LE MASSIME
In applicazione del disposto di cui all’art. 1526 c.c., comma 2, ben possono le parti convenire l’irripetibilità dei canoni versati al concedente in esito alla risoluzione del contratto.
Corretto anche nella ipotesi di leasing traslativo, che le parti abbiano regolato gli effetti della risoluzione anticipata del rapporto, prevedendo la detrazione, dalle somme dovute dall’utilizzatore, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito.
Ove la clausola non risulti richiamare la collocazione del bene a prezzi di mercato, essa dovrà essere letta alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c.
al fine di accertare se sia manifestamente eccessiva, agli effetti dell’art. 1384 c.c., la clausola penale che attribuisca al concedente, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento e in più la proprietà del bene, occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto.
Questi i principi esposti dalla Suprema Corte di Cassazione Sezione Terza Civile, Presidente dott. Luigi Alessandro Scarano con l’ordinanza n. 15202 del 12 giugno 2018.
IL CASO
Una società esercente attività di leasing immobiliare, aveva convenuto in primo grado di giudizio la parte utilizzatrice del bene, nella forma del rito sommario di cognizione, al fine di ottenere la risoluzione per inadempimento del lessee nel pagamento dei canoni, oltre che la restituzione del bene. Si costituiva la parte utilizzatrice manifestando la disponibilità al rilascio dell’immobile e domandando in via riconvenzionale la condanna al pagamento delle somme riscosse dal concedente per canoni, per un’indennità da sinistro e per l’escussione di una fideiussione.
Il Tribunale adito dava atto della restituzione del bene ed escludeva in primo luogo la restituzione dell’indennità assicurativa, in quanto afferente ad un sinistro occorso all’immobile di proprietà del concedente; escludeva poi la restituzione dell’importo erogato a titolo di fideiussione, in quanto versato da un soggetto giuridico che aveva garantito l’adempimento dell’utilizzatrice, la quale aveva omesso il pagamento dei ratei. Infine, il giudice di primo grado rigettando anche la domanda di restituzione dei canoni, in forza di una clausola contrattuale che disciplinava gli effetti della risoluzione anticipata del contratto, prevedendo la detrazione, dalle somme dovute dall’utilizzatore, dell’importo ricavato dalla vendita del bene restituito, ritenendola idonea a escludere la possibilità di un ingiusto arricchimento del concedente in danno dell’utilizzatore.
La Corte di appello, investita del gravame dalla soccombente formulato, lo rigettava negando in primis che fosse emerso un pregiudizio ai diritti di difesa, in relazione alla dedotta mancata assegnazione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, alla prima udienza successiva alla trasformazione del rito sommario, in ordinario. Confermava per il resto la decisione di prima istanza, osservando, in particolare, che la clausola pattizia sopra menzionata per un verso, come rilevato dal Tribunale in prime cure, non era in contrasto con la “ratio” sottesa alla previsione di cui all’art. 1526 c.c.; su detto punto, osservando la corte distrettuale che la stessa ratio poteva intendersi confermata dalla previsione sul punto dell’attuale art. 72 quater della legge fallimentare; per altro verso rilevando che lo stesso art. 1526 c.c., al comma 2, prevedeva la possibilità di convenire la irripetibilità delle rate pagate, titolo d’indennità, fatta salva la riduzione giudiziale, secondo le circostanze del caso concreto.
Avverso la decisione della Corte di appello ricorreva per cassazione il lessee, affidandosi a quattro motivi, che per i fini che interessano l’odierno commento, verranno sintetizzati. In particolare cogliendo l’interesse quanto al primo motivo di ricorso, ove la ricorrente prospettava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.c. e art. 112 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato nell’omettere di trarre le conseguenze dall’incontestato rilievo della natura traslativa del leasing, cui accedeva l’applicazione analogica della previsione sull’obbligo di restituzione dei canoni alla risoluzione anticipata, salvo il diritto all’equo compenso e fermo quello al risarcimento dei danni connessi all’inadempimento, ove domandati, come invece non era accaduto; cogliendo ed infine l’interesse quanto al secondo motivo di ricorso, ove si prospettava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.p.c., commi 1 e 2, artt. 1322, 1384 c.c. e L. Fall., art. 72 quater, in uno agli artt. 99, 101, 112, 115, 342, 345 c.p.c. e art. 24 Cost., poichè la Corte di appello avrebbe errato svolgendo un autonomo accertamento circa il contenuto della clausola penale pattizia, sulla regolazione degli effetti economici della risoluzione anticipata, finendo quindi per applicare la disciplina prevista dall’ordinamento per la diversa fattispecie di fallimento dell’utilizzatore, in erronea deroga a quella del codice civile,e nell’accordare il trattenimento delle somme incassate, in particolare come canoni, senza apposita “reconventio reconventionis”.
I primi due motivi di ricorso, sono stati indi esaminati dalla Suprema Corte congiuntamente, per connessione e come tali ritenuti infondati.
IL COMMENTO
La Suprema Corte, nella parte motiva della decisione, ha esordito richiamando la giurisprudenza di essa stessa Corte, nella parte in cui ha esposto che l’introduzione nell’ordinamento, tramite il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 59, dell'(attuale) L. Fall., art. 72 quater, non consentirebbe di ritenere superata la distinzione tra leasing finanziario e traslativo e le differenti conseguenze che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (Cass., 29/04/2015, n. 8687). La norma della Legge fallimentare non risulterebbe cioè applicabile in luogo dell’art. 1526 c.c., perché non disciplina la risoluzione del contratto di leasing (traslativo), ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell’utilizzatore, essendo dunque destinata a disciplinare una fattispecie diversa. Precisando ed ancora nella parte motiva, che l’art. 72 quater troverebbe circoscritta applicazione, solo nel caso in cui il contratto di leasing sia pendente al momento del fallimento dell’utilizzatore, mentre ove si sia già anteriormente risolto, occorrendo distinguere a seconda che si tratti di leasing finanziario o traslativo, solo per quest’ultimo potendosi utilizzare, in via analogica, l’art. 1526 c.c. (Cass., 09/02/2016, n. 2538, Cass., 13/02/2017, n. 3750, Cass., 07/09/2017, n. 20890, Cass., 15/09/2017, n. 21476).
Bene, a parere di chi scrive, seppure la Suprema Corte abbia colto, con il richiamo alla tesi sopra esposta, le ragioni per il rigetto del ricorso formulato dal lessee, dalla stessa ricostruzione appare legittimo dissociarsi.
Su questa stessa rivista infatti abbiamo già commentato un illuminante decisione del Tribunale di Milano, ove il giudicante ha ritenuto che sebbene attualmente ancora sostenuta sia in dottrina che in giurisprudenza, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, non potesse detta tesi essere più seguita, a seguito dell’introduzione e proprio dell’art. 72 quater L.F. per effetto del d. lgs. n. 5/2006, come modificato dal d. lgs. n. 169/2007. E’ stata opinione del giudicante, che tale opzione ermeneutica, certamente valida ed utilizzabile in assenza di una qualsivoglia disciplina specifica in materia di “caducazione” del contratto di leasing a seguito dell’intervenuto fallimento di una delle parti, potesse indi essere rivista e ripensata, proprio a seguito della introduzione dell’art. 72 quater L.F., per effetto del d. lgs. n. 5/2006 (norma secondo la quale, in caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggior somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale), non essendo più rinvenibile, alla attualità, l’esigenza di ripristinare il sinallagma contrattuale ed evitare l’ingiustificato arricchimento della società di leasing, una volta riformulate le clausole contrattuali relative alla determinazione della penale di risoluzione, nelle quali si prevede espressamente l’imputazione a favore dell’utilizzatore inadempiente, di quanto eventualmente ricavato dalla successiva riallocazione del bene. Ancora il Tribunale di Milano osservando che la pur confermata esistenza di diversi modelli di leasing finanziario, soggetti a differenti regimi legali, non conduce necessariamente sul piano pratico, a conseguenze a tal punto divergenti, da giustificare la preoccupazione che nei casi in cui si ritenga applicabile l’art. 1458 c.c., il concedente realizzi sempre un indebito arricchimento in danno dell’utilizzatore. Ciò in quanto l’indirizzo che individuava nell’art. 1526 c.c. una norma di carattere inderogabile analogicamente applicabile anche al leasing traslativo, era pienamente giustificabile in un momento in cui nei contratti di leasing oggetto di accertamento giudiziale, erano previste clausole, in ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, che consentivano al concedente di ottenere la restituzione del bene (che, per definizione, in caso di leasing traslativo poteva aver conservato un ingente valore di scambio), l’intero ammontare dei canoni pattuiti scaduti nonché, a titolo di risarcimento del danno (anche quale “lucro cessante“), i canoni a scadere, il prezzo di riscatto e le spese, con un’evidente vantaggio per la società di leasing e conseguente “disequilibrio” tra le contrapposte prestazioni contrattuali incombenti sulle parti. Trattandosi e quindi all’epoca di figura contrattuale “atipica“, non ancora definita né in alcun modo disciplinata dal legislatore, la giurisprudenza, nell’ipotesi, per l’appunto, di solo leasing traslativo, aveva così ritenuto di applicare in via analogica l’art. 1526 c.c., in quanto unica norma che presentava nel panorama legislativo allora vigente, significative analogie con il contratto di leasing, sebbene anche le differenze non fossero, in realtà, così poco significative atteso che, mentre in tale ultima figura il passaggio della proprietà era solo eventuale, dipendendo da un’ulteriore manifestazione di volontà dell’utilizzatore e dal versamento di un corrispettivo ben determinato, nel contratto di vendita con riserva della proprietà, il trasferimento del bene in favore dell’acquirente, avveniva automaticamente, per effetto del semplice pagamento dell’ultima rata del prezzo pattuito. Il contratto di locazione finanziaria, correttamente motivò il giudice in sentenza, può invece oggi ritenersi tipizzato, atteso che il legislatore con la disciplina introdotta dalla legge 4 agosto 2017, n. 124 (commi da 136 a 140), ha offerto la definizione legale di tale contratto e regolato le conseguenze dell’inadempimento, con particolare riferimento alla vendita o ricollocazione del bene. L’art. 1 comma 138 ha disciplinato gli effetti della risoluzione del contratto e testualmente prevede: “In caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente”. Tale disposizione normativa, spiegò il Magistrato di Milano, ricalca quanto qualche anno prima il legislatore aveva previsto in caso di sottoposizione di uno dei due contraenti, ad una procedura concorsuale. Alla luce di tali novità normative, la giudicante ha quindi ritenuto che l’introduzione in sede fallimentare di una disciplina speciale delle sorti di tale contratto, nell’ipotesi di fallimento dell’una o dell’altra parte, unitamente all’introduzione per effetto del d. lgs. n. 169/2007, di una differente disciplina speciale avente specificamente ad oggetto la vendita con patto di riservato dominio in ipotesi di scioglimento di rapporto pendente, comporti imprescindibilmente la necessità di rivedere la posizione tradizionale, nell’ottica di applicare, sempre in via analogica ovviamente, non già l’art. 1526 c.c. bensì l’intera disciplina di cui all’art. 72 quater L.F. a tutte le ipotesi di leasing, anche a quelle eventualmente già risolte prima del fallimento per inadempimento dell’utilizzatore o prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, come non era in alcun modo contestato essere avvenuto, nel caso di specie. Con l’introduzione dell’art. 72 quater L.F., motivò infine ancora il Tribunale di Milano, il legislatore dettando una regolamentazione degli effetti dello scioglimento del contratto, sostanzialmente unitaria, non distinguendo affatto tra leasing traslativo e leasing di godimento, bensì riconducendo ad unità le due figure e dando prevalenza alla loro causa di “finanziamento” rispetto alla causa di “scambio“; in tal modo dimostrando di voler definitivamente superare l’indirizzo giurisprudenziale tradizionale, fondato sulla atavica distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo. Per siffatta ragione, dovendosi ritenere del tutto inconciliabile con tale fattispecie negoziale un meccanismo analogo a quello contenuto nell’art. 1526 c.c., dettato per la risoluzione della vendita con riserva della proprietà ed applicato in passato, solo in quanto mancava del tutto per il leasing finanziario, una normativa analoga a quella oggi prevista dall’art. 72 quater L.F. Detta norma speciale, potendo indi essere applicata in via generale in sede fallimentare, a seguito dello scioglimento del rapporto intervenuto prima della dichiarazione di fallimento o prima dell’ammissione al concordato preventivo. Ed ancora, sempre su questa stessa Rivista, abbiamo commentato un memorabile decisione del Tribunale di Roma, ad oggetto la pretesa di restituzione dei canoni di leasing già pagati avanzata dall’opponente in applicazione dell’art. 1526 c.c., nel presupposto della natura traslativa della locazione finanziaria di cui al contratto portato all’esame; pretesa, quella della restituzione dei canoni, dichiarata infondata per una pluralità di ragioni. Il Giudice in particolare esponendo di non ignorare il diffuso orientamento giurisprudenziale, secondo cui doveva distinguersi tra leasing di godimento e leasing traslativo, così da applicare analogicamente a quest’ultimo la disciplina della vendita con riserva di proprietà e più in particolare l’art. 1526 c.c. in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore (cfr., tra le tantissime, Cass., sez. un., 7.1.1993, n. 65); ma ritenendo esso stesso giudice, che tale orientamento non fosse meritevole di adesione, difettando tra le due fattispecie (leasing e vendita con riserva di proprietà) quella eadem ratio che giustificherebbe il ricorso all’analogia. In particolare osservando che nella vendita con riserva di proprietà, l’effetto traslativo del diritto dominicale è l’obiettivo indefettibile del negozio e la sua realizzazione è necessariamente connessa all’adempimento dell’obbligazione del compratore, tant’è che quest’ultimo acquista la proprietà della cosa nel momento in cui paga l’ultima rata di prezzo, ossia con il completo adempimento dell’obbligazione a suo carico. Di contro, nel leasing il programma negoziale prevedendo almeno come ipotesi “normale”, che al momento del pagamento dell’ultimo canone, cioè con la definitiva estinzione delle obbligazioni di pagamento a carico dell’utilizzatore, quest’ultimo restituisca il bene locato alla parte concedente, fatta salva la possibilità dell’utilizzatore di esercitare un’opzione di acquisto e diventare così, con il pagamento di un’ulteriore somma, proprietario del bene; senonchè un siffatto esito, rimesso ad una scelta discrezionale (opzionale) del contraente, non è certo, a differenza dell’altra fattispecie, la conseguenza giuridicamente necessaria dell’adempimento di tutte le obbligazioni di pagamento, a carico di una delle parti. Alla luce di quanto esposto, concludendo il Giudice di Roma con la brillante tesi giusta la quale l’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. al leasing – anche a quello caratterizzato da elementi che secondo l’indirizzo prevalente consentiva di sussumerlo nel genere del “leasing traslativo” – avrebbe dato luogo a risultati paradossali. Nel caso infatti in cui l’utilizzatore abbia pagato tutti i canoni e, al termine del contratto, non eserciti l’opzione di acquisto – ( il Magistrato di Roma ha ritenuto espressamente che tale ipotesi non possa considerarsi di scuola, essendo già venuta all’attenzione dell’ufficio giudiziario in più occasioni (si pensi ad un’improvvisa crisi di liquidità) – l’art. 1526 c.c. non potrebbe trovare applicazione, giacchè in astratto applicabile nei soli casi di risoluzione del contratto (evidentemente non ipotizzabile allorché tutti i canoni siano stati pagati), mentre tale disposizione si applicherebbe, qualora l’utilizzatore si trovi ad essere inadempiente nel pagamento dei canoni periodici. Con la conseguenza, espose il Magistrato, di “premiare” il contraente inadempiente e di penalizzare quello fedele. Anche e comunque a voler aderire al diverso orientamento ermeneutico, con la preventiva qualificazione del contratto di leasing come “traslativo” e dunque applicando in via analogica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, il Tribunale di Roma escludendo e comunque il diritto del lessee di richiedere la restituzione dei canoni corrisposti in costanza di rapporto, con il conseguente diritto ed invece del lessor di acquisire integralmente i canoni scaduti fino al momento della risoluzione del contratto, giacchè il regolamento di interessi, ancora una volta, fondava le proprie ragioni normative nell’art 1526 comma 2 c.c., che espressamente prevede la possibilità delle parti, di convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore/concedente. Merita e quindi all’interno dell’odierno commento, anche il richiamo alla decisione romana, ove confrontato con la argomentazione esposta dalla Suprema Corte sempre a motivo di rigetto dei motivi 1 e 2 del ricorso di parte utilizzatrice, laddove essa Suprema Corte ha ricordato il principio generale per cui al leasing traslativo si applicherebbe la disciplina della vendita con riserva della proprietà, sicchè, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo avrebbe diritto alla restituzione delle rate riscosse solo dopo la restituzione della cosa, mentre il concedente avrebbe diritto, oltre al risarcimento del danno, ad un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto. Da ciò rilevando che la giurisprudenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 1526 c.c., comma 2, ha osservato come, nel caso, le parti possano convenire l’irripetibilità dei canoni versati al concedente in esito alla risoluzione del contratto, con patto avente natura di clausola penale che ne preclude, nel giudizio successivamente instaurato, la rilevabilità d’ufficio e la deducibilità dopo il decorso dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., trattandosi di eccezione (e non necessariamente domanda) in senso stretto (Cass., 12/09/2014, n. 19272). Nella fattispecie all’esame di legittimità rimanendo accertato che si versasse in ipotesi di leasing traslativo e che le parti avevano regolato gli effetti della risoluzione anticipata del rapporto negoziale, prevedendo la detrazione, dalle somme dovute dall’utilizzatore, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito. Ancora la Suprema corte rilevando che non era venuta in gioco l’applicazione della L. Fall., art. 72 quater, ma quello di una clausola ritenuta dalla Corte di appello: a) conforme alla “ratio” dell’art. 1526 c.c. b) sussumibile nella cornice della clausola penale ammessa dall’art. 1526 c.c., comma 2.
Il richiamo all’art. 72 quater, sarebbe stato quindi effettuato, dalla Corte territoriale, quale argomento a sostegno della suddetta ricostruzione e non quale norma da applicare al caso.
Bene, svolte le argomentazioni che precedono, la Corte di cassazione ha quindi esposto in favore della tesi, che nello stesso senso deporrebbe oggi, ancora più in generale, la Legge 4 agosto 2017, n. 124, art.1, commi 136-139 (legge annuale per la concorrenza e il mercato 2018), che disciplinando le locazioni finanziarie, indicate come comprensive dei leasing immobiliari (comma 137), stabilisce analoga disposizione, con specificazioni sulla detrazione, dal ricavato dalla collocazione del bene a valori di mercato, delle spese, oltre che del residuo credito in linea capitale e del prezzo di opzione d’acquisto. Il tutto in uno a una puntuale disciplina inerente ai suddetti valori di mercato.
La sussunzione del patto nei termini di clausola penale, è stata quindi ritenuta dalla Suprema Corte conforme alla giurisprudenza, che peraltro avrebbe avuto modo di precisare che al fine di accertare se sia manifestamente eccessiva, agli effetti dell’art. 1384 c.c., la clausola penale che attribuisca al concedente, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento e in più la proprietà del bene, occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto (Cass., 07/01/2014, n. 888; sulla portata generale della possibilità di esercitare d’ufficio i poteri ex art. 1384 c.c., di recente, cfr. Cass., 25/10/2017, n. 25334, punto 3). In questi termini si era sostanzialmente portata la Corte territoriale, quando aveva argomentato dalla L. Fall., art. 72, che tipizza la tutela spettante alla curatela dell’utilizzatore fallito, attribuendole il diritto di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene (a prezzo di mercato) ricavi il concedente, rispetto alle utilità che la parte avrebbe tratto dal contratto, qualora finalizzato con il riscatto del bene. Il tutto nella prospettiva che qualora la liquidazione del bene non fosse avvenuta, non vi poteva essere in concreto una locupletazione che eludesse il limite ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto, fermo restando che la clausola in cui non risulti richiamata la collocazione del bene a prezzi di mercato. dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c..
Stiamo assistendo quindi, non vi è dubbio, ad una svolta storica nella gestione giudiziale del contratto di locazione finanziaria, anche in sede di legittimità, seppure con le odierne oggi riproposte osservazioni, che a parere di chi scrive ben potrebbero essere fatte proprie, definitivamente, dalla Suprema Corte. Ovvio che a distanza di quasi un anno e mezzo dalla entrata in vigore delle legge 124/17, si cominci a leggere nelle motivazioni della Suprema Corte. il richiamo a detta legge, con la differenza pressochè scontata,( vista l’innegabile abnegazione da parte dei giudici della Suprema, al rispetto del principio nomofilattico che assiste ed impregna il proprio dictum ), che alcune memorabili decisioni di merito abbiano fin qui già fatti propri i principi generali come derivanti dalla legge 124, applicandoli alle fattispecie portate all’esame, anche in epoca precedente la sua entrata in vigore; alcune pronunce riconoscendone la immediata applicazione, in deroga ed anche all’art. 11 delle preleggi; altre pronunce ed invece cogliendo dalla stessa legge e mirabilmente la occasione, per una rivisitazione ex toto della quarantennale giurisprudenza sul leasing, dissociandosi ab initio ed a prescindere, dal noto discrimen tra leasing finanziario traslativo e leasing finanziario di godimento.
Lo sforzo, anche da parte degli operatori del settore, sarà quindi quello di vedere affermati una volte per tutte, anche in sede di legittimità, quei principi che apparentemente in modo casuale leggiamo, dicitur per la prima volta, all’interno della legge 124/17 ma che nella realtà, a parere come più volte espresso di chi scrive, nascono e trovano il loro fondamento già all’interno della Convenzione Unidroit di Ottawa sul leasing internazionale, la cui unica colpa era quella di regolamentare il mercato della locazione finanziaria, fuori dai nostri confini.
Pian piano, giacchè è difficile un percorso che smentisca in sede di legittimità i precedenti di essa stessa Suprema Corte, si potrà giungere alla finalmente affermazione di un fenomeno di jus superveniens rispetto ad una ipotesi fenomenologica di overrulling, atto a consentire il primato della legge 124/17, su ogni precedente statuizione.
In fondo è questa la bellezza del leasing, inviso anche dai mercati degli NPL, proprio perché rispetto alle forme tradizionali dei contratti bancari tipici, da sempre si è costruito sul campo, ma pur sempre nel rispetto della lettera.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista: LEASING: ANCORA SULLA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL RAPPORTO
INADEMPIMENTO E PRETESA APPLICAZIONE DELL’ART. 1526 C.C.
Sentenza | Tribunale di Roma, Giudice Dott. Luigi D’Alessandro | 05.07.2018 | n.13912
CON L’INTRODUZIONE DELL’ART. 72 QUATER L.F. È VENUTA MENO LA DISTINZIONE TRA LEASING DI GODIMENTO E LEASING TRASLATIVO
Sentenza | Tribunale di Milano Giudice Dott.ssa Anna Carbone | 26.10.2018 | n.10848
LEASING: FONDAMENTALI I PRINCIPI SANCITI DALLA L. N. 124 DEL 4/8/2017
APPLICABILI ANCHE AI CONTRATTI STIPULATI ANTERIORMENTE MA RISOLTI SUCCESSIVAMENTE
Decreto | Tribunale di Modena, Pres. Salvatore- Rel. Mirabelli | 15.01.2019 |
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