ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di contratti di mutuo, affinchè una convenzione relativa agli interessi ultralegali sia validamente stipulata ai sensi dell’art.1284, terzo comma, cc, che è norma imperativa, deve avere forma scritta e contenere l’indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato; tale condizione – che, nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n.154, può ritenersi soddisfatta anche “per relationem“, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purchè obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse – si realizza anche quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, perché individuato “per relationem” mediante rinvio al tasso vigente, alla data di stipulazione del contratto medesimo, per il tipo di operazione di credito agrario che ne è oggetto, effettuata dalla sezione agraria di quel determinato istituto mutuante.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4613-2007 proposto da:
Q.L. (OMISSIS) in qualità di unica erede di O.M., considerata domiciliata “ex lege” in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
– ricorrente –
contro
banca quale avente causa da banca 1, banca 2, banca 3
– controricorrente
avverso la sentenza non definitiva n. 323/2006 del TRIBUNALE DI MANTOVA, depositata il 25/7/1996, R.G.N. 1776/1992;
avverso la sentenza definitiva n. 346/2006 del TRIBUNALE DI MANTOVA, depositata il 24/03/2006, R.G.N. 1776/1992;
1.- Con ricorso depositato il 25 maggio 1992 Q.L. e O.M. premettevano che, avvalendosi del contratto di mutuo stipulato a rogito del notaio OMISSIS in data 31 ottobre 1977 rep. n.OMISSIS, la sezione di credito agrario della BANCA 3 aveva loro notificato in data 19 febbraio 1991 un precetto per L. 109.985.437 e, con atto di pignoramento del 4 aprile 1991, aveva iniziato un’esecuzione immobiliare nei loro confronti dinanzi al Tribunale di Mantova; che nella procedura esecutiva era intervenuta BANCA 2 – vantando crediti ipotecari relativi ad altri prestiti e mutui agrari di miglioramento, crediti chirografari e crediti ordinari garantiti ipotecariamente; che i beni pignorati erano di proprietà soltanto di Q.L.; che il mutuo agrario stipulato a rogito del notaio OMISSIS in data 30 luglio 1980 rep. n. OMISSIS era stato inesattamente calcolato per rate scadute e capitale dovuto; che gli interessi pretesi per altri prestiti agrari eccedevano le misure stabilite dalla L.22 dicembre 1984, n.887, art.18 (con rinvio al D.P.C.M. 2 aprile 1982); che gli interessi sul prestito n. (OMISSIS) andavano computati in un importo minore di quello preteso; che era residuato in ordine al prestito n. (OMISSIS) un importo minore, per sorte capitale ed interessi, di quello preteso; che non erano stati conteggiati i versamenti effettuati da Q.L., in conto prestiti agrari, prima della notificazione dell’atto di precetto; che la BANCA 2 aveva accettato, purchè perfezionata in tempi brevi, la proposta di saldare gli ultimi crediti ordinari con il pagamento della somma omnicomprensiva di L. 350.000.000, negando, dopo aver riscosso tale somma in tre rate, l’avvenuta definizione del rapporto per asserita tardività dei versamenti, malgrado non fosse stata fissata alcuna scadenza; che, essendo indebitate complessivamente per L. 1.118.714.745, anzichè per L. 1.97 6.931.959, avevano diritto ad una riduzione del pignoramento, eseguito su una pluralità di immobili, malgrado il solo capannone industriale fosse sufficiente a coprire lo scoperto; che la BANCA 2 aveva iscritto ipoteche sulla totalità di fabbricati e terreni, bloccando di fatto l’azienda.
Tutto ciò premesso, la Q. e l’ O. proponevano opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art.615 cpc comma 2, chiedendo l’estromissione di O.M. dal processo esecutivo e l’accertamento del minor ammontare del loro debito, con conseguente riduzione del pignoramento.
1.2.- Si costituiva la banca 3 e riconosceva che la O. non era proprietaria dei beni pignorati. Quanto all’ammontare dei debiti, deduceva che nelle rate scadute era stato conglobato l’ammortamento degli interessi e che gli atti a mezzo del notaio omissis, il capitolato al punto 11, le scritture private del 26 aprile 1982 e del 16 febbraio 1984 obbligavano a corrispondere interessi moratori ad un tasso maggiore degli interessi corrispettivi; che gli acconti percetti erano stati computati; che non poteva ritenersi eseguito entro tempi brevi, come stabilito con l’accordo transattivo, l’ultimo versamento di L. 200.000.000 effettuato nell’ottobre 1989; che la riduzione del pignoramento non era giustificata dal valore degli immobili pignorati, inferiore a quello indicato dalle opponenti.
1.3.- Con sentenza non definitiva pubblicata il 25 luglio 1996 il Tribunale adito accolse l’opposizione della O. e dichiarò che gli immobili pignorati erano di proprietà esclusiva della Q.; dichiarò inoltre “che gli interessi corrispettivi e moratori sui prestiti agrari e sulle altre sovvenzioni della banca 2 o della banca 3 sono dovuti ai tassi pattuiti per tali interessi con gli atti notarili azionati dalla mutuante come titoli esecutivi o da questa allegati ai propri ricorsi per intervento nell’esecuzione immobiliare n. 53/91 o nell’eventuale minor misura eventualmente richiesta in sede di processo esecutivo”; rimise alla sentenza definitiva la regolamentazione delle spese processuali. Con separata ordinanza il Tribunale demandò ad un consulente tecnico d’ufficio il conteggio degli interessi e delle altre voci in “dare” e “avere”.
Q.L. notificò riserva d’appello avverso la sentenza non definitiva.
1.4.- Con sentenza definitiva pubblicata il 24 marzo 2006 il Tribunale di Mantova ha dichiarato che “banca 2 è creditrice nei confronti di M.O. e di Q.L., per prestiti agrari, alla data del 31-12-1996 per Euro 1.304.042,00 in via ipotecaria e per Euro 133.651,00 in via chirografaria oltre a dictum 155,65” e che “la banca opposta è altresì creditrice delle opponenti per l’ulteriore importo chirografario di Euro 86.035,93 alla data 31-12-1996, cui debbono aggiungersi gli interessi corrispettivi successivamente maturati come determinati dal d.i.13329/85 emesso dal Tribunale di Milano“; ha rigettato la domanda di riduzione del pignoramento; ha condannato le opponenti a rifondere all’opposta le spese di lite, compensandole per un decimo.
3.- Avverso entrambe le sentenze, Q.L. propone ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. Si difende con controricorso, pure illustrato da memoria, banca, succeduta a banca 2
A seguito di ordinanza del 7 giugno 2012, il contraddittorio è stato integrato nei confronti di O.M., che non si è difesa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va premesso che il presente ricorso straordinario è ammissibile in ragione della data di pubblicazione della sentenza definitiva (24 marzo 2006), che, essendo stata pronunciata dal Tribunale in un giudizio di opposizione all’esecuzione ex art.615 cpc comma 2, non è impugnabile, in ragione di quanto disposto dall’ultimo inciso dell’art.616 cpc, introdotto dalla L. n.52 del 2006, art.14 ed abrogato dalla L. n.69 del 2009, art.49, comma 2, (cfr., da ultimo, Cass. ord. n.9591/11, n.17321/11). Il ricorso è ammissibile anche avverso la sentenza non definitiva dello stesso Tribunale pubblicata il 25 luglio 1996, contro la quale l’opponente Q. aveva fatto riserva di appello.
Poichè nei giudizi di opposizione all’esecuzione conclusi con sentenza definitiva pubblicata a partire dal 1 marzo 2006 (e prima del 4 luglio 2009) la sentenza – a norma dell’art.616 cpc come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n.52, art.14 – non è impugnabile con l’appello ed è perciò soggetta al ricorso immediato per cassazione, ai sensi dell’art.111 Cost., comma 7, ai sensi della medesima disposizione va determinato il regime impugnatorio della sentenza non definitiva pronunciata nello stesso giudizio di opposizione all’esecuzione, pubblicata in epoca precedente l’entrata in vigore della modifica normativa ed assoggettata a riserva di impugnazione, nel vigore del testo originario dell’art.616 cpc; si tratta infatti di impugnazione congiunta ai sensi dell’art.340 cpc. comma 2, che va regolata dalla legge che detta il regime di impugnazione della sentenza che definisce il giudizio, vigente alla data di pubblicazione di questa seconda sentenza (cfr. Cass. n. 12696/05).
Va altresì premesso che il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ed abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della indicata data di pubblicazione della sentenza definitiva.
Tutti i motivi di ricorso con i quali è denunciata violazione di legge, ai sensi dell’art.360 cpc., comma 1, n.3, sono assistiti da quesiti di diritto conformi al disposto dell’art.366 bis cod. proc. civ.; i motivi con i quali è denunciato vizio di motivazione, ai sensi dell’art.360 cpc., comma 1, n.5, indicano specificamente il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
1.- Col PRIMO motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art.360 cpc., n.3, della L. 22 dicembre 1984, n. 887, art.18 (erroneamente indicata come D.P.C.M.), anche in relazione al D.P.C.M. 2 aprile 1982, per avere il Tribunale di Mantova ritenuto che detto disposto normativo individui i soli tassi minimi accollabili ai mutuatari e lasci libere le parti di determinare i tassi massimi.
La ricorrente sostiene che, avendo detto art.18, mediante il richiamo al D.P.C.M. del 1982, fissato un tasso massimo, entro i tassi minimi stabiliti da questo secondo provvedimento, del saggio di interesse che le sezioni agrarie degli istituti di credito all’epoca autorizzati a concedere mutui a medio-lungo termine potevano porre a carico dei mutuatari che stipulavano contratti di mutuo per miglioramento fondiario, sarebbero affette da nullità per contrarietà a norma imperativa le clausole dei contratti che prevedevano tassi superiori; critica quindi l’interpretazione data alla norma dal Tribunale di Mantova, che ha rigettato la detta eccezione di nullità.
1.1.- Il motivo non è meritevole di accoglimento.
La ricorrente non ha indicato quale fosse il contratto di mutuo di miglioramento fondiario (o, eventualmente, i diversi contratti di mutuo di miglioramento fondiario) fatto/i valere nella procedura esecutiva, cui sarebbe stata applicabile la normativa richiamata, in ragione sia della data di erogazione del mutuo sia dell’ammissione al contributo pubblico, sia, infine, del saggio degli interessi corrispettivi fissato nel/i contratto/i. In proposito, va sottolineato che la difesa della resistente è nel senso che soltanto uno dei contratti azionati in sede esecutiva ricadrebbe nell’arco temporale preso in considerazione dalla L. n.887 del 1984, ma che esso non avrebbe goduto dell’agevolazione del concorso pubblico negli interessi, sicchè nemmeno a tale contratto sarebbe stata applicabile la legge richiamata dall’opponente.
Infatti, il richiamato D.P.C.M. 2 aprile 1982 aveva per scopo di fissare tassi minimi inderogabili da praticarsi sulle operazioni di credito agrario assistite dal concorso pubblico sugli interessi; nel momento in cui, con la L. 22 dicembre 1984, n.887 (finanziaria 1985), il legislatore statale ha indicato il limite massimo del concorso regionale nel pagamento degli interessi relativamente all’anno 1985, richiamando, per la soglia minima annua inderogabile, la normativa, dettata ai sensi del D.P.R. n.616 del 1977, art.109, di cui al citato D.P.C.M. 2 aprile 1982, si è posto in linea di continuità con quest’ultima. In conseguenza, al fine di dimostrare l’interesse all’impugnazione, la ricorrente avrebbe dovuto indicare il/i contratto/i soggetto/i a detta normativa e le conseguenze a sè sfavorevoli dovute alla mancata applicazione, da parte dell’istituto di credito mutuante, della normativa medesima.
Giova aggiungere che la normativa richiamata col primo motivo di ricorso non riguarda il tasso degli interessi di mora, di cui si dirà trattando dei motivi secondo, terzo e quarto del ricorso, bensì il tasso degli interessi corrispettivi.
Non avendo la ricorrente svolto le deduzioni di cui sopra e non avendo nemmeno indicato quali fossero i tassi degli interessi corrispettivi praticati in concreto, a fronte di quelli che, secondo la prospettazione del ricorso, avrebbero invece dovuto essere applicati, il primo motivo va dichiarato inammissibile.
2.- Col SECONDO motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art.360 cpc., n.3, dell’art.1284 cc., u.c. e art.1346 cc., per avere il Tribunale di Mantova, in contrasto con la predetta norma che impone il requisito della forma scritta per la determinazione degli interessi ultra legali, ritenuto che gli interessi, anche di mora, competono nella misura percentuale pattuita coevamente alla stipula degli atti notarili.
La ricorrente sostiene che i contratti fatti valere in sede esecutiva conterrebbero delle clausole in violazione dell’art.1284 cc., poichè fisserebbero, per gli interessi di mora, i saggi di interesse vigenti al momento della stipula dei medesimi atti, ma, al contempo, avrebbero consentito variazioni dei tassi medesimi da parte dei competenti organi della sezione di credito agrario della Cariplo; dal momento che la misura di queste variazioni non sarebbe determinata per iscritto nè determinabile per relationem attraverso il richiamo (per iscritto) a criteri prestabiliti e ad elementi, pur estrinseci al documento negoziale, ma obiettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del relativo saggio di interesse, le clausole contrattuali corrispondenti sarebbero, secondo la ricorrente, affette da nullità. Tale nullità non sarebbe stata rilevata dal Tribunale di Mantova nella sentenza non definitiva e, di conseguenza, risulterebbe illegittima e gravemente viziata la sentenza definitiva, nel punto in cui avrebbe fatto propria la determinazione del C.T.U. che, in ordine al quantum debeatur per interessi moratori, si sarebbe attenuto ai criteri erroneamente affermati con la sentenza non definitiva.
2.1.- Col TERZO motivo di ricorso è dedotta contraddittoria e insufficiente motivazione, in relazione all’art.360 cpc., n.5, in ordine ai tassi di interesse da applicare ai rapporti bancari, per avere il Tribunale di Mantova ritenuto che gli interessi competono nella misura percentuale pattuita coevamente alla stipula degli atti notarili, in contrasto con altre affermazioni della sentenza stessa e senza ulteriore specificazione.
In ossequio al disposto dell’art.366 bis cpc., applicabile, come detto, ratione temporis, è specificato che il fatto controverso in relazione al quale la motivazione risulta essere contraddittoria, attiene alle modalità di determinazione del saggio di interesse che banca 2 ha titolo di pretendere dall’opponente.
Secondo la ricorrente il Tribunale di Mantova, pur avendo affermato, con la sentenza non definitiva, che le lettere del 26 aprile 1982 e 16 febbraio 1984 a firma Q.L. recano espressioni generiche e che non consentono la determinazione del tasso di interesse nemmeno per relationem, sarebbe incorso in contraddizione ritenendo la validità delle pattuizioni contenute negli atti notarili che consentirebbero variazioni dei tassi di interesse per iniziativa unilaterale dell’istituto mutuante.
Aggiunge che la motivazione della sentenza non definitiva sarebbe insufficiente nella parte in cui fa rinvio alla “percentuale pattuita coevamente alla stipula degli atti notarili” perchè non consentirebbe di determinare con assoluta certezza il tasso da applicare ai rapporti bancari per cui è causa, tanto è vero che il CTU nominato a seguito della rimessione della causa in istruttoria si sarebbe dovuto richiamare integralmente alle indicazioni fornitegli unilateralmente dalla sezione di credito agrario di Cariplo sulle variazioni dei tassi moratori dall’1/4/1981 al 10/2/1997.
Conseguentemente, sarebbe illegittima e gravemente viziata la sentenza definitiva, nel punto in cui ha fatto propria la determinazione del CTU in ordine al quantum debeatur per interessi, moratori.
3.- Dal momento che i motivi secondo e terzo riguardano le medesime statuizioni della sentenza non definitiva (e le medesime conseguenze tratte con la sentenza definitiva), censurate dalla ricorrente sotto i differenti profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, essi vanno trattati congiuntamente e vanno respinti, perchè infondati. Ritiene il Collegio che sia conforme a diritto ed adeguatamente motivata la sentenza non definitiva del Tribunale di Mantova che, dopo aver negato la validità delle scritture private del 26 aprile 1982 e del 16 febbraio 1984 per le ragioni evidenziate anche in ricorso, ha tratto la seguente testuale conseguenza:
“Sicchè gli interessi competono nella percentuale pattuita coevamente alla stipula degli atti notarili dalla Cariplo azionati come titoli esecutivi od allegati ai suoi ricorsi per intervento nell’esecuzione, ove essa non abbia applicato un tasso inferiore in sede di procedura esecutiva” ed ha corrispondentemente statuito col dispositivo (il cui testo è riportato nella parte relativa allo svolgimento del processo).
3.1.- Il Tribunale di Mantova ha inteso fare riferimento al tasso degli interessi di mora indicato con il numero percentuale negli atti notarili ovvero individuabile nella percentuale vigente al tempo della sottoscrizione dei singoli contratti per le corrispondenti operazioni di credito agrario della sezione agraria dell’istituto stipulante. Decidendo e motivando nel senso anzidetto, il Tribunale ha, sia pure non esplicitamente, escluso la validità delle clausole che facevano salve le variazioni dei tassi di interesse di mora indicati in contratto, rimesse, per il futuro, ai competenti organi della sezione di credito agrario dell’istituto mutuante; il Tribunale, peraltro, ha esplicitamente fatto salve le variazioni, anche unilaterali, ma in senso favorevole alle mutuatarie, quali risultati dalle richieste di pagamento fatte in sede di procedura esecutiva. La decisione è conforme a diritto perchè presuppone che i contratti stipulati per atto pubblico contengano l’indicazione puntuale del tasso degli interessi di mora pattuiti e quindi che le relative clausole di determinazione degli interessi di mora rispettino la previsione dell’art.1284 cod. civ..
Detto presupposto interpretativo non è stato censurato dalla ricorrente: questa, infatti, non ha dedotto che gli atti notarili richiamati dal Tribunale mancassero della previsione scritta dei tassi degli interessi di mora vigenti al momento della stipulazione dei medesimi atti, ed anzi sembra riconoscere l’esistenza di indicazioni siffatte (cfr. pag. 13 de ricorso). D’altronde, se la censura fosse stata riferita alla mancanza nei contratti dell’indicazione dei tassi di mora vigenti alla data della relativa stipulazione, la ricorrente avrebbe dovuto lamentare la violazione di legge e/o il difetto di motivazione relativamente all’interpretazione dei contratti da parte del giudice a quo, perchè questo avrebbe dato per contenuta una previsione contrattuale invece mancante.
Piuttosto, per come è reso evidente dal riferimento alle “variazioni del tasso di interesse” contenuto sia nel quesito di diritto formulato ex art.366 bis cpc con riguardo al secondo motivo, sia nell’illustrazione dello stesso secondo ed, anche, del terzo motivo, la doglianza della ricorrente ha ad oggetto le clausole che rimettevano all’istituto mutuante la determinazione unilaterale della variazione del tasso dei maturandi interessi di mora, che secondo la ricorrente il Tribunale avrebbe lasciato operanti.
L’assunto non trova riscontro nella sentenza non definitiva del Tribunale. Questa ha sancito espressamente ed esclusivamente l’applicabilità dei tassi degli interessi di mora concordati al tempo della sottoscrizione dei contratti e quindi ha escluso la possibilità stessa che tali tassi potessero essere variati (in peius) nel corso del rapporto, per determinazione unilaterale dell’istituto di credito; come detto, ha peraltro fatta salva la variazione in melius, desumibile dalla corrispondente richiesta avanzata in sede di procedura esecutiva.
Risulta quindi rispettato il disposto dell’art.1284 cod. civ..
Infatti, in tema di contratti di mutuo, affinchè una convenzione relativa agli interessi ultra legali sia validamente stipulata ai sensi dell’art.1284 cod. civ., che è norma imperativa, deve avere forma scritta e contenere l’indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo di tempo determinato; tale condizione – che nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. n.154 del 1992, può ritenersi soddisfatta anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purchè obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse (cfr. Cass. n. 12276/10) – si realizza anche quando il tasso d’interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, perchè individuato per relationem mediante rinvio al tasso vigente, alla data di stipulazione del contratto medesimo, per il tipo di operazione di credito agrario che ne è oggetto, effettuata dalla sezione agraria di quel determinato istituto mutuante.
La motivazione che sorregge il dispositivo è adeguatamente riferita ad una percentuale fissa e predeterminata del saggio degli interessi, non modificabile in peius; essa è altresì coerente con quanto affermato a proposito dell’invalidità delle scritture private del 26 aprile 1982 e del 16 febbraio 1984, che il Tribunale ha fatto seguire alla valutazione della genericità della pattuizione sugli interessi.
Pertanto, alla relativa statuizione della sentenza non definitiva si sarebbe dovuto attenere il consulente tecnico d’ufficio per la determinazione di quanto dovuto a titolo di interessi di mora, fatto salvo quanto si dirà a proposito del quarto motivo di ricorso.
3.2.- Infondato è altresì l’assunto della ricorrente secondo cui le disposizioni pattuite in sede contrattuale che prevedono un tasso diverso e maggiore, rispetto a quello agevolato o di riferimento stabilito periodicamente con decreti ministeriali, dovrebbero considerarsi “radicalmente mille” (cfr. pag. 16 del ricorso): i decreti del Ministero del Tesoro che fissavano i tassi di interesse di riferimento ed i decreti che fissavano i tassi di interesse agevolati per i mutui di miglioramento agrario si riferivano, come detto trattando del primo motivo, agli interessi corrispettivi.
Ove, poi, la ricorrente, con l’assunto sopra riportato, esposto illustrando il secondo motivo di ricorso, avesse inteso riferirsi ai decreti ministeriali relativi alla determinazione degli interessi di mora, il riferimento sarebbe inammissibile perchè porrebbe una questione che non risulta essere mai stata proposta nel grado di merito. I motivi secondo e terzo di ricorso vanno perciò rigettati.
4.- Col QUARTO motivo di ricorso si deduce violazione, in relazione all’art.360 cpc., n. 3, dell’art.1283 cc., per avere il Tribunale di Mantova ritenuto che spettano a Cariplo gli interessi composti anche sull’interesse moratorie.
La ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte, per la quale gli “usi contrari” idonei ex art.1283 cod. civ. a derogare il precetto ivi stabilito sono solo gli “usi normativi” in senso tecnico, con la conseguente nullità delle clausole bancarie anatocistiche, la cui stipulazione risponde ad un uso meramente negoziale ed incorre quindi nel divieto di cui al citato art.1283 cc.
In fatto, la ricorrente rileva che l’istituto mutuante, per quanto attiene alle operazioni di mutuo agrario, ha applicato gli interessi di mora sull’intero importo delle rate scadute, comprensivo quindi degli interessi corrispettivi, così procedendo alla capitalizzazione degli interessi e provocando un fenomeno anatocistico vietato dall’art.1283 cod. civ..
Critica quindi la sentenza non definitiva per avere, invece, sancito la legittimità, nel caso di specie, dell’anatocismo e la sentenza definitiva per avere fatto propria la determinazione del quantum debeatur compiuta dal CTU, il quale, a sua volta, avrebbe calcolato gli interessi moratori anche sugli interessi corrispettivi.
4.1.- Il motivo è fondato e va accolto.
Sul punto la sentenza non definitiva ha applicato dichiaratamente la giurisprudenza di questa Corte che, all’epoca, riconosceva operante la deroga all’art.1283 cod. civ. per la vigenza, nei rapporti bancari, di un uso normativo che avrebbe consentito la capitalizzazione degli interessi ai fini del calcolo degli interessi moratori (cfr. Cass. n.2644/89 e n.7571/92, richiamate in sentenza, nonchè il noto precedente di cui a Cass. n.6631/81, cui adde Cass. n.3804/88, n.9227/95, n.3296/97).
Questa giurisprudenza è stata dapprima superata, con riguardo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti a debito del cliente nel contratto di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, con la declaratoria di nullità della relativa previsione contrattuale perchè basata su un mero uso negoziale, e non su una vera e propria norma consuetudinaria, e perchè stipulata anteriormente alla scadenza degli interessi (Cass. n. 2374/99, seguita da numerosi precedenti conformi, che hanno trovato riscontro positivo in Cass. S.U. n. 21095/04 e nella giurisprudenza successiva, per cui, da ultimo, Cass. n. 6518/11) .
Quanto al mutuo bancario, già la giurisprudenza di legittimità meno recente aveva affermato che la pattuizione, intervenuta preventivamente, all’atto della stipula del mutuo, con cui si prevede la corresponsione di interessi di mora sulle rate scadute e non pagate comprensive di interessi, costituisce violazione del divieto dell’anatocismo (Cass. n. 3479/71, n. 1724/77). Siffatto indirizzo interpretativo venne smentito, anche con riguardo al mutuo bancario, dal citato precedente di cui a Cass. n. 6631/81, cui seguì Cass. n. 9227/95, sempre in tema di contratto di mutuo bancario.
La revisione critica del revirement del 1981 si è avuta, per i contratti di mutuo, con la sentenza di questa Corte n.2593/03, alla cui motivazione si fa integrale rinvio, anche quanto alle ragioni dell’affermazione della natura normativa dell’uso richiamato dall’art.1283 cod. civ. (riconosciuta peraltro anche dalla citata sentenza n.2374/99), nonchè della necessità che si tratti di uso formatosi in epoca precedente l’entrata in vigore del codice civile.
In conclusione, va ribadito il principio di diritto per il quale in tema di mutuo bancario, e con riferimento al calcolo degli interessi, devono ritenersi senz’altro applicabili le limitazioni previste dall’art.1283 cod. civ., non rilevando, in senso opposto, l’esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta. Gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento il citato art.1283 cod. civ., sono, difatti, soltanto quelli formatisi anteriormente all’entrata in vigore del codice civile (nè usi contrari avrebbero potuto formarsi in epoca successiva, atteso il carattere imperativo della norma de qua – impeditivo, per l’effetto, del riconoscimento di pattuizioni e comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente -, norma che si poneva come del tutto ostativa alla realizzazione delle condizioni di fatto idonee a produrre la nascita di un uso avente le caratteristiche dell’uso normativo), e, nello specifico campo del mutuo bancario ordinario, non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dall’art.1283 cod. civ.. Ne consegue la illegittimità tanto delle pattuizioni, tanto dei comportamenti – ancorchè non tradotti in patti – che si risolvano in una accettazione reciproca, ovvero in una unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale”.
Sebbene riferito al mutuo bancario ordinario, il principio va applicato anche ad altre tipologie di mutuo, a meno che non si riscontri una deroga legislativa all’art.1283 cod. civ., come era per il mutuo fondiario, ai sensi del R.D.L. n. 646 del 1905, art.38, nonchè del D.P.R. n.7 del 1976, art. 14 e della L. n.175 del 1991, art.16 (cfr. Cass. n. 6153/90, n. 2140/06, n. 9695/11).
In particolare, ritiene il Collegio che il principio vada applicato all’operazione di credito agrario di miglioramento mediante mutuo (o prestito) stipulato ai sensi della L. 5 luglio 1928, n.1760, art.3.
I contratti di mutuo (o prestito) agrario di miglioramento azionati nella procedura esecutiva oggetto della presente opposizione risultano essere stati stipulati ai sensi di tale ultima legge, che non contiene una previsione analoga a quelle sopra richiamate per i mutui fondiari.
I mutui di che trattasi sono mutui cd. ad ammortamento, con rate composte dalla quota di capitale e dalla quota di interessi; questi ultimi non vengono capitalizzati fin dall’inizio per il solo fatto di essere computati a scalare nelle singole rate di ammortamento, ma mantengono la loro natura di interessi corrispettivi (cfr. Cass. n. 3479/71 e n. 2593/03 cit.); ne segue che, applicando gli interessi di mora all’intero importo della rata di ammortamento, si determina un fenomeno anatocistico relativamente alla parte della rata corrispondente all’ammontare degli interessi, vietato dall’art.1283 cod. civ., in mancanza di usi contrari, quando manchi la domanda giudiziale o una convenzione posteriore alla scadenza.
Resta allora da verificare, in primo luogo, se, con specifico riguardo al mutuo agrario di miglioramento, così come disciplinato dalle norme sopra richiamate, sia dato rinvenire, in epoca precedente il 1942, un uso normativo che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dall’art.1283 cod. civ..
Parte resistente sostiene nel controricorso l’esistenza di un uso siffatto, ma non indica alcuna raccolta degli usi delle diverse camere di commercio da cui possa desumersi che, in epoca precedente il 1942, fosse considerato lecito l’anatocismo nei contratti di mutuo agrario. Anzi, afferma che, in forza di tale uso, la generalità dei mutuatari in ritardo nel pagamento delle semestralità o annualità “pagava gli interessi sull’intera semestralità-annualità e non il solo sulla quota capitale di essa e gli istituti bancari esercenti il credito agrario realizzavano nel modo indicato il loro credito”: è di tutta evidenza che, anche ove esistente, si sarebbe trattato di una prassi, o, al più, di un uso contrattuale, non idonei a derogare al disposto dell’art.1283 cod. civ. (cfr. Cass. S.U. n.21095/04, per l’affermazione della nullità delle clausole anatocistiche “in quanto stipulate in violazione dell’art.1283 cod. civ., perchè basate su un uso negoziale, anzichè su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (“opinio juris ac necessitatis”)” e per l’esclusione che “detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perchè non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poichè, diversamente, si determinerebbe la consolidazione “medio tempore” di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata)”).
Nella memoria depositata ai sensi dell’art.378 cod. proc. civ., parte resistente sostiene che vi sarebbe stata accettazione da parte dell’opponente dei conteggi effettuati dal CTU, sicchè, per un verso, la ricorrente non potrebbe più sollevare questione alcuna relativamente ai conteggi accettati; per altro verso, tale accettazione avrebbe dato luogo alla convenzione posteriore alla scadenza degli interessi che consentirebbe l’anatocismo ai sensi dell’art.1283 cod. civ..
Si tratta di questioni nuove, comportanti apprezzamenti di fatto, che non risultano essere state oggetto di contraddittorio nel pregresso grado di merito, non essendovi cenno alcuno non solo nella sentenza definitiva, ma addirittura nemmeno nel controricorso: esse pertanto, a prescindere dalla fondatezza in fatto e/o in diritto, sono inammissibili, perchè trattate per la prima volta in sede di legittimità, per di più con la memoria ex art.378 cod. proc. civ..
In conclusione, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, la sentenza non definitiva va cassata quanto all’affermazione della spettanza degli interessi di mora sulla quota di interessi delle rate di mutuo (o prestito) agrario scadute, e non pagate, in epoca precedente alla data di notificazione del precetto o di intervento nel processo esecutivo, nonchè sulla quota di interessi delle rate a scadere.
Nel giudizio di rinvio dovrà essere fatta applicazione del seguente principio di diritto: “in tema di mutuo agrario di miglioramento disciplinato dalla L. 5 luglio 1928, n. 1760, e con riferimento al calcolo degli interessi di mora, devono ritenersi applicabili le limitazioni previste dall’art.1283 cod. civ., non rilevando, in senso opposto, l’esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta e non essendo l’anatocismo previsto dalla legislazione di settore, in deroga all’art.1283 cod. civ”.; poichè con riguardo al mutuo agrario di miglioramento non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dall’art.1283 cod. civ., sono illegittime tanto le pattuizioni, quanto i comportamenti – ancorchè non tradotti in patti – che si risolvano in una accettazione reciproca, ovvero in una unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale. Conseguentemente, il credito dell’istituto mutuante, per capitale ed interessi di mora, per i mutui (o prestiti) agrari dovrà essere rideterminato applicando gli interessi di mora nella misura stabilita per contratto, od in altra richiesta in sede esecutiva, ove inferiore, sulla sorte capitale delle rate scadute, e non pagate, alla data di notificazione del precetto o di intervento nel processo esecutivo, con decorrenza dalle rispettive scadenze, nonchè sul debito capitale residuo a detta data, con decorrenza da quest’ultima.
5.- Col QUINTO motivo di ricorso si deduce omessa e/o insufficiente motivazione, in relazione all’art.360 c.p.c., n. 5, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il Tribunale di Mantova rigettato l’eccezione di intervenuta transazione delle posizioni debitorie riferibili ai crediti ordinari, ritenendo risolto l’accordo transattivo per mancato avveramento delle condizioni alle quali era subordinato o, comunque, per scadenza del termine finale ad adempiere; nonchè violazione, in relazione all’art.360 c.p.c., n. 3, dell’art.1362 e ss. cod. civ. per non avere il Tribunale di Mantova applicato correttamente le regole di interpretazione del contratto; art.1976 cod. civ., per avere il Tribunale di Mantova ritenuto risolto un accordo transattivo novativo; e dell’art.1183 cod. civ., per avere il Tribunale di Mantova ritenuto risolto l’accordo transattivo per cui è causa per scadenza del termine finale ad adempiere.
Sotto un primo profilo, la ricorrente assume che sarebbe stata omessa la motivazione sull’eccezione di novazione dei rapporti preesistenti a seguito di transazione e che, quanto alla violazione dell’art.1976 cod. civ., non si sarebbe tenuto conto del fatto che, trattandosi di transazione novativa, non sarebbe stata ammissibile la risoluzione per inadempimento.
Sotto un secondo profilo, la ricorrente assume che sarebbe stata omessa la motivazione sul comportamento tenuto da entrambe le parti nel dare esecuzione agli accordi transattivi e che la motivazione sarebbe insufficiente in ordine al mancato versamento della somma in unica soluzione, come invece pattuito, ed in ordine all’accettazione da parte di BANCA 2 di tutti e tre i distinti versamenti senza obiezione alcuna; quanto alla configurabilità della condizione ritenuta dal Tribunale, questo non avrebbe considerato che le parti possono rinunciare a far valere il limite temporale fissato per il suo verificarsi, anche per comportamenti concludenti.
Sotto un terzo profilo, la ricorrente assume che sarebbe insufficiente la motivazione in ordine alle valutazioni compiute dal giudice di primo grado al fine di ritenere risolto l’accordo transattivo per mancato avveramento delle condizioni (versamento in unica soluzione e tempestivo) o, comunque, per scadenza del termine finale ad adempiere. Inoltre, nel compiere tale valutazione, il Tribunale avrebbe violato anche l’art. 1362 cod. civ. perchè si sarebbe limitato all’interpretazione letterale della comunicazione della banca del 10 marzo 1987, senza indagare la comune intenzione delle parti, anche secondo le regole della correttezza e della buona fede, attraverso la valutazione del loro comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del contratto. Ancora, sarebbe insufficiente la motivazione circa la presunzione di avvenuta erogazione del mutuo da parte della BANCA 3, mai provata, in sè, nè per il tramite di fatti noti, che avrebbero potuto, con ragionevole probabilità, far ritenere effettuata – come ha ritenuto il Tribunale – l’erogazione del mutuo; anzi, sarebbe stato provato documentalmente che il mutuo non venne mai erogato.
Sotto un ulteriore profilo la motivazione sarebbe insufficiente relativamente alla questione della necessità o meno della fissazione di un termine per adempiere. La relativa decisione avrebbe inoltre violato la norma dell’art. 1183 cod. civ., perchè la scadenza del termine non sarebbe stata desumibile dal contratto e quindi la banca non avrebbe potuto invocare immediatamente l’applicazione di detta norma, ma avrebbe dovuto far ricorso al giudice per la fissazione del termine.
5.1.- Il motivo non è meritevole di accoglimento. – Il Tribunale di Mantova, con la sentenza non definitiva, ha qualificato la transazione come soggetta alla condizione del pagamento tempestivo della somma di L. 350.000.000 in unica soluzione ed ha constatato che questa condizione non si è avverata, sia perchè il pagamento venne invece fatto in più riprese “sia perchè l’ultima e più consistente rimessa (quella di L. 200.000.000) è seguita il 9.10.89 a distanza di ben due anni e sette mesi dalla suddetta accettazione…”, laddove invece avrebbe dovuto essere fatta “in tempi ragionevolmente brevi”, commisurati a quelli necessari per perfezionare il finanziamento di L. due miliardi richiesto al BANCA 3.
Il Tribunale ha aggiunto che, qualificata detta menzione come termine, “l’indicazione della sua durata poteva essere elastica e disancorata da riferimenti al calendario senza renderne indispensabile la successiva fissazione da parte del giudice, necessaria solo se la scadenza non è desumibile dal contratto” .
5.2.- Dal momento che il Tribunale ha qualificato l’accordo stipulato tra le parti come transazione sottoposta a condizione ed ha ritenuto non avverata la condizione, ha concluso nel senso dell’inefficacia del contratto per il mancato avveramento della condizione, per come espressamente risulta dalla prima parte della motivazione resa sul punto dalla sentenza; non vi è in questa parte alcun riferimento alla risoluzione per inadempimento della transazione.
L’interpretazione del contratto come sottoposto a condizione non è stata, in sè, contestata dalla ricorrente e, dovendo perciò essere mantenuta ferma, comporta che non siano pertinenti le censure che si basano sulla qualificazione della transazione come novativa e che ne presuppongano la risoluzione per inadempimento.
5.3.- L’interpretazione del contratto risulta fondata sul tenore letterale della missiva dell’istituto di credito dei 10 marzo 1987, collegata alla precedente proposta inoltrata (anche) per conto delle mutuatarie: il Tribunale ha ritenuto idoneo all’individuazione della comune intenzione delle parti il contenuto letterale di proposta e accettazione. Questa scelta del criterio di ermeneutica contrattuale non è sindacabile in cassazione perchè rispetta il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari quando il significato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti sia insufficiente all’identificazione della comune intenzione ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale (cfr. Cass. n. 9910/04, n. 12721/07, n. 9786/10). Quanto all’assunto della ricorrente, secondo cui l’istituto di credito avrebbe accettato senza riserve tutti e tre i pagamenti, così rinunciando a far valere la condizione ovvero la scadenza del termine entro il quale sarebbe stato rilevante il suo mancato avveramento, il rilievo è inammissibile poichè la ricorrente non indica quale sarebbe stato l’elemento probatorio trascurato dal Tribunale, in ragione del quale questo sarebbe dovuto pervenire a configurare la rinuncia di cui è detto in ricorso.
Piuttosto, è evidente che il Tribunale ha considerato che l’istituto di credito accettò tutti e tre i pagamenti, ma è altrettanto palese dal tenore della motivazione che abbia apprezzato questo fatto come inidoneo a configurare, di per sè e/o per le circostanza in cui si verificò, detta asserita rinuncia. Un nuovo apprezzamento dei medesimi fatti esula dal giudizio di legittimità.
5.4.- Quanto alla presunta erogazione del mutuo da parte del Mediocredito Lombardo, si tratta di fatto non decisivo ai fini della decisione, poichè questa ha individuato soltanto due eventi come condizionanti l’accordo (pagamento in unica soluzione ed in tempi ragionevolmente brevi, non anche l’erogazione del finanziamento).
Pertanto, essendo indifferente, rispetto a tale ratio decidendi, l’accertamento su questa erogazione, l’eventuale vizio di motivazione sul punto non è sussumibile nel disposto dell’art. 360 c.p.c., n.5.
5.5.- Quanto all’individuazione di un accordo sul termine ai sensi dell’art. 1183 c.c., si tratta di accertamento rimesso all’interpretazione dei patti contrattuali da parte del giudice di merito, non censurabile in cassazione se congruamente motivato (cfr. Cass. n. 962/72). Nel caso di specie, il giudice a quo ha ritenuto che il termine fosse sufficientemente definito tra le parti, pur se elastico e non riferito al calendario: la motivazione sul punto è logicamente corretta. Avendo il Tribunale concluso nel senso che il termine fosse desumibile dal contratto, la sentenza è anche conforme al disposto dell’art. 1183 c.c., comma 1, secondo inciso, che richiede l’intervento del giudice solo nel caso in cui nessun riferimento temporale sia contenuto nell’accordo.
Il quinto motivo di ricorso va perciò rigettato.
6.- In conclusione, rigettati i motivi primo, secondo, terzo e quinto, va accolto il quarto motivo di ricorso; la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva vanno cassate in relazione a tale accoglimento e la causa va rinviata al Tribunale di Mantova, in persona di diverso magistrato, per la determinazione del credito vantato dalla BANCA 2 nei confronti di O.M. e Q. L. per mutui e prestiti agrari, da effettuarsi osservando i principi di diritto ed i criteri di calcolo di cui sopra. Si rimette al giudice di rinvio la pronuncia sulle spese del presente giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta i motivi primo, secondo, terzo e quinto, accoglie il quarto motivo del ricorso; cassa in relazione sia la sentenza non definitiva che la sentenza definitiva; rinvia al Tribunale di Mantova in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2012.
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Numero Protocolo Interno : 428/2013