ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza n.11191 del 04/07/2012 la Corte di Cassazione ha espresso il principio in base al quale ai contratti conclusi dall’interdetto o dall’inabilitato, che abbiano maliziosamente occultato lo stato di incapacità naturale, non si applica la disposizione di cui all’art.1426 cc.
La vicenda trae origine da alcuni contratti di vendita stipulati da un soggetto inabilitato, senza l’assistenza del curatore, il quale aveva occultato il proprio stato di incapacità, mediante l’esibizione di falsa documentazione medica.
Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi, avevano annullato gli atti pubblici relativi alla vendita effettuata dall’interdetto condannando gli acquirenti a rilasciare i beni oggetto delle vendite annullate e, di contro, l’interdetto a restituire agli stessi gli importi ricevuti quale corrispettivo.
La Corte di Cassazione ha confermato, in toto, la decisione adottata nei precedenti gradi di giudizio.
Invero la Corte ha chiarito che l’art.1426 cc, che esclude l’annullabilità del contratto concluso dal minore che con raggiri abbia occultato la sua minore età, è norma eccezionale e come tale non può applicarsi se non nelle ipotesi espressamente stabilite. Specificando poi che, la condizione del minore non è equiparabile a quella dell’interdetto o dell’inabilitato, atteso che il minore può essere naturalmente capace di intendere di volere.
Peraltro, il malizioso occultamento dello stato di incapacità da parte dell’interdetto o dell’inabilitato appare difficilmente conciliabile con lo stato in cui i medesimi versano, posto che tale condotta postula la lucida rappresentazione del proprio stato e la consapevole volontà diretta a mascherarlo, comportamenti che, da un lato, appaiono in contrasto con la incapacità di cui sono affetti i predetti e che invece sono pienamente configurabili nel minore che per la sua precocità dimostri una particolare maliziosità!”.
Testo del provvedimento
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 Con sentenza del 4 marzo – 28 ottobre 2002, il Tribunale di Palermo, accogliendo le domande proposte da G. A., rappresentato da un curatore, annullava l’atto pubblico in notar Russo del 16 dicembre 1972 limitatamente alle vendite effettuate dall’attore – inabilitato con sentenza dell’8 maggio del 1969 – in favore di A.M.C. e di M.C., nonché di S.V. e di A.S. e l’atto pubblico in notar Russo del 21 dicembre 1972, limitatamente alla vendita effettuata dall’A. allo Stuto;
condannava, quindi, i predetti convenuti a rilasciare all’A. i beni oggetto delle vendite annullate e, di contro, l’attore a restituire agli acquirenti gli importi ricevuti quale corrispettivo.
Secondo il primo giudice l’A., che era stato successivamente dichiarato interdetto con sentenza del Tribunale di Agrigento dell’11 maggio 1979, doveva ritenersi incapace di intendere e di volere anche all’epoca di stipula degli atti pubblici in oggetto, tenuto conto di quanto risultava dalle cartelle cliniche concernenti i ricoveri del predetto per disturbi psichiatrici, presso diverse cliniche, anche prima del 1972 e della sentenza di inabilitazione, delle conclusioni espresse dai consulenti tecnici nella relazione collegiale disposta dalla Corte di Appello nel successivo grado del giudizio, nonché della palese sproporzione fra il prezzo convenuto e il valore dei beni.
Con sentenza dep. il 12 marzo 2008 la Corte di appello di Palermo, pronunciando nei confronti degli eredi di G. A., nel frattempo deceduto, rigettava le impugnazioni proposte dai convenuti.
Per quel che ancora interessa nella presente sede i Giudici, disattendendo fra le altre anche la doglianza con cui con l’appello proposto da A.M.C. era stato dedotto che l’attore aveva maliziosamente occultato lo stato di incapacità naturale avendo esibito documenti risultati falsi (copia della sentenza di revoca dell’inabilitazione pronunziata dalla Corte di Appello di Palermo, rilasciata il 12 gennaio 1973, che appariva autentica, nonché copia della dichiarazione di rinunzia al ricorso per cassazione, apparentemente rilasciata dalla madre del predetto), rilevavano che nella specie ricorrevano i presupposti voluti dall’art.427 per l’annullamento dei contratti stipulati dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore.
Nel confermare la condanna alla restituzione degli immobili oggetto delle compravendite, la sentenza riteneva che l’attore avesse inteso chiedere non soltanto una pronuncia dichiarativa dell’obbligo di restituzione ma anche il relativo rilascio.
Infine, era respinta la domanda di condanna dell’A. al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, sul rilievo che, in assenza di elementi di prova, trovava applicazione la norma sancita dall’art.2039 cc., secondo cui l’incapace che ha ricevuto l’indebito, anche in malafede, non è tenuto ( alla restituzione) che nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è stato rivolto a suo vantaggio.
2 Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione A.M.C. sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso L. A. e G. A.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Il PRIMO MOTIVO, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt.1426 cc e 112 cpc nonché motivazione insufficiente, censura la decisione gravata che, nel fare riferimento all’art.427 cc, non aveva applicato l’art.1426 cc che era stato invocato dalla ricorrente, tenuto conto che dalle risultanze istruttorie era emerso il comportamento tenuto dall’A. che aveva compiuto atti diretti a occultare maliziosamente il proprio stato di inabilitato.
1.2 Il motivo va disatteso.
L’art. 427 cc stabilisce i presupposti in presenza dei quali possono essere annullati gli atti di straordinaria amministrazione posti in essere dall’interdetto e dall’inabilitato;
l’art.428 cc prevede i requisiti per l’annullamento degli atti unilaterali e dei contratti conclusi dall’incapace naturale;
l’art.1425 cc stabilisce l’annullabilità dei contratti conclusi in stato di incapacità legale e di incapacità naturale, nel caso in cui ricorrano le condizioni sancite dalle norme surrichiamate.
L’art.1426 cc stabilisce che non è annullabile il contratto concluso dal minore che con raggiri abbia occultato la sua minore età. Tale disposizione, stabilendo la deroga all’annullabilità per incapacità legale esclusivamente con riferimento al minore che con raggiri abbia dolosamente occultato l’età, è norma di carattere eccezionale ed è perciò di stretta applicazione, di guisa che non può essere estesa ad altre ipotesi non previste dalla norma; d’altra parte, la condizione del minore non è certamente equiparabile a quella dell’interdetto o dell’inabilitato, posto che il minore può essere naturalmente capace di intendere di volere tant’è vero che l’art.98 cp subordina l’imputabilità del minore che abbia compiuto i quattordici anni alla verifica di tale condizione.
Peraltro, il malizioso occultamento dello stato di incapacità da parte dell’interdetto o dell’inabilitato appare difficilmente conciliabile con lo stato in cui i medesimi versano, posto che tale condotta postula la lucida rappresentazione del proprio stato e la consapevole volontà diretta a mascherarlo, comportamenti che, da un lato, appaiono in contrasto con la incapacità di cui sono affetti i predetti e che invece sono pienamente configurabili nel minore che per la sua precocità dimostri una particolare maliziosità.
2.1 Il SECONDO MOTIVO, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt.2023 e 2039 cc, censura la sentenza impugnata che, disattendendo i principi in materia di indebito oggettivo, aveva respinto la richiesta di condanna al pagamento di interessi e rivalutazione.
2.2 Il motivo va disatteso.
La doglianza non formula alcuna specifica censura sulla ratio decidendi della sentenza impugnata che ha rigettato la domanda facendo applicazione dell’art.2039 cc, ritenendo che non fosse stata al riguardo fornita prova sul vantaggio conseguito dall’incapace.
3.1 Il TERZO MOTIVO, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt.99 e 112. cpc, censura la sentenza impugnata che aveva emesso statuizione di condanna al rilascio degli immobili in questione, nonostante che fosse stata proposta soltanto domanda di accertamento dell’obbligo dei convenuti alla restituzione.
3.2 Il motivo è infondato. Giudici hanno proceduto all’interpretazione della domanda, in base al contenuto delle conclusioni e dell’atto nel suo complesso, correttamente ricercando, al di delle espressioni letterali, quale era lo scopo in concreto perseguito dalla parte che, nel fare riferimento all’obbligo di restituzione, aveva inteso esprimere la volontà di riottenere i beni oggetto delle vendite di cui era stato chiesto l’annullamento.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti costituiti delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 4.400,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 4.200,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
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Numero Protocolo Interno : 7/2012