ISSN 2385-1376
Testo massima
“Il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, accerti l’inesistenza dei singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453, secondo comma, cod.civ., di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 cod civ.”
E’ questo il principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n.16637 pronunziata in data 03/07/2013.
La sentenza trae origine da una controversia relativa ad un contratto preliminare di vendita di un immobile instaurata da un promissario acquirente il quale aveva citato in giudizio il promissario alienante deducendo che questi aveva falsamente dichiarato che l’immobile oggetto del contratto fosse stato costruito in conformità alla concessione edilizia e che pertanto gli spettava una riduzione del prezzo di vendita a fronte dei costi da lui sostenuti per la demolizione delle opere eseguite illegittimamente.
Dal canto suo, il promissario venditore eccepiva che l’acquirente fosse a conoscenza di tale difformità chiedendo pertanto in via riconvenzionale il pagamento delle rate scadute e degli interessi maturati. Il Tribunale, a seguito di accordo transattivo intervenuto tra le parti e disatteso dal promissario acquirente, su domanda del promissario alienante dichiarava risolto l’accordo transattivo e il contratto preliminare per grave inadempimento dell’acquirente, condannandolo al rilascio dell’immobile.
Il promissario acquirente impugnava pertanto la sentenza del giudice di prime cure che in appello veniva parzialmente riformata con dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare per volontà delle parti.
Avverso tale pronunzia della Corte di Appello ricorreva il promissario alienante con ricorso per cassazione, con il quale censurava che la sentenza impugnata avesse pronunziato la risoluzione per comune volontà delle parti pur in mancanza di una specifica richiesta in tal senso delle parti, avendo le stesse richiesto la risoluzione ciascuna parte per colpa dell’altra.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha rilevato che una volta accertata l’esistenza di reciproci inadempimenti delle parti, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare quale dei due inadempimenti si presentava come prevalente, e ciò in applicazione del principio secondo il quale, nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.
Difatti, il giudice non può isolare singole condotte di una delle parti per stabilire se costituiscano motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma deve invece procedere alla valutazione sinergica del comportamento di questi ultimi, attraverso un’indagine globale dell’intero loro agire.
Alla luce di tali considerazioni, gli ermellini hanno accolto il ricorso del promissario alienante cassando pertanto la sentenza impugnata che era incorsa nel vizio di extrapetizione.
Testo del provvedimento
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE , SENTENZA 3 luglio 2013 16637 Pres. Oddo est. Giusti , n.16637 – Pres. Oddo est. Giusti
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3 gennaio 1994 C.A. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo F.F. , esponendo: (a) che con scrittura privata del 28 novembre 1991 il F. gli aveva promesso in vendita la proprietà di una casa sita in (omissis) , con circostante terreno, per il prezzo di L. 1.6000.000.000, di cui egli aveva versato, contestualmente a titolo di caparra confirmatoria, L. 60.000.000, e, successivamente, a più riprese, L. 670.000.000, di cui L. 590.000.000 direttamente al promittente venditore e L. 80.000.000 al Banco di Sicilia in pagamento di una rata di mutuo; (b) che in sede di stipula del contratto preliminare il F. aveva dichiarato che l’immobile era stato realizzato in conformità alla concessione edilizia e che nessuna modifica era stata apportata; (c) che, poiché il giorno fissato per la stipula non gli era stata consegnata la documentazione urbanistica, egli aveva effettuato una verifica presso i competenti uffici, accertando che all’immobile erano state apportate rilevanti modifiche rispetto al progetto approvato, tra le quali anche il mutamento della destinazione d’uso del piano cantinato.
Tanto premesso, l’attore chiese darsi atto della propria disponibilità al pagamento del prezzo depurato delle spese per la demolizione delle opere illegittimamente eseguite, determinarsi il valore residuo dell’immobile ed emettersi, quindi, sentenza che facesse luogo dell’atto pubblico.
Il convenuto si costituì, resistendo. Rilevò che il C. si era reso inadempiente quanto al pagamento del prezzo alle scadenze stabilite e che l’unico intervento edile eseguito, di cui l’attore peraltro era a conoscenza, era stato lo spostamento della cucina dal piano rialzato al piano seminterrato. Pertanto, ribadendo di essersi sempre dichiarato disponibile a riportare il fabbricato nello stato descritto nel preliminare, chiese dichiararsi che l’attore non aveva diritto alla riduzione del prezzo e, in via riconvenzionale, domandò la condanna dell’attore al pagamento delle maggiori somme dovute a titolo di interessi e rivalutazione monetaria per il ritardo nella stipula dell’atto pubblico.
Nel corso della causa le parti, con scrittura privata del 12 gennaio 1995, stipularono un accordo transattivo; tuttavia il convenuto, all’udienza del 9 gennaio 1996, deducendo che l’attore si era reso inadempiente anche alle obbligazioni assunte con la transazione, modificò la propria domanda e chiese dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare e della transazione per colpa del C. , con condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno ed autorizzazione in favore del convenuto di trattenere le somme già ricevute.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza non definitiva del 10 ottobre 1997, dichiarò risolto il contratto di transazione ed, altresì, per grave inadempimento del promissario acquirente, il preliminare, condannò il C. a rilasciare l’immobile e rigettò la di lui domanda, rimettendo, con separata ordinanza, la causa in istruttoria in ordine alla domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.
Il primo giudice osservò che con la transazione il F. si era obbligato a perfezionare la pratica di sanatoria e il C. a dare corso al pagamento del residuo prezzo: tuttavia, mentre il primo aveva adempiuto la propria obbligazione, il secondo si era reso inadempiente.
2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 15 novembre 2006, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza non definitiva impugnata dal C. , ha dichiarato risolto per volontà delle parti il contratto preliminare e ha condannato il F. a restituire al C. le somme tutte versate, sia direttamente al promittente, sia agli istituti bancari, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
La Corte territoriale, esclusa la sussistenza di ostacoli impeditivi all’accoglibilità dell’istanza di sanatoria, ha tuttavia rilevato che, alla data originariamente stabilita, non era stato possibile procedere alla stipula dell’atto pubblico per fatto del F. , e che, alla data della pronuncia del Tribunale, non avrebbe potuto aversi la stipula del definitivo, giacché il promittente venditore non aveva provveduto a richiedere il parere dell’ente preposto alla tutela del vincolo idrogeologico.
Secondo la Corte d’appello, il rifiuto del C. di adempiere a sua volta alle proprie obbligazioni, seppure inizialmente non del tutto giustificato perché fondato sull’asserita sussistenza di violazioni urbanistiche più ampie di quelle poi effettivamente emerse, successivamente ha assunto carattere di legittimità a fronte anche dei ritardi del F. nella definizione della pratica di sanatoria.
La Corte di merito ha peraltro rilevato l’impossibilità di procedere alla stipula dell’atto pubblico perché nel frattempo il F. , con atto pubblico per notar Lupo del 20 luglio 1999, aveva venduto l’immobile a terzi.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il F. ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 giugno 2007, sulla base di sei motivi.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
1.Assume carattere preliminare in ordine logico l’esame del secondo motivo, con cui, deducendosi violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., si censura che la sentenza impugnata abbia pronunciato la risoluzione per comune volontà delle parti, pur in mancanza di una specifica richiesta in tal senso delle parti, avendo sia il F. sia il C. chiesto la risoluzione per colpa dell’altra parte.
1.1. – La censura è fondata.
Il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, accerti l’inesistenza dei singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453, secondo comma, cod. civ., di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 cod. civ. (Cass., Sez. II, 4 aprile 2000, n. 4089; Cass., Sez. II, 24 novembre 2000, n. 15167; Cass., Sez. III, 18 maggio 2005, n. 10389).
Questo principio, che la Corte territoriale ha richiamato a fondamento della decisione, presuppone, tuttavia, che non sussistano i reciproci inadempimenti, ed è pertanto inapplicabile nella specie, perché la stessa Corte ha accertato l’inadempimento sia del promittente venditore che del promissario acquirente: del primo, per avere ritardato la definizione della pratica di sanatoria a fronte di irregolarità urbanistiche nell’immobile oggetto della promessa di vendita (sia pure meno gravi di quelle denunciate dal promissario) e per non avere reso possibile il superamento dell’ostacolo giuridico alla trasferibilità alla data originariamente stabilita per il rogito e a quella della pronuncia di primo grado; del secondo, per non avere, anche dopo la transazione, versato alla controparte, alla scadenze pattuite, gli acconti sul prezzo.
Ora, una volta accertata l’esistenza dei reciproci inadempimenti, e preso atto dell’impossibilità di accogliere la domanda principale del C. ex art. 2932 cod. civ. per essere stato l’immobile nelle more trasferito dal promittente a terzi, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare quale dei due inadempimenti si presentava come prevalente: e ciò in applicazione del principio secondo cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (Cass., Sez. III, 9 giugno 2010, n. 13840). Difatti, il giudice non può isolare singole condotte di una delle parti per stabilire se costituiscano motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma deve, invece, procedere alla valutazione sinergica del comportamento di questi ultimi, attraverso un’indagine globale ed unitaria dell’intero loro agire, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perché l’unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuno non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta di ciascun contraente ma esige un apprezzamento complessivo (Cass., Sez. I, 9 gennaio 2013, n. 336).
2. – L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento degli altri mezzi: del primo (violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ. e 1458 e 2033 cod. civ.), con cui si denuncia il vizio di extrapetizione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, per non avere il C. mai proposto nel corso dei due gradi del giudizio, neanche in via subordinata, una domanda di restituzione delle somme versate al F. a titolo di acconto in conseguenza della chiesta risoluzione; del terzo, con cui si lamenta omessa o errata motivazione su un punto decisivo della controversia; del quarto (violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1453 e 1460 cod. civ.), che pone il quesito se il mancato pagamento delle somme alle scadenze previste nel contratto di transazione da parte del promittente acquirente giustificava il comportamento del promittente venditore di mancata integrazione della documentazione riguardante la pratica di sanatoria; del quinto (violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1477, 1453 e 1460 cod. civ., nonché erronea motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.), con cui si sostiene che il mancato pagamento degli acconti da parte del promissario acquirente alle scadenze pattuite nel preliminare avrebbe giustificato l’inadempienza del venditore di presentare l’istanza di sanatoria; e del sesto, il quale, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione degli artt. 1337, 1477, 1453 e 1489 cod. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.”, relativo alla conoscenza, da parte del promissario acquirente, della presenza di abusi edilizi nell’immobile promesso in vendita.
4. – La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.
La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alla cen-sura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.
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Numero Protocolo Interno : 574/2013