuato il contenuto dell’obbligazione alla quale è tenuto l’istituto di credito, vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, grava su di esso l’onere di fornire la prova del proprio adempimento, in conformità al principio di vicinanza della prova da cui ne consegue la condanna dell’Istituto di credito atteso che, non possono ritenersi sufficienti ad assicurare le condizioni di sicurezza le modalità adottate dalla Banca (previste nel contratto) ossia, la consegna di un codice utente e di una prima password di accesso che il cliente era tenuto a modificare al momento del primo accesso.
Infatti, sostiene il Giudice che, in caso di utilizzo del sistema home banking, grava sull’Istituto di credito, in qualità di mandatario,l’onere di impiegare servizi e strumenti idonei a garantire la sicurezza del servizio stesso e che in caso sottrazione di somme da parte di terzi, vertendosi in un’ipotesi di responsabilità contrattuale, è onere della banca dimostrare di aver adempiuto agli obblighi di diligenza sulla stessa gravanti.
Del resto, poiché il servizio home banking di norma non sostituisce l’invio degli estratti conto periodici, non può essere sostenuta l’esistenza di un onere di controllo in capo al correntista. Del resto, se è vero il cliente ha la possibilità per il correntista di consultare tramite il servizio di home banking, le movimentazioni del proprio conto corrente, tale consultazione non è sostitutiva, del diritto ad ottenere e verificare l’estratto conto cartaceo e, sulla base di tale controllo, di muovere eventuali contestazioni all’istituto di credito.
Le ulteriori funzioni predisposte dalla banca come il cd. Sms alert, ossia l’invio al correntista della segnalazione di effettuazione di disposizioni di bonifico a distanza di pochi minuti dal momento in cui sono le stesse sono avvenute, assolve solo ed esclusivamente ad una specifica funzione informativa, suppletiva rispetto a quella consistente nella visione dell’estratto conto, che è funzionale alla revoca della operazione, disposta per errore o in modo fraudolento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI VERONA
SEZIONE 4^ CIVILE
IL G.U. DOTT. MASSIMO VACCARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile promossa con atto di citazione ritualmente notificato N. 256 Cron. Uff. Notifiche Tribunale di Verona
DA
G. S.A.S di S. C.;
ATTRICE
CONTRO
BANCA;
CONVENUTA
CONCLUSIONI
PARTE ATTRICE:
Nel merito
– Accertarsi e dichiararsi la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta per i fatti esposti e conseguentemente condannarsi la convenuta medesima a risarcire all’attrice il danno da questa subito pari ad euro 70.904,00 o quella diversa somma che venisse ritenuta, anche in via equitativa, di giustizia
– respingersi ogni diversa domanda, eccezione e conclusione;
– in via istruttoria ammettersi tutti i mezzi di prova formulati nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. del 28.12.2009;
– in ogni caso, spese, diritti ed onorari di causa interamente rifusi.
PARTE CONVENUTA:
Voglia il Tribunale nel merito:
– in via principale previo accertamento dei fatti respingersi le domande proposte dall’attrice verso la convenuta Banca (OMISSIS), in quanto infondate in fatto e in diritto;
– in via subordinata per la denegata ipotesi in cui venisse ravvisata una qualche responsabilità in capo alla convenuta, previo accertamento del grado dell’eventuale corresponsabilità della stessa nella causazione del danno, ridursi proporzionalmente secondo quanto risulterà di giustizia e concretamente provato da controparte, quanto dovuto dalla convenuta in favore dell’attrice;
– in via istruttoria come da memorie ex art. 183, VI co.;
– in ogni caso spese, diritti e onorari di causa, oltre ad IVA, CAP e rimborso forfettario spese generali ex art. 14 T.F., nella misura di legge, interamente rifusi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La G. s.a.s. di S. C. & C. (d’ora innanzi per brevità solo G.) ha convenuto in giudizio avanti a questo Tribunale la BANCA per sentirla condannare al pagamento in proprio favore della somma di euro 70.904,00 che ha assunto esserle dovuta in virtù dei seguenti fatti.
L’attrice, dopo aver premesso di svolgere attività di vendita, affitto, gestione ed esercizio di alberghi, ristoranti, bar e pubblici esercizi in genere, e che propri soci accomandatari erano all’epoca dei fatti R. S. e la propria figlia C., ha esposto che:
– in data 1 settembre 1997 aveva aperto un conto corrente presso l’allora Banca, sul quale, a partire dal marzo 2008, era stato attivato un servizio di home banking;
– essa attrice non aveva sottoscritto nessun contratto, regolante quel rapporto, con la banca convenuta poichè il servizio di home banking era stato attivato su richiesta della società V. s.r.l., di cui erano soci sempre R. S., C. S. e G. S. che ne aveva richiesto l’attivazione anche sui conti correnti di G. s.r.l. altra società riconducibile alla famiglia S.;
– il servizio in questione era stato utilizzato dall’attrice solo sporadicamente e pertanto il legale rappresentante di essa si era allarmato allorché in data 16 ottobre 2008 aveva notato che dall’estratto conto relativo al mese di settembre 2008 inviato a mezzo posta dalla banca risultavano effettuati ben quattro bonifici on line nell’arco di tre giorni;
– a seguito di quanto sopra detto R. S., contattata telefonicamente la banca convenuta, aveva ricevuto via fax dalla stessa copia delle contabili relative a tutte le operazioni che risultavano effettuate on line fino al 13 ottobre 2008 e aveva così avuto modo di riscontrare che, nel corso dei mesi di settembre ed ottobre, risultavano effettuate ben quattordici operazioni di bonifico on line in favore di persone sconosciute e prive di rapporto con l’attrice, dell’importo complessivo di euro 70.904,00, tutte meglio descritte in atto di citazione;
– dall’esame degli estratti conto bancari, che solo allora, a seguito di espresso sollecito alla filiale ove aveva in essere il predetto conto corrente, erano stati ottenuti da essa attrice era emerso che, per ognuna delle succitate fatture, era stato comunque disposto un bonifico, di importo pari quello in esse riportato, in favore non già degli apparenti fornitori, che dai medesimi estratti conto risultavano i beneficiati delle singole disposizioni, bensì di soggetti diversi, titolari delle coordinate bancarie sulle quali erano stati accreditati quei bonifici;
– lo S., convintosi, sulla base delle succitate emergenze, che la società da lui amministrata era rimasta vittima di una truffa aveva sporto denunzia presso la Stazione dei Carabinieri di Peschiera e aveva avanzato richiesta di restituzione delle somme sottrattegli all’istituto di credito convenuto senza esito.
Sulla scorta di tale esposizione l’attrice ha attribuito la responsabilità dei fatti succitati alla convenuta, a titolo sia di responsabilità contrattuale che di responsabilità extra-contrattuale, addebitandole, in particolare:
– di non aver stipulato per iscritto il contratto di home banking e di avere omesso la consegna del relativo foglio informativo;
– di non averla resa edotta dei rischi connessi ad un utilizzo illecito del servizio elettronico da parte di terzi e di non aver adottato tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza del servizio svolto con modalità telematiche;
– di non averla informata immediatamente dell’effettuazione di operazioni di bonifico che apparivano sospette nei tempi e nei modi, in considerazione del poco frequente utilizzo del servizio da parte sua, tenuto conto che i bonifici erano stati ben quattordici nell’arco di soli ventotto giorni e in numero di due per giorno ed in favore delle medesime persone.
L’istituto di credito convenuto si è costituito ritualmente in giudizio e ha negato qualsiasi propria responsabilità in relazione a quanto denunziato dall’attrice chiedendo il rigetto della domanda avanzata dalla stessa.
In particolare la convenuta ha assunto che non era possibile stabilire se l’attrice fosse stata vittima di un furto d’identità perpetrato mediante sottrazione, da parte di terzi, delle credenziali di autenticazione per l’utilizzo del servizio di home banking non adeguatamente custoditi dal titolare o se si fosse trattato di una vera e propria frode informatica realizzata attraverso il sistema del c.d. phishing.
In ogni caso, ha aggiunto la convenuta, le modalità di funzionamento del servizio di home banking da essa fornito all’attrice prevedevano che, all’attivazione del servizio, venissero forniti al cliente un codice utente e una prima password di accesso che il cliente era tenuto a modificare al momento del primo accesso, con la conseguenza che da quel momento egli diveniva l’unico titolare dei dati sensibili, necessari per operare in via telematica.
Con riguardo all’ulteriore profilo di responsabilità prospettato dall’attrice la convenuta ha dedotto che le operazioni di cui si era doluta la G. non potevano destare nessun sospetto, esonerando di fatto la banca da qualsiasi obbligo di comunicare al cliente i movimenti contabili, mentre il titolare del servizio aveva la possibilità e l’obbligo di effettuare quotidiani controlli sul proprio conto corrente.
La causa è stata istruita mediante l’escussione dei testi indicati dalle parti e l’interrogatorio formale del legale rappresentante dell’attrice.
Ciò detto con riguardo alle prospettazioni delle parti e all’iter del giudizio, la domanda dell’attrice è fondata nei limiti di cui appresso e pertanto merita di essere accolta per quanto di ragione.
È opportuno innanzitutto chiarire che i rilievi di parte attrice riguardanti la mancata stipulazione per iscritto del contratto relativo al servizio di home banking e l’omessa consegna, da parte della convenuta, del documento informativo relativo ad esso, seppur fondati, in difetto di prova da parte dell’istituto di credito di aver provveduto a tali formalità, risultano irrilevanti ai fini della decisione.
Deve infatti escludersi che l’omissione della convenuta abbia avuto la benché minima rilevanza causale rispetto al danno lamentato dall’attrice, dal momento che quest’ultima non ha mai ricollegato l’effettuazione delle disposizioni di bonifico alla propria ignoranza di quanto era previsto in tali documenti scritti, ed in particolare a quella delle modalità concrete per utilizzare il servizio di home banking.
Peraltro, come ha giustamente osservato il patrocinio della convenuta, l’attrice non ha mai contestato che tali modalità fossero state quelle indicate dall’istituto di credito (consegna, all’attivazione del servizio, di un codice utente e una prima password di accesso che il cliente era tenuto a modificare al momento del primo accesso) ed anzi la circostanza è stata confermata anche da tutti i testi che sono stati sentiti nella fase istruttoria e che ne erano a conoscenza.
La questione rilevante ai fini della decisione è stabilire, invece, in primo luogo se la banca convenuta abbia adempiuto agli obblighi su di essa gravanti di adottare, o comunque fornire al proprio cliente, le misure tecniche più idonee ad evitare che terzi potessero venire a conoscenza in modo fraudolento delle credenziali che consentissero di utilizzare il servizio di home banking. Ai fini di tale verifica è opportuno, innanzitutto, individuare i dati normativi ai quali far riferimento per valutare il comportamento della convenuta. Poiché tra essi non rientra, ratione temporis, il d. lgs. 27 gennaio 2010 n.11, costituente attuazione della direttiva n.2007/64 Ce relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, occorre aver riguardo alle norme del codice civile.
La banca, nei rapporti contrattuali con il cliente, «risponde secondo le regole del mandato» (art. 1856 cc) e la diligenza a cui è tenuta va valutata con particolare rigore: come più volte statuito dalla giurisprudenza, anche della Suprema Corte, «la diligenza del buon banchiere deve essere qualificata dal maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione professionale dell’agente consente e richiede» (cfr. di recente, fra le altre, Cass., sez. I civile, 24 settembre 2009, n. 20543).
In particolare, con specifico riferimento all’utilizzazione di servizi e strumenti, con funzione di pagamento o altra, che si avvalgono di mezzi meccanici o elettronici, la Corte di Cassazione ha stabilito che:«non può essere omessa (
) la verifica dell’adozione da parte dell’istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio (
); infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell’accorto banchiere» (cfr. Cass., sez. I civile, 12 giugno 2007 n. 13777).
Così individuato il contenuto dell’obbligazione alla quale è tenuto l’istituto di credito occorre rammentare che, vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, grava su di esso l’onere di fornire la prova del proprio adempimento, in conformità al principio di vicinanza della prova affermato con la notissima sentenza delle Sezioni Unite n.13533 del 30 ottobre 2001.
Orbene deve negarsi che nel caso di specie tale prova sia stata offerta.
Infatti non possono ritenersi sufficienti ad assicurare le condizioni di sicurezza sopra dette le modalità che aveva adottato la Banca, e che erano state previste nel contratto prodotto in atti, ossia, giova ripeterlo, la consegna, all’attivazione del servizio, di un codice utente e una prima password di accesso che il cliente era tenuto a modificare al momento del primo accesso.
Infatti numerosi erano i dispositivi più sicuri che la convenuta avrebbero potuto offrire all’attrice, a cominciare da quelli più evoluti, quali il servizio di «sms-alert» e la c.d. chiave elettronica o token (è appena il caso di osservare che l’affermazione, fatta dalla convenuta nella memoria di replica alla comparsa conclusionale avversaria, secondo cui tali sistemi all’epoca dei fatti «non erano correntemente in uso» è indimostrata), a quelli che richiedono l’inserimento, oltre che del codice identificativo e del pin, o di una password, al momento di accedere al servizio, anche di una ulteriore password, al momento di effettuare le singole disposizioni (per questo la password in questione è definita dispositiva), prevedendo spesso anche che quest’ultima credenziale sia cambiata periodicamente dall’utente.
D’altro canto la banca convenuta non ha nemmeno offerto la prova dell’inadempimento del cliente all’obbligo di diligente custodia delle credenziali d’accesso al conto corrente, al quale lo stesso era sicuramente tenuto, a prescindere da una specifica previsione contrattuale, trattandosi di accortezza che poteva impedire l’evento dannoso.
Sul punto va evidenziato che i testi che sono stati escussi non sono stati concordi nel riferire le cautele che erano state adottate dal soggetto che era a conoscenza dei codici identificativi, ossia la socia accomandataria dell’attrice, C. S., per evitare che essi potessero venire a conoscenza di terzi.
Infatti il teste R. S. ha dichiarato che la password per accedere al servizio era conservata nella cassaforte della società e che chiavi di questa erano in possesso esclusivo della predetta S..
L’altra teste G. M. T., invece, dapprima ha riferito la medesima circostanza, ma subito dopo ha asserito che la password era stata memorizzata dalla S..
Orbene, anche a voler ritenere che quest’ultima avesse conservato le credenziali di accesso al servizio di home banking, in cassaforte, nel momento in cui le chiavi di quest’ultima erano nella sua esclusiva disponibilità, e non è dimostrato che fossero custodite in maniera negligente da lei, al comportamento dell’attrice non può riconoscersi nessuna efficienza causale nella produzione del fatto illecito (il «furto» dei detti codici d’accesso o numeri identificativi).
Per esigenze di completezza va esaminata anche l’ultima doglianza dell’attrice ossia quella relativa al preteso mancato controllo da parte della convenuta sulle movimentazioni del proprio conto corrente.
Essa è infondata.
L’attrice, infatti, ha preteso di addossare alla filiale della società convenuta, ove aveva in essere il rapporto di conto corrente per cui è causa, un obbligo di costante monitoraggio sui movimenti dello stesso, perché solo così l’istituto di credito avrebbe potuto avvedersi della loro entità e frequenza. Tale tipo di controllo, però, non ha nessun fondamento normativo o contrattuale ed, anzi, risulta in contrasto con gli obblighi che la convenuta ha normalmente nei confronti dei propri correntisti che operano regolarmente.
A quanto ora detto deve aggiungersi che è impossibile per la filiale di destinazione operare una selezione tra la miriade di flussi di dati elettronici che affluiscono ad essa nell’arco di ventiquattro ore (questo, infatti, è il periodo di tempo che occorre prendere in esame, al fine di valutare la praticabilità di quanto sostenuto dall’attrice, se si tiene presente che le disposizioni impartite dal cliente tramite home banking possono affluire anche al di fuori dell’orario di ufficio).
Per contro è indubbio che il predetto servizio consente a colui che ne è titolare non solo di operare sul proprio conto corrente a distanza, utilizzando un mezzo di telecomunicazione, ma anche di verificare, praticamente in tempo reale, le movimentazioni che vengono registrate nel conto e quindi di avvedersi di eventuali errori o ritardi ai propri danni e di porvi rimedio avvertendo tempestivamente di essi l’istituto di credito.
Lo strumento dell’home banking assolve quindi una fondamentale funzione informativa che è ancora più utile per chi, come l’attrice, svolge attività commerciale e ha rapporti, sicuramente frequenti, con un numero apprezzabile di soggetti terzi (fornitori, clienti ed istituti di credito), che possono comportare addebiti o accrediti.
Peraltro queste considerazioni non conducono ad affermare l’esistenza di un obbligo per il correntista di effettuare il predetto controllo, e conseguentemente nemmeno un concorso di responsabilità dello stesso, per episodi come quello per cui è causa, nel caso in cui non lo eserciti.
Infatti il contratto di conto corrente tra attrice e convenuta non prevedeva ciò mentre per contro contemplata l’invio presso il domicilio del correntista degli estratti di conto corrente, modalità di cui l’attrice si era avvalsa anche in concreto come si è detto sopra.
In altri termini la possibilità per il correntista di consultare, tramite il servizio di home banking, le movimentazioni del proprio conto corrente non è sostitutiva, normalmente e salvo quindi una specifica opzione in tal senso, del diritto ad ottenere e verificare l’estratto conto cartaceo e, sulla base di tale controllo, di muovere eventuali contestazioni all’istituto di credito.
D’altro canto il correntista non avrebbe nemmeno la necessità di operare un simile riscontro, per impedire operazioni in proprio danno, allorquando, come è accaduto nel caso di specie, non ha motivo di dubitare che il proprio istituto di credito abbia adottato tutte le misure note, in base allo stato della tecnologia, utili a quel fine.
A conferma di quanto detto giova evidenziare che uno dei sistemi di sicurezza più frequentemente utilizzati dagli istituti di credito, ossia il c.d. Sms alert, consiste nell’invio al correntista della segnalazione di effettuazione di disposizioni di bonifico a distanza di pochi minuti dal momento in cui sono le stesse sono avvenute e assolve, quindi, una specifica funzione informativa, suppletiva rispetto a quella consistente nella visione dell’estratto conto, che è funzionale alla revoca della operazione, disposta per errore o in modo fraudolento.
Alla luce delle superiori considerazioni la convenuta va condannata a corrispondere all’attrice la somma di euro 70.904,00, pari all’ammontare dei bonifici disposti illecitamente.
Su tale somma sono dovuti sia la rivalutazione monetaria che gli interessi sebbene l’attrice non abbia svolto domanda al riguardo potendosi prescindere da essa dal momento che si trattai di componenti del danno e quindi parte integrante del risarcimento. Essi vanno calcolati sull’ammontare dei singoli bonifici a decorrere dalla data dell’effettuazione di ciascuno di essi fino a quella della pubblicazione della presente sentenza. Sull’ammontare complessivo vanno poi riconosciuti gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella del saldo effettivo.
A tale esito consegue anche la condanna della convenuta alla rifusione in favore dell’attrice delle spese del giudizio in applicazione del criterio della soccombenza.
Invero non è applicabile la disciplina di cui all’art.91, primo comma seconda parte cpc, in relazione al diverso atteggiamento che le parti hanno tenuto di fronte alla proposta conciliativa che questo Giudice aveva formulato all’udienza del 27.01.2011, atteso che l’importo riconosciuto all’attrice è di molto superiore a quello che tale proposta contemplava (euro 30.000,00).
Peraltro, per quanto attiene alla concreta liquidazione della somma da riconoscere all’attrice a titolo di rimborso delle spese di lite, occorre chiedersi se essa debba avvenire in base al regolamento 140/2012 entrato in vigore il 23 agosto 2012 oppure in base al regime tariffario, abrogato dall’art. 9, comma 1, del d.l. 1/2012.
Sul punto va evidenziato come l’art.9 del d.l.n.1/12 e il regolamento 140/2012 contengono sia norme di diritto sostanziale (quelle che regolano il rapporto cliente-avvocato) sia norme di diritto processuale (quelle che indirizzano la condanna ex art.91 cpc).
L’art.9 non contiene norme di diritto transitorio, se non la proroga dell’applicazione delle tariffe fino al 24 luglio 2012 «limitatamente alle liquidazioni giudiziali», mentre l’art. 41 del D.M. n.140/12 prevede la propria applicabilità alle «liquidazioni» successive al 23 agosto.
Si noti che quest’ultima disposizione si riferisce all’applicazione, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., dei parametri, ma riguarda, in mancanza o in caso di invalidità dell’accordo sul compenso, anche il rapporto tra cliente ed avvocato.
Si tratta allora di stabilire se il nuovo regime dei parametri si applichi anche ai processi pendenti alla data del 23 agosto 2012 e tale verifica va compiuta in virtù del criterio interpretativo di cui all’art.11 disp. prel. che impone di valutare se la norma, in questo caso di natura processuale, nella sua interpretazione retroattiva abbia una ragionevole giustificazione e non incontri limiti in particolari norme costituzionali.
Non si può invece tener conto, ai fini della predetta indagine, del principio giurisprudenziale che regolava la fattispecie della successione di tariffe professionali forensi.
Il nuovo sistema di determinazione del compenso dell’avvocato infatti non è una naturale evoluzione del precedente ma, oltre a seguire alla sua espressa abrogazione, muove da presupposti e criteri completamente diversi, primo tra tutti quello della possibilità di maggiorazioni e riduzioni del compenso.
La prima opzione interpretativa possibile è quella che, muovendo dal riferimento al momento della liquidazione presente nell’art.41 del D.M. 140/2012, giunge ad affermare l’utilizzabilità dei nuovi criteri ai fini della determinazione del compenso da porre a carico del soccombente per tutte le attività difensive che siano condotte a termine dopo l’entrata in vigore del regolamento medesimo, vale a dire il 23 agosto 2012, con la precisazione che il momento ultimo da considerare a tali fini è quello dell’esaurimento della fase in cui si è svolta l’attività.
Sul punto deve però innanzitutto evidenziarsi come il dato letterale della norma in esame non deponga univocamente in tal senso. Essa, infatti, si limita ad individuare il momento a partire dal quale vanno utilizzati i nuovi criteri ma non precisa quali siano le attività alle quali applicarli, ed in particolare se si tratti di attività difensive precedenti o successive al menzionato momento della liquidazione.
Ancora non può sottacersi come l’interpretazione sopra citata non paia idonea a superare il vaglio di ragionevolezza di cui si è detto, ponendosi in contrasto con il parametro dell’art. 3 Cost., con la conseguenza che sarebbe possibile disapplicare l’art. 41 D.M. 140/2012. Essa darebbe luogo infatti ad una applicazione retroattiva della nuova disciplina che è irragionevole perché inciderebbe sulle aspettative maturate da avvocati e parti del giudizio prima della instaurazione della causa, e in molti casi diversi anni prima dell’entrata in vigore della riforma, senza una adeguata giustificazione.
Per cogliere appieno tale profilo occorre considerare che, avuto riguardo, in particolare, all’entità dei valori medi di liquidazione, al più restrittivo regime in tema di prova delle spese e alla presenza di una norma sanzionatoria come l’art. 4, ultimo comma (disposizione che si riferisce alle liquidazioni ai sensi dell’art. 91 cpc e che riguarda i difensori di entrambe le parti), previsti dal D.M. 140/2012, il nuovo sistema è, nel suo complesso e in astratto, meno favorevole, rispetto a quello previgente, sia per la parte vittoriosa del giudizio che per il difensore di essa che per il soccombente. Resta ferma peraltro la possibilità che in concreto la liquidazione operata in base ai parametri risulti pari o anche superiore a quella effettuata in base alle tariffe, sebbene, nemmeno in tale ipotesi, si possa tener conto della più favorevole disciplina in tema di spese di cui al D.M. 127/2004.
Si noti poi che a giustificare l’opzione interpretativa in esame non potrebbe valere nemmeno la valorizzazione della ratio, sottesa alla riforma di favorire il mercato e, indirettamente, anche l’accesso alla giustizia, attraverso la incentivazione di accordi sul compenso tra avvocati e clienti, perché tali obiettivi non possono che valere pro futuro.
Una seconda soluzione porta ad attribuire rilievo, come discriminante, al momento del compimento di ciascun singolo atto difensivo, cosicchè si dovrebbe ricorrere alle tariffe per le prestazioni difensive compiute sotto la loro vigenza e ai parametri per gli atti difensivi compiuti dopo il 23 agosto 2012, secondo una rigorosa applicazione del principio tempus regit actum.
Una simile tesi presenta, però, un inconveniente di ordine sistematico. Essa infatti dà luogo ad un regime transitorio differente per le norme di diritto processuale e per quelle di diritto sostanziale, contenute nel d.l.1/2012 e nel D.M. 140/2012.
Le disposizioni, anche in tema di liquidazione giudiziale del compenso, relative al rapporto tra professionista e cliente presenti nel nuovo sistema normativo non possono che riferirsi ai rapporti di mandato sorti successivamente al 25 gennaio 2012, data di entrata in vigore del d.l. 1/2012.
Ciò si evince chiaramente dalla scelta di fondo della riforma di ridurre a due, rispetto agli originari quattro previsti dall’art.2233, primo comma, cc, i criteri di determinazione del compenso del professionista (accordo o, in caso di mancanza o di invalidità di esso, liquidazione giudiziale).
Ancora l’art.9, comma 4, del D.M. 140/2012 ha posto a carico del professionista alcuni specifici obblighi informativi, primo fra tutti quello di rendere noto al cliente il preventivo di massima, che sono ipotizzabili solo nella fase precedente la conclusione del contratto e non certo rispetto a rapporti iniziati da tempo e tantomeno rispetto a quelli esauriti.
Non va sottaciuto poi che, anche in questo, l’applicazione dei parametri ad accordi raggiunti prima del 25 gennaio 2012, e che proseguano dopo tale data, è irragionevole se si considera che: tali contratti sono stati etero integrati nel momento genetico, quantomeno con riguardo ai diritti, e il diritto al pagamento del corrispettivo dell’avvocato è sorto al momento della stipulazione del contratto, sebbene diventi liquido ed esigibile al termine dell’incarico.
Proprio gli inconvenienti delle tesi fin qui esaminate inducono questo Giudice a propendere per una diversa opzione interpretativa, ossia quella secondo cui il D.M. 140/2012 è applicabile solo ai giudizi e ai gradi di processo instaurati dopo il 23 agosto 2012, in conformità al principio del tempus regit processum.
Tale soluzione invero risulta conforme a quella che il legislatore ha adottato rispetto ad una norma processuale del tutto analoga a quelle introdotte dal D.M. 140/2012, ossia la modifica ad opera della L.69/2009 dell’art. 96 cpc, (anch’essa trova applicazione al momento della liquidazione delle spese del giudizio e richiede, al pari dell’art. 4, ultimo comma, del D.M. 140/2012, la valutazione del comportamento processuale sia pure della parte e non delll’avvocato).
Infatti, in virtù del regime transitorio fissato dall’art. 58, primo comma della L.69/2009, la norma succitata si applica ai giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della novella.
È evidente poi come l’adesione alla regola del tempus regit processum consenta di uniformare il regime transitorio delle norme processuali e di quelle sostanziali contenute nel d.l. 1/2012 e nel D.M. 140/2012.
In questa prospettiva allora le liquidazioni menzionate dall’art. 41 del regolamento 140/2012 sono quelle delle attività difensive svolte nei giudizi iniziati dopo la sua entrata in vigore.
PQM
Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunziando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa, in accoglimento della domanda avanzata dall’attrice nei confronti della convenuta condanna quest’ultima a corrispondere all’attrice la somma di euro 70.904,00, oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla data dei singoli addebiti, calcolati sull’importo di ciascuno di essi, a quella di pubblicazione della presente sentenza e alla rivalutazione monetaria sulla somma complessiva così risultante dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella del saldo effettivo. Condanna la convenuta a rifondere all’attrice le spese di lite che liquida nella somma complessiva di euro 10.687,50, di cui 2.500,00 per diritti, 7.000,00 per onorari ed il resto per spese, oltre Iva, se dovuta, e Cpa.
Verona 2 ottobre 2012
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Numero Protocolo Interno : 64/2012