ISSN 2385-1376
Testo massima
La stipulazione di un contratto di impresa, tra cui il contratto di sale and lease back, può dirsi contraria al divieto del patto commissorio e dunque fraudolenta quando si accerti l’esistenza di alcuni elementi quali:
– una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice ed utilizzatrice;
– le difficoltà economiche di quest’ultima;
– la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente.
L’onere di provare gli elementi essenziali della domanda, che devono avere i connotati della univocità ed obiettività, spetta univocamente al venditore/debitore
Così il Tribunale di Taranto, in persona del dott. Gianfranco Coccioli, con sentenza del 16/11/2013 si è pronunziato in materia di nullità dei contratti per contrarietà all’art.2744 cc (divieto dei patti commissori) e di azione revocatoria ex art.2901 cc.
La sentenza trae origine dall’azione esperita dal Fallimento di una società in danno di una società finanziaria, diretta ad ottenere, tanto la declaratoria di nullità ex art.2744 cc del contratto di sale and lease back stipulato dalla società fallita in bonis con la società convenuta, quanto la declaratoria di inefficacia della compravendita con la quale la società fallita aveva trasferito alla convenuta la proprietà dei suoi immobili.
Ebbene, il Tribunale di Taranto, da un lato ha rigettato la domanda diretta a dichiarare la nullità del contratto ex art.2744 cc, mentre ha accolto la domanda revocatoria.
Alla base di tale decisione vi è stato un accurato ed approfondito iter argomentativo.
In merito al contratto di sale and lease back, in virtù del quale un’impresa vende un bene strumentale ad una società finanziaria la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo molto inferiore al suo valore, il Giudice ha richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui tale contratto configura un contratto di impresa socialmente tipico che, come tale, è astrattamente valido, ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita è stata posta in essere in funzione di garanzia ed è pertanto volta ad aggirare il divieto del patto commissorio.
A tal fine l’operazione contrattuale può dirsi fraudolenta qualora venga accertata la sussistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice ed utilizzatrice, delle difficoltà economiche di quest’ultima e della sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente
L’adito Giudicante ha viepiù precisato che, stante la regola generale dell’autonomia contrattuale ex art.1322 cc, in forza della quale le parti possono liberamente determinare il contenuto dei loro atti negoziali, devono considerarsi tassativi i limiti che l’ordinamento pone a tale principio, con la conseguenza che se si ipotizza che un dato contratto sia stato impiegato per assicurare al creditore una garanzia reale atipica per il caso di inadempimento del debitore con approfittamento del suo stato di bisogno, è necessario che tale circostanza venga provata da parte del venditore/debitore, altrimenti, in assenza di tale prova, l’operazione negoziale si ritiene frutto dell’autonomia negoziale e, dunque, valida.
In tal senso, l’onere di provare gli elementi essenziali della domanda, diretta ad ottenere la pronuncia di nullità per la supposta finalità illecita di garanzia dell’operazione negoziale spetta, nel caso di specie, al fallimento il quale non lo ha assolto ragione che ha indotto il Giudice a rigettare la domanda di nullità.
Quanto, invece, alla richiesta attorea di declaratoria di inefficacia del contratto di compravendita intervenuto tra le parti, il Tribunale ha accolto la domanda ritenendo sussistenti i requisiti indispensabili ai fini dell’esperimento vittorioso dell’azione revocatoria, ed in particolare:
– l’eventus damni risultando gravemente lesivo delle garanzie patrimoniali l’atto dispositivo che elimina dal patrimonio del debitore un cespite immobiliare atteso che tale atto mette in serio pericolo la concreta possibilità di esazione del credito;
– la scientia damni ravvisabile ogni qualvolta le circostanze oggettive e ogni altro fattore concomitante all’atto permettono di ipotizzare nell’acquirente la piena coscienza dei suoi effetti pregiudizievoli per le ragioni dei creditori dell’alienante;
– quanto al requisito soggettivo è sufficiente la consapevolezza anche del terzo acquirente che, mediante l’atto di disposizione, il debitore diminuisca il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori, sì da recare pregiudizio alle loro ragioni.
Sulla scorta di tali argomentazioni e dei documentazione versata in atti il Tribunale ha concluso per l’accoglimento dell’azione revocatoria da cui ne consegue la declaratoria di inefficacia che consente al debitore di aggredire con esecuzione individuale la cosa che ne costituisce oggetto.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, nella persona del Giudice unico , dr. Gianfranco COCCIOLI , Presidente della seconda sezione civile , ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 3775 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2012 avente ad oggetto: nullità ex art. 2744 ; revocatoria ex art. 2901 cc ; restituzione canoni;
tra
Fallimento alfa srl
attore
e
beta leasing e factoring
convenuta
CONCLUSIONI
Le parti si sono riportate ai rispettivi scritti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La presente sentenza viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con una motivazione consistente nella succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto dagli artt. 132 n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nel testo introdotto rispettivamente dagli artt. 45 e 52 della legge n. 69 del 18 giugno 2009, trattandosi di disposizioni applicabili anche ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della legge (cioè il 4 luglio 2009) ai sensi dell’art. 58, 2° comma, della legge citata.
E’ chiesta la declaratoria di nullità dell’ operazione negoziale conclusa dalla pantera srl in bonis con la convenuta avente per oggetto contratto di sale and lease back per contrarietà con l’art. 2744 cc .
E’ chiesta , in subordine , la declaratoria di inefficacia della compravendita con la quale la alfa aveva trasferito alla convenuta la proprietà dei suoi immobili . In ogni caso , è chiesta la restituzione dei canoni .
Parte convenuta contesta la ricorrenza dei presupposti delle domande proposte e ne chiede il rigetto .
Vanno rigettate le domande di nullità e di restituzione ; va accolta, invece, quella ex art. 2901 cc .
Secondo la costante giurisprudenza della cassazione , richiamata in particolare dalla difesa dell’attore , il contratto di sale and lease back , la cui stipulazione comporta che un’impresa vende un bene strumentale ad una società finanziaria , la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore , configura un contratto d’impresa socialmente tipico che , come tale , è , in linea di massima , astrattamente valido , ferma la necessità di verificare , caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita è stata posta in essere in funzione di garanzia ed è volta , pertanto , ad aggirare il divieto del patto commissorio .
A tal fine l’operazione contrattuale può definirsi fraudolenta nel caso in cui si accerti, con un’indagine di fatto sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della correttezza della motivazione , la compresenza delle seguenti circostanze :
a) l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice ed utilizzatrice ,
b) le difficoltà economiche di quest’ultima ;
c) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente ( cass. 14 marzo 2006 n.5438) .
Si è anche specificato che il contratto in questione si configura come un’operazione negoziale complessa , consistente nell’alienazione , da parte di un imprenditore, di un bene strumentale , la cui disponibilità viene tuttavia mantenuta in forza di un connesso rapporto di leasing , che non può ritenersi necessariamente preordinata alla finalità di finanziamento con fraudolenta elusione del divieto di patto commissorio posto dall’art. 2744 cc , salvo che lo scopo di garanzia non assurga in concreto a causa del contratto, come nel caso in cui da elementi sintomatici ed obiettivi si possa ritenere che la vendita , nel quadro del rapporto volto a fornire liquidità all’impresa alienante , sia stata utilizzata per rafforzare la posizione del creditore finanziatore con abuso della debolezza del debitore (cass. 29 marzo 2006 , n.7296 ) .
Deve al riguardo anche precisarsi che , stante la regola generale dell’autonomia contrattuale, desumibile dall’art. 1322 cc , in forza della quale le parti possono liberamente determinare il contenuto dei loro atti negoziali , vanno considerati tassativi e quindi di stretta e rigorosa applicazione i limiti che l’ordinamento pone a tale principio , con la conseguenza che se si ipotizza che il contratto in questione sia stato impiegato ( non per conseguire la sua funzione economico-sociale , ma) per assicurare al creditore una garanzia reale atipica per il caso di inadempimento del debitore con approfittamento del suo stato di bisogno , occorre che ne venga data dimostrazione concreta ed univoca da parte del venditore/debitore .
In difetto di tale prova , che deve avere i connotati della univocità ed obiettività, l’operazione negoziale va ritenuta frutto dell’autonomia negoziale e rispondente alla finalità sua propria di permettere al venditore di conseguire una certa liquidità , senza precludersi il recupero della proprietà del bene ceduto .
Va inoltre rilevato che , proprio perché il contratto in questione realizza interessi meritevoli di tutela , in quanto punta a garantire al proprietario del bene strumentale di valersene per conseguire la liquidità necessaria all’esercizio della sua impresa, evitando il ricorso al credito bancario, solitamente più incerto ed oneroso, con la possibilità di riacquistare il bene magari grazie all’incremento dell’attività imprenditoriale derivante dall’impiego della liquidità così ottenuta , la relativa operazione negoziale , ancorché non riconducibile ad una figura tipica , è valida , ai sensi dell’art. 1322 , secondo comma cc .
Da queste considerazioni scaturisce che l’onere di provare gli elementi essenziali della domanda , volta ad ottenere la pronuncia di nullità per la supposta finalità illecita di garanzia dell’operazione negoziale , spetta al fallimento che l’ha proposta , secondo lo schema dell’art. 2697 cc .
Tale dimostrazione , inoltre, deve coinvolgere tutti gli elementi sintomatici che la cassazione ritiene debbano sussistere ai fini dell’esito vittorioso dell’azione di nullità.
Ora , nel caso di specie , non può dirsi che tale onere sia stato completamente assolto, dal momento che a) per ciò che riguarda l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice ed utilizzatrice , parte attrice ha prodotto i contratti di leasing ( vincolanti per la convenuta che non ha disconosciuto di averli sottoscritti ) , dai quali si desume che la società in bonis era esposta con la società convenuta , nel senso che si trattava di sette contratti risalenti al 2005 ed al 2006 , dai quali derivava l’obbligo della alfa di versare in linea generale 47 canoni per un importo complessivo di circa 80.000,00 euro : né al riguardo vale l’osservazione della società convenuta in ordine al fatto che i canoni non erano ancora maturati , atteso che comunque dal contratto scaturiva l’assunzione del debito e dunque vi era , al momento dell’operazione negoziale oggetto della domanda di nullità , una situazione di debito da parte della società in bonis nei confronti di parte convenuta , che , quindi , era interessata a conseguire una forma di garanzia in grado da proteggerla dal rischio di insolvenza . D’altro canto , non emerge contestazione specifica alla circostanza , dedotta dall’attore nell’atto introduttivo, relativa alla stipulazione della compravendita il giorno successivo a quello della locazione finanziaria immobiliare.
Sicché può ricavarsene , con ragionevole certezza che , quando la compravendita fu conclusa , la società in bonis aveva una posizione debitoria nei confronti della società convenuta di un certo peso .
b) quanto alle difficoltà economiche , va rilevato che , ai fini di stabilire la sussistenza di tale requisito, deve aversi riguardo , a differenza di quanto sostenuto dalla società convenuta , più che all’ammontare del fatturato , di per sé indice rivelatore dell’attività ma non degli effettivi utili di esercizio , a ciò che residua in favore dell’impresa , una volta detratti i costi : è evidente , infatti , che si può avere un elevato fatturato , ma avere un utile scarso o addirittura nullo quante volte per deficitarie politiche manageriali o per altri fattori contingenti , anche esterni all’attività aziendale , siano stati sostenuti costi così elevati da determinare un attivo inesistente o risicato alla chiusura dei conti . Se , poi , questa evenienza si ripete nel tempo , sino a mostrare segni evidenti e strutturali di una inadeguatezza imprenditoriale , ci si trova di fronte ad una società o ad un’impresa prossima alla decozione . E questo è tanto più evidente quando il fatturato risulta rilevante e l’utile scarso , dal momento che ciò , secondo l‘id quod plerumque accidit , è ricollegabile ad una insipiente gestione dell’impresa e quindi ad un difetto strutturale e funzionale del suo management che chi opera nel settore economico individua subito come segno evidente di debolezza e di crisi della impresa.
Nel caso di specie , dalla documentazione prodotta , con particolare riferimento ai bilanci degli anni 2005, 2006 e 2007 , emerge evidente un progressiva crisi che, evidenziatasi sin dal bilancio del 2004 con un risultato di esercizio di appena 372,00 euro , si era andata aggravando dall’utile del 2005 di appena 3.117,00 sino alle perdite di esercizio di euro 136.104,00 del 2006 e di euro 137.173,00 del 2007.
Come correttamente rileva parte attrice , poi , è impensabile che una società importante e qualificata come la convenuta non abbia svolto alcun atto di indagine finanziaria per accertare lo stato economico della società , peraltro fallita poco tempo dopo , tanto più che dal bilancio del 31 dicembre 2006 si ricavano elementi allarmanti costituiti dal sequestro a seguito di ispezione della guardia di finanza di liquidità indicate nella voce composizione dei crediti , da un debito iva di euro 462.349,00 , nonché da un credito di euro 42.535 verso l’inps per Cassa integrazione guadagni straordinaria, segno della avanzata crisi in cui versava la società .
Senza dire che dalla centrale rischi della Banca D’Italia che desume che la alfa srl aveva esposizioni nei confronti della banca , della italease network spa , della banca 2 spa e della stessa convenuta e queste esposizioni , specialmente se non si trascura che erano soprattutto nei confronti di banche , dimostrano che la società era in una condizione di estrema debolezza finanziaria .
c) quanto alla sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente , occorre rilevare che parte attrice non ha mai allegato e ancor meno provato che altri immobili ubicati nella stessa zona e con caratteristiche analoghe siano stati venduti , nell’arco temporale in cui è stata conclusa la compravendita dei beni della società fallita , a prezzi nettamente superiori , né ha chiesto di accertare questo dato attraverso un’indagine peritale.
Inoltre non va trascurato che un elemento che indirettamente conferma la insussistenza del requisito è dato dalla constatazione che l’utilizzatore/venditore avrebbe dovuto versare 179 canoni mensili per entrambe le locazioni per un importo complessivo di circa 829.000,00 a fronte del prezzo ricevuto di 500.000,00.
Se non si trascura che 179 rate mensili equivalgono a quasi quindici anni , si comprende che la somma complessiva , che include tasso leasing del 7,14 ed importi per il riscatto ( 51.000,00 euro per un contratto e 23.000,00 per l’altro), tiene conto di un valore non dissimile da quello pattuito a conferma che non si tratta di operazione con la quale si è inteso sfruttare lo stato di malessere economico della società pantera .
Inoltre , come si desume dalla compravendita , ne sono oggetto immobili di normale estensione e di non particolare pregio, sicché il prezzo di 500.000,00 è del tutto adeguato . Con riferimento ai valori attuali , nettamente più bassi, si tratta di un prezzo che oggi sarebbe difficilissimo pattuire ; ma anche ai valori del 2007 , anno in cui il mercato immobiliare era dinamico e caratterizzato da forte domanda e quindi da prezzi sostenuti , non era agevole spuntare un prezzo come quello indicato nel contratto di compravendita .
In sintonia con le sentenze della suprema corte di cassazione e con le considerazioni sopra svolte , deve concludersi che occorre la compresenza di tutti i requisiti indicati , talché , pur se i primi due sono ravvisabili , la mancanza del requisito della sproporzione tra il prezzo pattuito ed il valore di mercato comporta che l’operazione negoziale in esame non può considerarsi funzionale ad un fine di garanzia in violazione di quanto prescritto dall’art. 2744 cc.
Va pertanto rigettata la domanda di nullità dei relativi contratti proposta da parte attrice .
Quanto all’azione revocatoria, va detto che i suoi elementi costitutivi possono, nella concreta vicenda , evincersi dalle seguenti considerazioni :
a) con l’atto concluso dalle parti , la pantera sottrasse alla garanzia generica di cui all’art. 2740 cc e dunque alla par condicio creditorum l’intero suo patrimonio immobiliare , per lo meno quello di cui in quel momento egli era titolare , ciò risultando dalla documentazione prodotta dal fallimento e non essendo stato dimostrato il contrario da parte della società convenuta , che peraltro mai ha contestato in maniera specifica la relativa allegazione di parte attrice , con la conseguenza che tale rilevante circostanze può essere posta a base della decisione, ai sensi del disposto dell’art. 115 cpc , nuova formulazione , applicabile ratione temporis in questo giudizio ( promosso nel 2012 , dopo l’entrata in vigore della disposizione avvenuta nel 2009) ;
b) vi è l’ eventus damni, essendo evidentemente lesivo delle garanzie patrimoniali l’atto dispositivo che elimina dal patrimonio del debitore un cespite immobiliare , dal momento che ciò viene a mettere in serio pericolo la concreta possibilità di esazione del credito , dovendo al riguardo rilevarsi che , ai fini dell’esperimento vittorioso dell’azione revocatoria, è sufficiente, secondo quieta giurisprudenza della cassazione , che l’atto dispositivo renda più difficoltosa ed incerta la soddisfazione del credito , spettando al convenuto in revocatoria la dimostrazione che ciò non è in concreto ( v. Cass. n.16464/2004);
c) come si è visto nel trattare il requisito dell’esistenza di una posizione debitoria nei confronti della convenuta , essa era sussistente al momento della stipulazione del contratto oggetto della domanda revocatoria , dovendosi anche rilevare che i dati contabili e le risultanze della centrale rischi consentono di ritenere che vi fosse da parte della società convenuta piena consapevolezza della consistente esposizione debitoria della pantera nei confronti di altri soggetti , sicché appare evidentemente sussistente la sua scientia damni , ravvisabile ogni qual volta le circostanze oggettive e ogni altro fattore concomitante all’atto permettano di ipotizzare nell’acquirente la piena coscienza dei suoi effetti pregiudizievoli per le ragioni dei creditori dell’alienante .
d) quanto al requisito soggettivo richiesto ai fini dell’esperimento vittorioso dell’azione revocatoria , è peraltro costante la giurisprudenza della cassazione nel ritenere che non è richiesta l’intenzione di nuocere al soddisfacimento delle pretese creditorie , per gli atti compiuti successivamente al sorgere del credito come nella specie, ma è sufficiente la consapevolezza anche del terzo acquirente , che , mediante l’atto di disposizione , il debitore diminuisca il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori ai sensi dell’art. 2740 cc , in modo tale da recare pregiudizio alle loro ragioni , con la precisazione che la prova relativa può essere data anche per presunzioni ( v. ex multis , cass. 3.5.1996 n.4077) ;
e) sotto questo profilo , del resto , occorre richiamare le considerazioni svolte sopra , a tenore delle quali al momento della stipulazione dell’atto , l’esposizione della pantera era già ampia , se è vero che , come precisato, dal bilancio del 31 dicembre 2006 , antecedente l’atto che è del 2007 , si ricavano elementi allarmanti costituiti dal sequestro a seguito di ispezione della guardia di finanza di liquidità indicate nella voce composizione dei crediti , da un debito iva di euro 462.349,00 . Senza dire che dalla centrale rischi della Banca D’Italia si desumeva che la alfa srl aveva esposizioni nei confronti della banca leasing , della italease network spa , della banca 2 spa e della stessa convenuta .
In conclusione , l’atto in data 26 luglio 2007 , rogato dal notaio OMISSIS rep . 21117 e trascritto il 1° agosto 2010 al n.14040 , deve essere dichiarato inefficace nei confronti del fallimento .
L’accoglimento dell’azione revocatoria , con riguardo ad atto dispositivo di un bene , ne implica una mera declaratoria di inefficacia , che consente al creditore istante di aggredire con esecuzione individuale la cosa che ne costituisce oggetto ( v. , ex multis , Cass. n.3758/1985 ) , sicché manca il presupposto della risoluzione , di cui all’art. 1526 cc , indispensabile ai fini dell’accoglimento della domanda di restituzione dei canoni proposta nella parte finale dell’atto di citazione .
Parte convenuta , in quanto soccombente, deve essere condannata al pagamento delle spese processuali che , avuto riguardo alle questioni trattate , al valore della lite ed alle tabelle , possono essere liquidate in euro 8500,00 , oltre accessori .
PTM
Rigettate le altre domande , accoglie quella per la revocatoria dell’atto l’atto in data 26 luglio 2007 , rogato dal notaio OMISSIS rep . 21117 e trascritto il 1° agosto 2010 al n.14040 e , pertanto , ne dichiara l’inefficacia nei confronti di parte attrice . Condanna parte convenuta al pagamento , in favore del fallimento della pantera srl , delle spese processuali, liquidate in euro 8500,00 , oltre accessori .
Taranto , 13 novembre 2013
Il presidente est.
Dott. Gianfranco Coccioli
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 669/2013