Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA:
Il legislatore ha ritenuto di sanzionare espressamente con la nullità del contratto o delle singole clausole, i soli casi in cui, nel credito al consumo, vi sia stata un’indicazione non corretta del TAEG (indice di costo nel finanziamento al consumo), ma non anche le ipotesi di non corretta indicazione dell’ISC nei contratti di mutuo, di anticipazione bancaria e di altri finanziamenti.
È giuridicamente infondato l’argomento difensivo che intende equiparare l’indicazione dell’ISC contenuta nel contratto di mutuo ad una pubblicizzazione del costo complessivo dello stesso al fine di farne derivare la nullità della pattuizione e l’applicazione dei tassi sostitutivi più favorevoli per il mutuatario ex art. 117, co. 7, TUB, in quanto l’eventuale disallineamento dell’ISC indicato nel contratto rispetto a quello effettivo può, in astratto, costituire una violazione della normativa in materia di trasparenza, ma non può certo comportare la nullità della relativa clausola.
Attesa la evidente funzione di liquidazione forfettaria ed anticipata del danno da inadempimento assolta dagli interessi moratori, a questi ultimi va semmai applicata la disciplina prevista per la clausola penale, ma solo ove ne sussistano i presupposti.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Roma, Giudice Fausto Basile con la sentenza n. 3632 del 19.02.2018.
IL CASO
Con atto introduttivo del giudizio, la parte attrice, una correntista della banca, chiedeva che il Tribunale di Roma accertasse e dichiarasse che il contratto portato all’esame dello stesso, un mutuo, venisse dichiarato gratuito ai sensi dell’art. 1815 c.c., in quanto contenente pattuizioni in violazione della legge 108/96 e, per gli effetti, rideterminasse secondo giustizia i rapporti dare avere inter partes.
In via subordinata, chiedeva che lo stesso Tribunale di Roma, accertata la sussistenza di una discrasia tra l’ISC indicato in contratto e quello effettivamente applicato al rapporto, dichiarasse la nullità della clausola di determinazione del tasso contrattuale, ai sensi dell’art. 117 comma 6 del TUB, con conseguente sostituzione nella misura di cui al comma 7 dello stesso articolo e rideterminazione dei rapporti dare avere inter partes, sempre secondo giustizia.
Chiedeva inoltre, in ogni caso, di accertare e dichiarare che la Banca convenuta avesse pattuito e/o applicato, nel contratto descritto in narrativa, interessi anatocistici, rideterminando all’uopo i rapporti dare avere inter partes, ancora secondo giustizia ed infine che alla Banca fosse ordinato, qualora non vi avesse già provveduto spontaneamente, di effettuare la corretta segnalazione del procedimento in Centrale dei Rischi sotto la voce “stato del rapporto” quale “contestato”, ai sensi del 13° e 14° aggiornamento della Circolare della Banca d’Italia 11.2.1991 n. 139 e successive modifiche ed integrazioni; con la condanna della Banca convenuta al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, anche ex artt. 2043 c.c., e 185 c.p., nella misura ritenuta di giustizia, eventualmente anche con liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., e con vittoria delle spese.
In via istruttoria, richiedeva disporsi CTU contabile, al fine di confermare le proprie risultanze.
A sostegno delle proprie pretese, parte attrice deduceva che altro soggetto giuridico/persona fisica, avesse stipulato con la Banca convenuta un contratto di mutuo ed avesse depositato perizia di parte, volta a dimostrare la illegittima applicazione, in relazione al medesimo contratto, di interessi ed oneri non dovuti, nonché la violazione dell’art. 117 TUB, con conseguente sostituzione del tasso corrispettivo con il tasso minimo dei BOT a 12 mesi, atteso che l’ISC dichiarato dalla Banca nel contratto, sarebbe stato inferiore rispetto a quello effettivo verificato dal perito di parte.
Si costituiva in giudizio la Banca, chiedendo in primis di accertare e dichiarare il difetto di legittimazione attiva della parte attrice, attesa la sua qualità di terza datrice di ipoteca e non di parte mutuataria.
Nel merito, invocando il rigetto di tutte le domande attoree, in quanto inammissibili e infondate, in fatto e diritto, nonché il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., per lite temeraria.
Il Giudice istruttore, ritenuta la causa documentalmente istruita, rigettava la richiesta di CTU avanzata da parte attrice e fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni. Indi la causa veniva trattenuta in decisione.
IL COMMENTO:
L’eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva come formulata dalla Banca, è stata respinta dal Tribunale di Roma, sull’assunto che la nullità della clausola consequenziale all’usurarietà dei tassi pattuiti, può essere fatta valere in ogni momento da qualunque interessato e che, pur non rivestendo la parte la qualità di “mutuataria” nel rapporto in contestazione, essa si qualificava quale “terzo datore di ipoteca”,…..rectius e quindi titolare dell’interesse ad agire, in quanto in caso di accoglimento della domanda, la garanzia sarebbe risultata prestata per un importo inferiore, a titolo di interessi.
Nel merito tuttavia, le domande introdotte da parte attrice sono state dichiarate del tutto infondate per i motivi di seguito indicati:
A) In primis, non è stato condiviso, ai fini del calcolo dell’usurarietà dei tassi di interesse, l’assunto della sommatoria dei tassi degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori, sul quale si fondavano sostanzialmente le domande di accertamento della pattuizione di interessi usurari e di ripetizione dell’indebito. A parere del Tribunale, la verifica circa la determinazione del tasso di interesse pattuito e applicato al contratto di mutuo in termini di usura, ai sensi della L. 108/96, avrebbe dovuto involgere solo gli interessi corrispettivi, non anche quelli moratori.
Sotto questo profilo, ancora, il Giudice ha richiamato la nota sentenza della Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, secondo la quale “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”. Siffatta pronuncia, come riferito dal Giudice nella parte motiva, richiamando espressamente quanto affermato dalla Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, secondo cui “il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile … l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori“, si porrebbe sulla scia dell’orientamento espresso, tra le altre, da Cass. 4 aprile 2003, n. 5324, Cass. 17 novembre 2000, n. 14899, e Cass. 22 aprile 2000, n. 5286. e ribadito, da ultimo, da Cass. 5598/17 e Cass. 23192/2017 (quest’ultima, in particolare, non avallava né la tesi della sommatoria dei tassi di interesse, né quella del raffronto dei tassi di interessi moratori con TSU basato sulle rilevazioni trimestrali dei decreti ministeriali emanati in esecuzione della Legge n. 108/96, con riferimento ai soli interessi corrispettivi.).
Con tali pronunce la S.C. chiarisce che si incorrerebbe in errore se si ritenesse che il tasso soglia non sia superato solo perché non è consentito cumulare i due tipi di interessi (corrispettivo e moratorio); osservando tale autoritario orientamento, dunque, si sarebbe dovuto procedere ad un’autonoma verifica degli interessi moratori, in ordine al superamento del tasso soglia usurario.
Ancora, il Giudice adito, precisava però che nonostante l’autorevolezza del riferito orientamento giurisprudenziale, esso non poteva essere condiviso, in quanto trascurava la profonda diversità della funzione assolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori: i primi, costituenti il corrispettivo previsto per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta (cfr. Cass. 22 dicembre 2011, n. 28204); i secondi, rappresentanti una liquidazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno causato dall’inadempimento o dal ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria.
Il tasso di mora ha infatti un’autonoma funzione risarcitoria per il fatto, solo eventuale e imputabile al mutuatario, del mancato o del ritardato pagamento, e la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi (cfr. Trib. Milano, 22 maggio 2014; Trib. Verona, 9 aprile 2014; Trib. Brescia, 16 gennaio 2014).
B) Sebbene la distinzione tra le due figure risultasse meno sfumata sotto il vigore dell’art.41 cod. comm., il quale ammetteva l’automaticità della produzione di interessi non moratori limitatamente ai soli rapporti oggettivamente commerciali, non poteva per ciò solo ritenersi che l’art. 1282 c.c. fosse sovrapponibile all’art. 1224 c.c. e che, dunque, gli interessi corrispettivi e quelli moratori, potessero porsi sullo stesso piano, in quanto, come evidenziato anche da autorevole dottrina, erano identificabili diverse situazioni in cui si verifica un’esigibilità o un ritardo nel pagamento, senza una corrispondente situazione di mora (quale, ad esempio, il caso del corrispettivo pecuniario divenuto esigibile per l’appaltatore dopo la consegna e l’accettazione dell’opera da parte dell’appaltante, esigibile anche qualora non sia decorso il termine per l’ adempimento), situazioni riconducibili sì nell’alveo della prima disposizione, ma non in quello della seconda, il cui ambito di applicazione è circoscritto in quello della prima;
C) Per il Tribunale di Roma, dunque, le due tipologie di interessi, si distinguono anche sul piano della disciplina applicabile in quanto gli interessi moratori sono dovuti, a differenza di quelli corrispettivi, dal giorno della mora ed a prescindere dalla prova del danno subito, ai sensi dell’art. 1224, I co. cc. Essi, attesa la loro natura latamente punitiva (cfr. Trib. Roma, 16 settembre 2014); vengono introdotti coattivamente ex lege, per il caso di inadempimento anche in un rapporto contrattuale che non li abbia originariamente previsti.
Inoltre, le due figure di interessi si pongono in rapporto di alternatività, in quanto la lettura congiunta degli artt. 1182, terzo comma, e 1219, secondo comma, punto terzo, c.c., porta ad affermare che qualora si tratti di obbligazioni pecuniari portables e sia scaduto il termine per l’adempimento, l’ambito di applicazione dell’art. 1282 c.c., riconducibile agli interessi corrispettivi, risulta completamente affievolito. Infatti, non appena il credito diventa liquido ed esigibile, si costituiscono le condizioni ed i presupposti per l’applicazione dell’art. 1224 c.c., norma questa prevalente in base al principio di specialità ex art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, sicché in tal caso interessi corrispettivi ed interessi moratori, in via di principio, non si cumulano, ma sono dovuti solo i secondi (cfr. ABF – Collegio di Milano, 3 giugno 2014, n. 3577; ABF – Collegio di Napoli, 20 novembre 2013, n. 5877)
D) In considerazione della evidenziata funzione di liquidazione forfettaria e anticipata del danno da inadempimento assolta dagli interessi moratori, a questi andrebbe semmai applicata la disciplina prevista per la clausola penale, con la conseguenza che qualora la loro misura fosse stata ritenuta eccessiva, avrebbe trovato applicazione lo strumento della riduzione giudiziale ex art. 1384 c.c., senza procedere alla loro completa eliminazione (cfr. Trib. Napoli, 12 febbraio 2014; ABF – Collegio di coordinamento, 28 marzo 2014, n. 1875; ABF – Collegio di Napoli, 13 gennaio 2014, n. 125).
E) Il Giudice ha dato atto che il disatteso orientamento seguito dalla citata giurisprudenza di legittimità, sembrava porsi in contrasto anche con la ratio sottesa alla fattispecie delittuosa del reato di usura, che sanziona, all’art. 644 c.p., la condotta di chi si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari quale corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, da individuarsi, come desumibile anche dal disposto del comma terzo del medesimo articolo, nel divieto di convenire un corrispettivo sproporzionato per la concessione in godimento del denaro o di altra utilità.
Per quanto sopra esposto, dovrebbero assumere rilevanza, ai fini dell’integrazione degli estremi del reato di usura, solo quelle prestazioni di natura corrispettiva – siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte o tasse – legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale, non essendo possibile estendere l’ambito di applicazione della fattispecie in esame, anche alle prestazioni riconducibili alla mora debendi (cfr. Tribunale Verona 9 aprile 2014; in materia penale, vedi Trib. Torino, GUP, 10 giugno 2014). Tale interpretazione appare, peraltro, suffragata dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che “la “clausola penale” per la sua funzione (desumibile dal dettato degli artt. 1382 -1386 c.c.) ex se, non può essere considerata come parte di quel “corrispettivo” che previsto dall’art. 644 c.p. può assumere carattere di illiceità, poiché sul piano giuridico l’obbligazione nascente dalla clausola penale, non si pone come corrispettivo dell’obbligazione principale, ma come effetto derivante da una diversa causa che è un inadempimento’’, a meno che le parti non abbiano dissimulato il pagamento di un corrispettivo, attraverso un simulato e preordinato inadempimento (cfr. Cass.,Sez. II, n. 5683 del 25/10/2012 – dep. 05/02/2013 – De Novellis Spinelli).
F) Non appare decisivo, in senso opposto, il dettato dell’art. 1 comma 1, D.l. n. 394/00, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 24/01, secondo cui “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento’’, disposizione emanata al dichiarato fine di evitare gli effetti pregiudizievoli in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale che sarebbero potuti derivare dall’orientamento giurisprudenziale (v. Cass. n. 14899/00, cit.) propenso a riconoscere la sopravvenuta usurarietà dei tassi di interesse, benché legittimi al momento della conclusione del contratto di mutuo, per effetto della variazione medio tempore del c.d. tasso-soglia.
Secondo l’argomentazione del Magistrato, non sembra potersi riconoscere a tale norma, in considerazione della sua natura di interpretazione autentica, carattere innovativo rispetto alla disciplina dettata dall’art. 644 c.p. e, come tale, idonea ad ampliare la fattispecie delittuosa del reato di usura, includendo anche oneri non ricollegabili alla erogazione del credito.
Sotto altro profilo, occorre rilevare che i decreti del Ministero dell’economia e delle finanze con cui, in attuazione della l. n. 108/96, sono periodicamente individuati i tassi effettivi globali medi rilevanti ai fini dell’usura, non tengono in considerazione gli interessi moratori. Sul punto, a partire dal d.m. 25 marzo 2003, si è avuto cura di precisare espressamente che i tassi effettivi globali medi, non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento e che l’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano dei Cambi, già all’epoca aveva rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.
G) In data 3 luglio 2013, successivamente all’emanazione della richiamata pronuncia n. 350/13 della Cassazione, la Banca d’Italia ha diffuso un comunicato secondo il quale gli interessi di mora, pur essendo soggetti alla normativa anti-usura, sono esclusi dal calcolo del TEG, in ragione del fatto che trattasi di oneri eventuali la cui debenza ed applicazione cadono solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente e ha conseguentemente chiarito che, in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.
È apparso pertanto del tutto incoerente ed illogico, prendere in considerazione, ai fini dell’accertamento dell’usurarietà dei tassi di interesse – laddove si sostenga la rilevanza a tali fini anche di quelli moratori – soglie determinate con riferimento ai soli interessi corrispettivi e a tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito; con la conseguenza che anche l’interpretazione del dato normativo condotta sotto il profilo più strettamente economico, conduceva alla conclusione della impossibilità di attribuire rilevanza, ai fini del superamento del tasso soglia usurario, agli interessi moratori.
Come evidenziato nella richiamata comunicazione della Banca d’Italia, l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo dell’usura, evitava d’altra parte di considerare nella media operazioni con andamento anomalo, per cui prendere in considerazione anche tali interessi, potrebbe determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela, così frustrando le stesse finalità della normativa.
Sarebbe stato d’altro canto incongruo, ritenere che l’usurarietà degli interessi moratori potesse essere accertata sulla base di un tasso soglia stabilito, senza tener conto dei maggiori costi indotti, per il creditore, dall’inadempimento del debitore.
H) Da ultimo il Giudicante ha evidenziato che, diversamente opinando si dovrebbe concludere nel senso della non coerenza dei decreti ministeriali emanati in attuazione della l. n 108/96 con la stessa legge, in quanto adottati sul non corretto presupposto della non rilevanza degli interessi moratori, con conseguente inapplicabilità a questi ultimi delle soglie fissate per i soli interessi corrispettivi e gli ulteriori oneri connessi all’erogazione del credito.
Proprio in considerazione delle argomentazioni svolte, il Tribunale di Roma, preso atto del citato contrario orientamento della Suprema Corte in materia, non è pervenuto ad una pronuncia di rigetto della domanda sul mero presupposto della illegittima sommatoria dei tassi di interesse, ma ha proceduto ad un’autonoma verifica, anche in ordine all’eventuale superamento del TSU, da parte degli interessi di mora effettuata raffrontandolo con un TSU determinato maggiorando il TEGM dei 2,1 punti percentuali rilevati dalla Banca d’Italia nell’ambito dei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, aumentato della metà.
I) Dalla valutazione dei dati oggettivi che emergevano dal contratto di mutuo ipotecario in contestazione e quanto alla dedotta usurarietà del tasso degli interessi di mora, si è rilevato che lo stesso era stato pattuito in misura pari al “tasso contrattuale vigente, maggiorato di due punti in ragione d’anno”; tasso che è risultato ugualmente inferiore al tasso soglia antiusura, calcolato secondo i parametri all’epoca vigenti, ottenuto attraverso la maggiorazione di 2,1 punti percentuali di cui si è innanzi trattato.
L) La domanda di parte attrice è risultata inoltre infondata, anche alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite civili della Cassazione (S.U. del 19 ottobre 2017, n. 24675) con la quale è stata affermata l’inesistenza della c.d. “usura sopravvenuta”. Le SS.UU., infatti, hanno sancito che qualora il tasso di interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, in corso di rapporto, la soglia dell’usura come determinata ai sensi della l. 108/1996, non si verifica nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso di interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge o della clausola stipulata successivamente per tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula;
M) In merito alla richiesta declaratoria di nullità ex art. 117, comma 6 TUB della clausola determinativa degli interessi in conseguenza della rilevata discrasia tra ISC contrattuale ed ISC effettivo, il Tribunale di Roma, ha preliminarmente considerato che per il credito al consumo l’art. 125-bis, comma 6, del TUB (inserito nel Titolo VI, Capo II del TUB, intitolato “Credito al consumo”) prevede espressamente la nullità delle clausole del contratto, relative a costi non inclusi o inclusi in modo non corretto nel TAEG:
Il Magistrato ha, dunque, evidenziato che l’ ipotesi di cui all’ art 125-bis TUB non fosse applicabile al caso di specie relativo ad un mutuo ipotecario e che le ipotesi di non corretta indicazione dell’ISC nei contratti di mutuo, di anticipazione bancaria e di altri finanziamenti, non comporta alcuna nullità delle clausole contrattuali, potendo in limine integrare una violazione della normativa in tema di trasparenza dando luogo ad una violazione del criterio di buona fede nella predisposizione e nell’esecuzione del contratto (Trib. Bologna, sez. IV, 28.06.2016 n. 1722).
Nel caso in esame, inoltre, il Giudice ha accertato che l’indicazione del costo complessivo dell’operazione, non era stata omessa nel contratto di mutuo ma, come prospettato dalla stessa parte attrice, risultava soltanto leggermente difforme dall’ISC calcolato dal perito di parte.
Ciononostante, non trovando però applicazione le previsioni di cui all’art. 117, commi 6 e 7, TUB che sanciscono la nullità delle clausole contrattuali che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti rispetto a quelli pubblicizzati, è stato ritenuto giuridicamente infondato, l’argomento difensivo che intende equiparare l’indicazione dell’ISC contenuta nel contratto di mutuo, ad una pubblicizzazione del costo complessivo dello stesso e che, oltretutto, effettua il confronto, non già tra l’ISC dichiarato in contratto e quello pubblicizzato, ma tra quello indicato in contratto e quello autonomamente calcolato dal perito di parte al fine di farne derivare la nullità della pattuizione e l’applicazione dei tassi sostitutivi più favorevoli per il mutuatario, ex art. 117, co. 7 TUB.
N) Infine, relativamente alla presunta illegittimità del cd. piano di ammortamento alla francese applicato al mutuo portato all’esame, a causa dell’illegittimo effetto anatocistico che lo stesso avrebbe prodotto, il Tribunale di Roma ha ribadito che la caratteristica di tale piano di ammortamento, non è quella di operare un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto quella della diversa costruzione delle rate costanti, in cui la quota degli interessi e quella di capitale variano, al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale. Gli interessi convenzionali sono quindi calcolati sulla quota capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento della rata, senza capitalizzare in tutto o in parte gli interessi corrisposti nelle rate precedenti. Né potendosi sostenere che si sia in presenza di un interesse composto per il solo fatto che il metodo di ammortamento alla francese, determina inizialmente un maggior onere di interessi rispetto al piano di ammortamento all’italiana che, invece, si fonda su rate a capitale costante. In realtà, il piano di ammortamento alla francese, risultando più rispettoso del principio di cui all’art. 1194 c.c. in quanto prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione ad interessi, rispetto quella al capitale.
In conclusione le domande attoree di accertamento della gratuità del mutuo e di ripetizione dell’indebito, sono state tutte rigettate in quanto infondate e le spese processuali sono state liquidate secondo il criterio della soccombenza.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
DIVERGENZA ISC/TAEG: CENSURABILE UNICAMENTE EX ART. 125 BIS TUB IN RIFERIMENTO AI CONTRATTI DI CREDITO AL CONSUMO
ESCLUSA L’APPLICABILITÀ DELL’ART. 117 TUB IN RELAZIONE A TUTTI I FINANZIAMENTI NON REGOLATI DAL CAPO II DEL TITOLO VI
Sentenza | Tribunale di Bologna, Giudice Francesca Neri | 09.01.2018 | n.34
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