ISSN 2385-1376
Testo massima
Le annotazioni sul libretto di risparmio, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti tra depositante e istituto di credito.
Quando l’apposizione degli interessi annui sul frontespizio del libretto di risparmio non è riconducibile all’addetto al servizio, l’istituto non è tenuto alla corresponsione.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, che con la sentenza n.9277 del 24/04/2014, è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal cliente di una banca avverso la decisione della Corte d’Appello di Salerno che aveva condannato la Banca alla restituzione delle somme depositate presso l’Istituto di credito e per le quali il ricorrente aveva ottenuto il rilascio di due libretti di deposito al risparmio.
Nel caso di specie, la decisione della Corte territoriale impugnata, è stata ritenuta legittima dalla Suprema Corte sul rilievo che era stato correttamente accertato che l’apposizione, da parte del direttore della filiale, della scritta “12%” sul frontespizio dei due libretti, non avesse efficacia probatoria prevista dall’articolo 1835, comma secondo, cc, atteso il disconoscimento da parte della banca della sigla dell’apparente sottoscrittore, in mancanza della proposizione della conseguente istanza di verificazione.
La Suprema Corte, pronunciandosi sul caso de quo, ha osservato che “a norma dell’art. 1835, secondo comma, cc le annotazioni sul libretto, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti tra banca e depositante. La disposizione indica la funzione primaria del libretto, che è quella di documentare in origine il contratto di deposito, e, quindi, singoli atti di esecuzione nello svolgimento del rapporto, attribuendo un particolare valore alle «annotazioni» sul medesimo riportate, allorché eseguite dall’«impiegato della banca che appare addetto al servizio. L’efficacia probatoria privilegiata è dunque legata a tale normativa: in particolare, si richiede che le annotazioni siano firmate da tale soggetto e la portata originale della disposizione sta proprio nel riferimento all’impiegato, il quale deve quindi essere, o anche meramente apparire addetto al servizio di sportello, il quale solo allora vincola la banca a quelle risultanze. La disciplina legale è cioè correlata al dato di fatto della provenienza delle annotazioni dall’impiegato che con le modalità usuali e normali riceve i depositi ingenerando nel pubblico la legittima opinione che egli sia investito del relativo necessario potere; onere di provare la sussistenza delle condizioni ambientali previste dalla norma è a carico del depositante.“
Gli Ermellini, hanno infine sottolineato come “il libretto bancario di deposito a risparmio, pur non potendosi considerare atto pubblico dotato dell’efficacia probatoria privilegiata sino a querela di falso di cui all’art. 2700 Cc, è assistito dallo speciale regime delineato dall’art. 1835, stesso codice, sicché, ove il documento presenti i requisiti formali minimi richiesti, esso fa piena prova non solo delle annotazioni, ma anche della provenienza del libretto dalla banca al cui servizio appare addetto il funzionario che ha sottoscritto dette annotazioni“.
Alla luce di tali considerazioni il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento in favore della banca delle spese del giudizio.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la seguente :
SENTENZA
sul ricorso 24206-2007 proposto da:
PA
– RICORRENTE –
CONTRO
BANCA
– CONTRORICORRENTE –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 6 aprile 2007, in riforma parziale della decisione di primo grado, ha condannato la BANCA al pagamento, in favore di AP della somma di e 20.052,91, al netto di quanto già corrisposto al medesimo e con gli interessi legali dalla domanda, a titolo di restituzione delle somme depositate presso la banca e per la quale egli aveva ottenuto il rilascio di due libretti di deposito a risparmio.
Ha ritenuto la Corte del merito che fosse pacifica l’esecuzione delle annotazioni sui due libretti ad opera del direttore della filiale; che l’apposizione della scritta “12%”, seguita da una sigla non attribuita ad alcuno, sul frontespizio dei libretti non abbia l’efficacia probatoria delle annotazioni prevista dall’art. 1835, comma secondo, c.c., mentre la banca aveva anche disconosciuto la sigla dell’apparente sottoscrittore, senza alcuna istanza di verificazione; che, tuttavia, la banca non aveva dedotto l’erroneità degli importi annotati all’interno del libretto a titolo di interessi dovuti, onde dette annotazioni producevano gli ordinari effetti probatori, indipendentemente dalla pattuizione di un determinato tasso; che la banca non aveva provato la mala fede del P nel trattare direttamente con il direttore della filiale; che il mancato ricorso a strumenti meccanici di calcolo restasse irrilevante e la banca non poteva sottrarsi al pagamento di quanto annotato nel libretto adducendo comportamenti illeciti dei propri dipendenti, gravando comunque sulla stessa la responsabilità ex art. 2049 c.coma.
Sulla base di tali considerazioni, ha concluso per la riforma della sentenza di primo grado solo con riguardo all’applicazione del tasso degli interessi nella misura del 12% annuo, rideterminando quindi il dovuto in £ 60.650.000, da cui, detratto quanto già versato (£ 21.822.146), residua un credito di £ 38.826.854, pari ad E 20.052,91, oltre agli interessi legali dalla domanda, sino al soddisfo.
Avverso la sentenza propone ricorso PA, sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la banca.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il PRIMO MOTIVO, il ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1835 c.c., per avere la sentenza impugnata errato nel reputare dovuta la somma complessiva di £ 60.650.000, al netto di quanto già restituito, invece che quella di £ 71.775.797 (£ 33.039.203 e £ 38.736.594, rispettivamente per i due libretti), derivante dall’effettiva applicazione degli interessi convenzionali del 12% annuo, ed avendo la corte d’appello reputato non applicabile il tasso convenzionale, sebbene la sigla apposta sulla copertina del libretto accanto a tale misura fosse idonea a comportare la validità del patto relativo. Invero, la c.t.u. aveva palesato come vi fosse contraddizione tra le singole partite annotate ed il saldo contabile, ammontante non all’importo ivi indicato di £ 60.650.000, ma appunto a quello di £ 71.775.797, così correttamente calcolato sulla base degli interessi al tasso del 12%. Inoltre, il ricorrente sostiene che gli interessi al predetto tasso debbano essere calcolati sino all’effettivo soddisfo, avvenuto da parte della banca il 10 novembre 2005.
Con il SECONDO MOTIVO, lamenta il vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sul fatto decisivo dell’applicabilità del tasso di interessi pari al 12% annuo.
2. – I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto propongono entrambi la censura relativa al mancato riconoscimento del tasso degli interessi nella predetta misura, sono infondati.
2.1. – A norma dell’art. 1835, secondo comma, c.c., le annotazioni sul libretto, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti tra banca e depositante. La disposizione indica la funzione primaria del libretto, che è quella di documentare in origine il contratto di deposito, e, quindi, singoli atti di esecuzione nello svolgimento del rapporto, attribuendo un particolare valore alle «annotazioni» sul medesimo riportate, allorché eseguite dall’«impiegato della banca che appare addetto al servizio».
L’efficacia probatoria privilegiata è dunque legata alla fattispecie normativa descritta: in particolare, si richiede che le annotazioni siano firmate da tale soggetto e la portata originale della disposizione sta proprio nel riferimento all’impiegato, il quale deve quindi essere, o anche meramente apparire (e secondo taluno si tratterà allora di rappresentanza tacita) addetto al servizio di sportello, il quale solo allora vincola la banca al quelle risultanze. La disciplina legale è cioè correlata al dato di fatto della provenienza delle annotazioni dall’impiegato che con le modalità usuali e normali riceve i depositi ingenerando nel pubblico la legittima opinione che egli sia investito del relativo necessario potere; onere di provare la sussistenza delle condizioni ambientali previste dalla norma è a carico del depositante.
Si è così affermato che il libretto bancario di deposito a risparmio, pur non potendosi considerare atto pubblico dotato dell’efficacia probatoria privilegiata sino a querela di falso di cui all’art. 2700 cod. civ., è assistito dallo speciale regime delineato dall’art. 1835, stesso codice, sicché, ove il documento presenti i requisiti formali minimi richiesti, esso fa piena prova non solo delle annotazioni, ma anche della provenienza del libretto dalla banca al cui servizio appare addetto il funzionario che ha sottoscritto dette annotazioni (Cass., sez. I, 16 aprile 1996, n. 3585; tale piena efficacia probatoria tra banca e depositante delle annotazioni sul libretto firmate dall’impiegato che appare addetto al servizio è disciplina dettata a tutela dell’affidamento dei clienti per Cass., sez. I, 16 dicembre 1991, n. 13547).
L’espressione «piena prova», contenuta anche in altre disposizioni (cfr. es. art. 2700, 2702, 2712, 2713, 2720, 2733 c.c.), indica che, con riguardo alle somme annotate sul libretto, la prova legale è in sé raggiunta, reputando la legge idoneo un certo fatto determinato al fine dell’assolvimento dell’onere probatorio, in quanto il dato fenomenico a quelle condizioni è in grado di prevalere sul dato reale; questa peculiare efficacia si sovrappone, in virtù del suo carattere di specialità, a quella attribuita in via generale alla scrittura privata.
Ma la disciplina legale trova applicazione unicamente sul presupposto che il documento presenti i requisiti minimi che corrispondono alla individuazione dello stesso in conformità al modello tipico: si deve, invero, ritenere esistente la suindicata rilevanza probatoria, in considerazione delle ragioni giustificatrici della previsione di essa, solo ove tali condizioni minime siano rispettate.
2.2. – Nella specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che la sigla, apposta sulla copertina esterna del libretto sotto la scritta «12%», non potesse integrare né 1’«annotazione» cui compete il regime legale ora illustrato di cui all’art. 1835 c.c., né la pattuizione scritta degli interessi ultralegali prevista dall’art. 1284 c.c.
Tale decisione non si presta alle censure avanzate. Se la corte d’appello ha correttamente escluso che sia integrata la prova del patto scritto della misura degli interessi convenzionali ultralegali, la stessa, peraltro, si è comunque attenuta alla valenza probatoria ex art. 1835 c.c. delle annotazioni riscontrate nelle pagine interne dei due libretti, quantificando l’importo dovuto nella somma risultante dal saldo di ciascuno dei due libretti, e corrispondente proprio a quella sin dal ricorso monitorio originario richiesta dal cliente.
3. – Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del d.m. 12 luglio 2012, n. 140, applicabile anche alle prestazioni professionali eseguite nel vigore delle previgenti tariffe (Cass., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, che liquida in 2.700,00, oltre ad 200,00 per esborsi ed agli accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 marzo 2014.
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