ISSN 2385-1376
Testo massima
Intervento Avv. Francesco Fiore del foro di Avellino
La problematica sulla natura usuraria del tasso di interesse moratorio è da poco divenuta di grande attualità.
Questa problematica è stata sollevata dalla lettura della sentenza n. 350/2013 della Suprema Corte di Cassazione che afferma il seguente principio:
” ai fini dell’applicazione dell’art.1815 c.c. e dell’art. 644 c.p. si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo e quindi anche a titolo di interessi moratori”.
Se a qualunque titolo osserva la Cassazione allora anche a titolo di mora.
Alla luce di questo principio, una corrente di pensiero sostiene che per la verifica del superamento del c.d tasso soglia occorre sommare il tasso degli interessi corrispettivi con il tasso degli interessi moratori.
E’ quindi sufficiente compiere “l’operazione aritmetica di sommare la cifra che indica il tasso di mora con la cifra che indica il tasso corrispettivo, confrontare tale somma aritmetica con il tasso soglia del periodo e, da tale confronto, ricavare l’effetto giudico dell’azzeramento di entrambi gli interessi“.
Poiché tale somma è normalmente superiore al limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è palese l’effetto concreto di questo principio:
– la clausola sarebbe nulla;
– non dovrebbero applicarsi interessi di alcun tipo;
– quelli già versati andrebbero restituiti, mentre quelli ancora da corrispondere non sarebbero più dovuti;
– il mutuante deve restituire gli interessi ricevuti ed il mutuatario deve pagare solo la quota capitale.
Invero l’art.1815 c.c. comma 2 prevede la sanzione della riduzione a zero degli interessi: “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” così dispone la norma.
Quindi, questa corrente di pensiero consente di aprire un filone contro il ceto bancario; tutti gli avvocati si attivano per iniziare il giudizio previo una consulenza tecnica che calcoli gli interessi pagati e che vanno restituiti.
Consentitemi di dire che ragionando così si crea un danno al cliente e lo si espone ad una condanna alle spese che può essere rilevante e non sostenibile.
Il Tribunale di Trani, ad esempio, con una decisione che riprenderemo infra, ha condannato il mutuatario a pagare la somma di 10.000,00.
A mio avviso è onere dell’avvocato esporre le motivazioni in diritto del suo agire; non è ammissibile dire che gli interessi corrispettivi vanno sommati agli interessi moratori; occorre anche formulare le motivazioni; non è sufficiente richiamare la sentenza 350/13; “nell’ attuale sistema processuale ciò che si richiede alla parte è di spiegare gli argomenti di fatto, logici e giuridici della propria pretesa al fine di far valutare la propria domanda; e tanto non si realizza con la sola invocazione di una autorevole pronuncia” ( Tribunale di Trani del 10.3.2014).
Comunque prima di questa sentenza 350/2013, era opinione pacifica che, al fine di accertare se il tasso soglia fosse stato superato, il tasso convenzionale degli interessi moratori non doveva essere sommato a quello degli interessi corrispettivi.
Dopo questa sentenza 350/13 una corrente di pensiero giunge a conclusione opposta e sostiene che al fine di verificare se il tasso degli interessi di mora sia superiore al tasso soglia e quindi ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 co. 2, gli interessi moratori vanno sommati a quelli corrispettivi.
Questa opinione non mi convince. E non mi convince per diversi motivi.
PRIMA RIFLESSIONE
In verità la sentenza richiamata (la n.350/13) non ha affermato quanto auspicato ed invocato da qualcuno: non ha parlato di sommatoria di interessi con riguardo all’ usura.
La sentenza invocata altro non fa che ribadire un principio interpretativo da tempo affermato dalla Corte di Cassazione (Cass. 5286/2000; Cass. 5324/2003; Cass. 16992/2007), cioè che la regola ex art. 1815 c.c. si applica alla pattuizione di interessi a qualunque titolo convenuti, cioè a quelli corrispettivi come a quelli moratori.
Non vi è alcun cenno al fatto che gli interessi corrispettivi e quelli moratori vadano sommati tra loro, dando vita ad un presunto tasso sommatorio. La Cassazione si è limitata solo a ribadire il proprio orientamento in virtù del quale “pure gli interessi moratori debbono essere sottoposti al vaglio di usurarietà al pari di quelli corrispettivi” (cfr Cass. 5286/2000).
SECONDA RIFLESSIONE
Gli interessi moratori e corrispettivi non possono essere posti sullo stesso piano.
Le parti pattuiscono un tasso diverso e alternativo per due differenti tipologie di interessi applicabili in ipotesi distinte e alternative.
In un caso è fissato il tasso degli interessi corrispettivi del mutuo cioè quelli che rappresentano il prezzo dell’ operazione mutuo e il vantaggio che il mutuante riceve nel sinallagma.
Nell’ altro caso si fissa la misura dell’ interesse dovuto ove il rapporto entri nella patologia, cioè ove la parte mutuataria non paghi quanto dovuto per la restituzione del denaro ricevuto in prestito.
Le ragioni principali di questa differenziazione si rinvengono quindi, in primo luogo, nella funzione degli interessi moratori. Questi configurano una sorta di liquidazione presuntiva e forfettaria del danno causato dal mancato o dal ritardato pagamento di un’ obbligazione pecuniaria ( art.1224 co.1 c.c.).
In una pronuncia del Collegio dell’ ABF così si legge: “Il carattere risarcitorio degli interessi moratori pone questi ultimi su di un piano profondamente diverso dagli interessi corrispettivi. E soprattutto in situazioni patologiche li rende riequilibrabili attraverso il rimedio di salvaguardia dettato dall’art.1384 c.c.”.
Gli interessi corrispettivi invece svolgono la funzione di pagamento per l’ uso di un bene, sono il corrispettivo che si paga per il godimento di un bene altrui ed entrano in gioco per così dire al momento della conclusione del contratto.
Non va trascurato un altro elemento differenziale. A differenza degli interessi corrispettivi, nessun ruolo ha l’ interesse moratorio nella concessione del credito.
L’interesse moratorio, dal punto di vista del debitore, assolve ad un ruolo essenzialmente dissuasivo ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere, mentre dal punto di vista del creditore, assume un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato.
Queste riflessioni inducono ad escludere in linea di principio gli interessi moratori dalla valutazione dell’ usura.
Con ordinanza del 28.1.2014 il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda formulata sulla sommatoria degli interessi corrispettivi e moratori con la seguente motivazione:
“Gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori sono alternativi, nel senso che se si applicano i primi non si applicano i secondi”.
Questa distinzione è stata pure ripresa dal Tribunale di Trani nella sentenza del 10.3.2014. Leggo alcuni passaggi di questa sentenza, dove si affermano i seguenti principi:
1) “Interessi corrispettivi ed interessi moratori, pattuiti come tassi diversi alternativi, applicabili in ipotesi distinte e alternative, non possono essere cumulativamente valutati ai fini del raffronto con il tasso soglia ex legge 108/96”.
2) Sostenere che il tasso soglia ex legge 108/96 sarebbe superato per effetto della sommatoria fra il tasso debitore del mutuo e quello moratorio è un errore di carattere logico oltre che giuridico”.
3) Pur in ipotesi di superamento della soglia antiusura per effetto della sommatoria dei due tassi si determinerebbe che non sono dovuti gli interessi moratori e non che non siano dovuti anche gli interessi corrispettivi che in ogni caso siano stati pattuiti entro la soglia.
Questo ultimo principio era già stato enunciato nell’ordinanza emessa in data 28.1.2014 dal dott. Ardituro del Tribunale di Napoli, il quale così si esprime: ad essere sanzionata con la nullità totale della clausola che determina la misura degli interessi è solo la previsione relativa al tasso da applicare per gli interessi moratori, ma non anche quella per gli interessi corrispettivi che comunque sono dovuti.
TERZA RIFLESSIONE
Questa riflessione riguarda la necessità di confrontare due entità omogenee, vale a dire il metodo di verifica.
L’art.1 della L. 108/96 afferma, fra l’altro: “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.
L’art.2, comma 1, afferma poi: “Il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse,
.”
Entrambi gli articoli non danno alcuna indicazione circa il modo con cui si debba tener conto di “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese
.”, non riportano, cioè, la “formula” da utilizzare per tradurre in due numeri (da confrontare) il tasso applicato al singolo rapporto e il tasso medio (da incrementare secondo le previsioni) per fissare il tasso soglia.
La perfetta identità dei termini riportati negli artt. 1 e 2 comporta, come ovvio corollario, che devono coincidere sia il criterio con cui sono rilevati i tassi soglia sia il criterio con cui viene calcolato l’eventuale tasso usurario; in particolare va ritenuto che:
a) la formula da utilizzare per determinare il tasso praticato per un singolo rapporto deve coincidere con quella utilizzata per determinare il tasso medio;
b) ai termini che compaiono in tali formule deve essere attribuito lo stesso significato.
Infatti valutare un eventuale superamento del tasso soglia confrontando due numeri ottenuti con metodologie diverse da quelle esposte ai punti a) e b) comporta inevitabilmente una violazione dell’omogeneità di indicazioni contenute negli artt. 1 e 2 della 108/96.
Queste considerazioni trovano conferma in una recente pronuncia del Collegio dell’ABF. Il ragionamento del Collegio è il seguente.
Non esiste una nozione civilistica di usura per cui occorre far riferimento a quella offerta dall’ art. 644 c.p.
Ma è questa una norma in bianco nel senso che non contiene tutti gli elementi costitutivi della fattispecie reato e rimette alla legge la concreta individuazione del c.d. tasso soglia mediante le rilevazioni trimestrali di cui alla legge 108/96.
Ma neanche la legge speciale fissa un tasso usuraio, ma istituisce un procedimento per determinare con scadenza trimestrale quale sia il tasso usuraio in relazione alle diverse tipologie di operazioni di credito.
L’ esito finale di questo procedimento, vale a dire la determinazione del tasso soglia, è effettuata dal Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d’ Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, in considerazione del tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, spese, remunerazioni etc.
I valori medi sono pubblicati e si applica la previsione incrementativa da ultimo stabilita dal D.L. 13.5.2011 n. 70, vale a dire il tasso medio aumentato di un quarto + 4 punti.
Quindi la nozione di interesse usuraio dipende dall’ esito di un procedimento nel quale assumono rilevanza le basi di calcolo che conducono ad individuare detta misura. In queste basi di calcolo sono incluse: le spese di istruttoria, le spese di chiusura della pratica, le spese di riscossione, il costo dell’attività di mediazione, le spese di assicurazione, le sepe per i servizi accessori, ogni altra spesa connessa con l’operazione di finanziamento, escluse le imposte e tasse, le spese notarili, gli interessi di mora, gli oneri assimilabili.
L’ esclusione dalle segnalazione degli interessi di mora è stata ribadita dal decreto ministeriale del 25.3.2011 relativo ai tassi soglia trimestrali.
Le istruzioni della Banca d’Italia sulla rilevazione dei tassi medi ai fini dell’usura hanno sempre precisato che gli interessi moratori sono esclusi dal calcolo del TEGM che costituisce la base del c.d. tasso soglia. Nei chiarimenti del 3.7.2013 la Banca d’ Italia precisa che gli interessi moratori non vanno presi in considerazione “perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente”.
Da ciò possiamo convenire che il confronto tra il tasso soglia ed il tasso applicato in concreto è un confronto tra voci predefinite che attengono al costo del credito convenuto tra le parti con l’insieme delle stesse voci di costo medio rilevate trimestralmente.
Se quindi il tasso di mora non è parte delle rilevazione trimestrali non è corretto confrontare due entità diverse.
E’ stato affermato che tra i due insiemi, quello pattuito tra le parti e quello rilevato al fine di identificare il tasso soglia, vi deve essere perfetta simmetria.
E’ palesemente errato confrontare gli interessi convenuti per un conto corrente con il tasso soglia previsto per operazione di leasing, come è pure errato calcolare nel costo del credito le spese per imposte e tasse. In applicazione del medesimo principio di simmetria è errato calcolare nel costo del credito pattuito i tassi moratori che non sono presi in considerazione nel procedimento di rilevazione .
QUARTA RIFLESSIONE
Le considerazioni innanzi svolte non escludono che la questione dello sforamento del limite possa in concreto proporsi.
Di regola nel contratto di mutuo le parti pattuiscono che “su tutte le somme a qualsiasi titolo dovute dal cliente” dal momento dell’inadempimento decorrono gli interessi moratori.
Ciò significa che la rata non riscossa verrà gravata dagli interessi moratori; in altri termini gli interessi moratori si applicano sulla rata non riscossa che comprende sia il capitale sia gli interessi; sicchè diviene inevitabile chiedersi se quest’applicazione di interessi moratori su interessi corrispettivi sia legittima e se tale sommatoria consente di superare il tasso soglia.
Al riguardo vanno distinte due questioni: il carattere usurario e l’anatocismo.
La rata non è un’obbligazione, ma solo la modalità di adempimento di un’obbligazione pecuniaria (art.1819 c.c.); essa risulta composta generalmente da una quota capitale e da una quota di interessi. Queste due quote sono separate nella fase genetica e durante il corso del rapporto, non lo sono nella fase patologica.
Al momento dell’inadempimento ci si trova al cospetto di una sola obbligazione che il debitore è tenuto soddisfare per capitale ed interessi. Questa unitarietà risulta confermata, ad esempio, dalle regole in tema di imputazione, che non lasciano spazio al debitore di scegliere tra l’una o l’altra obbligazione all’atto del pagamento; ed è pure dimostrata dal modo di operare degli interessi moratori che si applicano all’intero debito inadempiuto senza dare rilievo a capitale e interessi.In sostanza l’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppure originariamente distinguibili, in un unico debito (Cass.8.7.1986 n. 4451).
In definitiva non si viene concretizzare alcuna sommatoria di interessi dato che gli interessi moratori operano sull’ unico debito esistente (Cass. 21.10.2005 n.20449; 31.1.2006 n. 2140; contra Cass.20.2.2003 n. 2593).
Se l’obbligazione è unitaria ed inscindibile al momento dell’inadempimento il problema viene risolto in radice perché non si crea un fenomeno anatocistico.
A supporto va ricordato che la delibera CICR del 9.2.200 ha previsto espressamente che nei rimborsi rateali dei finanziamenti non regolati in conto corrente (art.3), in caso di inadempimento all’obbligo di pagamento delle rate scadute, sono dovuti, se contrattualmente previsti, gli interessi moratori sull’ importo complessivamente dovuto e quindi sulla parte di rata comprendete capitale ed interessi corrispettivi.
La stessa delibera precisa che per gli interessi moratori non è consentita la capitalizzazione periodica.
In diverse occasioni l’Arbitro Bancario Finanziario si è pronunciato sulla problematica ed ha confermato alcuni principi:
a) In caso di inadempimento ci è una sola obbligazione; l’inadempimento trasforma le due obbligazioni della rata in un unico debito ( dec. 125/14 del Collegio di Napoli);
b) L’ interesse moratorio è previsto come sostitutivo e non additivo dell’interesse corrispettivo ( dec. N. 21/14 del Collegio di Napoli).
Ora qualcuno potrebbe dire che l’Arbitro Bancario Finanziario è di parte, ma a me sembra che in queste decisioni sono richiamati principi pacifici in giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.
In conclusione, le pronunce dei giudici di legittimità e di merito, come sopra richiamate, consigliano una ponderata riflessione prima di iniziare un giudizio sulla usurarietà del tasso di mora.
Avv. Francesco Fiore
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 298/2014