Provvedimento segnalato e commentato dal Dott. Donato Giovenzana – Legale d’impresa
Nel caso in cui l’intermediario opponga l’eccezione di buona fede per evitare un uso oggettivamente distorsivo delle regole di legittimazione in tema di nullità protettive, al solo fine di paralizzare, in tutto o in parte, gli effetti restitutori conseguenti all’esperimento selettivo dell’azione di nullità da parte del cliente investitore, nei limiti della complessiva utilitas economica ritratta da quest’ultimo grazie all’esecuzione del contratto quadro affetto dalla nullità dal medesimo fatta valere, le cedole medio tempore riscosse dall’investitore non vengono in considerazione né come oggetto dell’indebito, né quali frutti civili ex art. 820 e 2033 cod.civ., ma rilevano solo come limite quantitativo all’efficace esperimento della domanda di indebito esperita dall’investitore
Questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. De Chiara – Rel. Scotti, con l’ordinanza n. 10505 del 3 giugno 2020.
La Suprema Corte ha evidenziato – in subjecta materia – che secondo le Sezioni Unite (con la sentenza n. 28314/2019) il principio di buona fede deve essere considerato in modo non del tutto coincidente con le figure dell’exceptio doli generalis e dell’abuso del diritto.
Ha ribadito che nel contesto del congegno di riequilibrio effettivo delle parti contrattuali di fronte all’uso selettivo delle nullità di protezione non può mancare un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli oggetto dell’azione di nullità, derivata dal vizio di forma del contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, al fine di verificare se permanga un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum azionato. In questa ultima ipotesi deve ritenersi che l’investitore abbia agito coerentemente con la funzione tipica delle nullità protettive, ovvero quella di operare a vantaggio di chi le fa valere. Pertanto, per accertare se l’uso selettivo della nullità di protezione sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio all’intermediario, si deve verificare l’esito degli ordini non colpiti dall’azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità. Può accertarsi che gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum.
In tale ipotesi, può essere opposta, ed al solo effetto di paralizzare gli effetti della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati, l’eccezione di buona fede, al fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico in capo all’intermediario stesso. Può, tuttavia, accertarsi che un danno per l’investitore, anche al netto dei rendimenti degli investimenti relativi agli ordini non colpiti dall’azione di nullità, si sia comunque determinato.
Entro il limite del pregiudizio per l’investitore accertato in giudizio, l’azione di nullità non contrasta con il principio di buona fede; oltre tale limite, opera, ove sia oggetto di allegazione, l’effetto paralizzante dell’eccezione di buona fede. Di conseguenza, se i rendimenti degli investimenti non colpiti dall’azione di nullità superano il pregiudizio accertato per l’investitore, l’effetto impeditivo è integrale; ove invece si determina un danno per l’investitore, anche all’esito della comparazione con gli altri investimenti non colpiti dalla nullità selettiva, l’effetto paralizzante dell’eccezione opera nei limiti del vantaggio conseguito con detti investimenti.
Secondo la Suprema Corte, così ricostruiti i lineamenti dell’eccezione di buona fede opponibile dall’intermediario all’uso selettivo delle nullità di protezione da parte dell’investitore, appare evidente che nel suo ambito non residuano spazi per l’applicazione delle regole in tema di indebito oggettivo in relazione alle prestazioni effettuate dall’intermediario. L’intermediario oppone l’eccezione in questione per evitare un uso oggettivamente distorsivo delle regole di legittimazione in tema di nullità protettive e al solo fine di paralizzare, in tutto o in parte, come sopra illustrato, gli effetti restitutori dell’azione selettiva governata dal cliente investitore, effetti in tal modo suscettibili di essere neutralizzati nei limiti dell’utilitas economica ritratta dall’investitore in conseguenza del contratto quadro affetto dalla nullità da lui fatta valere e solo da lui invocabile. Nella cornice dell’eccezione di buona fede così tratteggiata le cedole medio tempore riscosse dall’investitore, tanto in relazione alla stessa operazione di investimento aggredita con l’azione di nullità, quanto in relazione alle altre operazioni di investimento poste in essere in forza dello stesso contratto quadro dichiarato nullo, non vengono in considerazione né come oggetto dell’indebito, né quali frutti civili ex art. 820 e 2033 c.c., ma rilevano solo come limite quantitativo all’efficace esperimento della domanda di indebito esperita dall’investitore a valle della sua attivazione selettiva delle nullità protettive.
Tale conclusione è confermata e resa evidente dalla riflessione che nel sistema disegnato dalla sentenza n. 28314/2019 l’intermediario, privo di legittimazione in tal senso, non può chiedere la restituzione, a titolo di indebito oggettivo, delle utilità ritratte dal cliente grazie alle operazioni di investimento non interessate dalla domanda di nullità, se queste eccedono la somma da restituire a costui, né in via riconvenzionale nello stesso giudizio caratterizzato dall’uso selettivo delle nullità di protezione, né, successivamente o separatamente, in altro giudizio.
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