Nelle procedure negoziate per la gestione del sovraindebitamento, la regola della falcidiabilità dell’IVA, attualmente prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare, anche in sede di concordato preventivo, non ha natura eccezionale. Il summenzionato articolo non detta una specifica regola che possa, in via di eccezione, derogare al principio generale di uguaglianza dettato dall’art. 3 Cost. Costituisce, per contro, diretta espressione di una indicazione generale, altro non rappresentando che una diretta declinazione, in relazione alle pretese tributarie, della regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, prevista dall’art. 160, comma 2, della stessa legge in tema di concordato preventivo; principio che deve ritenersi espressione tipica delle procedure concorsuali, maggiori o minori, con finalità esdebitatoria, tanto da risultare replicato anche per gli strumenti di definizione anticipata delle situazioni di sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3 del 2012.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, in riferimento all’art. 3 Cost., limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”.
A fronte, infatti, di una situazione oggettiva sostanzialmente simile (perché il sovraindebitamento non si distanzia in termini decisivi dai concetti di crisi e insolvenza che legittimano lo strumento di cui all’art. 182-bis della legge fallimentare), non è sostenibile un trattamento differenziato, nel mutato quadro normativo e giurisprudenziale europeo, che non impone più sempre e comunque l’integrale riscossione della risorsa IVA, secondo quel rigido giudizio di intangibilità del credito IVA che, in origine, aveva rappresentato la ratio del divieto di falcidia della relativa pretesa tributaria.
Questi i principi enunciati dalla Corte costituzionale, Pres. dott. Giorgio Lattanzi, con la sentenza n. 245 del 19.11.2019.
LA NORMA
LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3
Art. 7 – Presupposti di ammissibilità
Primo comma
“Il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’articolo 9, comma 1, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che, assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 del codice di procedura civile e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni. È possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi. In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, il piano può anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il gestore è nominato dal giudice; si applicano gli articoli 35, comma 4-bis, 35.1 e 35.2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
LA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ – IL CASUS DECISUS
La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della L. 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto” sollevata dal Tribunale ordinario di Udine.
Il Giudice rimettente ha evidenziato che il giudizio principale aveva ad oggetto un ricorso volto ad ottenere l’ammissione e la successiva omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, proposto ai sensi dell’art. 6, comma 1, primo periodo, della L. n. 3 del 2012.
L’incidente di legittimità costituzionale, in particolare, è intervenuto nella fase di valutazione dell’ammissibilità del ricorso, prevista dall’art. 10 della L. n. 3 del 2012, nel corso della quale si è reso necessario verificare la presenza dei requisiti pregiudiziali previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della stessa legge.
Orbene, il Tribunale ha evidenziato che il ricorrente non era assoggettabile a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla L. n. 3 del 2012, in quanto non esercitava attività d’impresa commerciale e che il relativo sovraindebitamento derivava principalmente dalla condizione di responsabile solidale per le obbligazioni contratte da una associazione sportiva.
Il rimettente ha, altresì, rimarcato che tra le poste di credito privilegiate, oggetto della falcidia proposta dal debitore, figurava anche l’obbligo di pagare all’erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto, garantite dal privilegio generale mobiliare di cui all’art. 2752, terzo comma, cod. civ.
Il rimettente ha sottolineato, poi, come la regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, purché pagati in misura corrispondente al valore ricavabile in via di esecuzione forzata dai beni destinati per legge alla loro soddisfazione, sia ormai comune in tutte le procedure concorsuali che consentano una soluzione negoziata di un’insolvenza qualsiasi, prescindendo dai profili di soggettivo accesso all’uno o all’altra procedura: coloro che hanno a disposizione solo le procedure concorsuali negoziate previste dalla L. n. 3 del 2012, tuttavia, sono tenuti a pagare sempre e per intero quella particolare categoria di crediti privilegiati rappresentata dal credito IVA; per contro, gli imprenditori soggetti a fallimento possono invece gestire il medesimo credito con falcidia (nei limiti indicati), al pari di tutti gli altri crediti muniti di causa di prelazione.
Una tale soluzione non sarebbe quindi compatibile con l’art. 3 Cost. che esige dalla legge uguaglianza di trattamento nei confronti di tutti i soggetti (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi in generale) nelle medesime condizioni consistenti in uno stato di crisi economica, coinvolgente anche un debito per IVA.
Né rileverebbe – a dire del rimettente – il fatto che i soggetti che possono accedere solo a quanto stabilito dalla L. n. 3 del 2012 hanno in genere dimensioni economiche meno rilevanti (e dunque un impatto della loro insolvenza sull’economia generale inferiore, compresa la probabilità di sussistenza di crediti IVA) rispetto a coloro cui è applicabile la legge fallimentare: in tal caso, infatti, sarebbe più razionale un trattamento di maggior favore per i debitori “non commerciali e piccoli”, e non invece deteriore come nei fatti accade.
La disciplina contestata, inoltre, conclamerebbe una discriminazione su base censitaria fra gli stessi imprenditori commerciali, favorendo quelli assoggettabili al fallimento, i quali possono prospettare ai creditori il pagamento parziale di ogni pretesa garantita da prelazione, compresa quella legata all’IVA.
Non da ultimo, la disposizione censurata sarebbe inoltre in contrasto con l’art. 97 Cost., perché l’inammissibilità del ricorso che non preveda il pagamento integrale dell’IVA priva l’amministrazione finanziaria del potere di valutare, in concreto, la proposta quanto al grado di soddisfazione del credito IVA che la stessa garantisce in alternativa alla prospettiva liquidatoria, precludendole di informare la relativa azione a criteri di economicità e massimizzazione delle risorse, in contrasto con il principio del buon andamento sancito dal parametro evocato.
Orbene, premesse le argomentazioni del giudice remittente, la Corte Costituzionale ne ha sostanzialmente condiviso lo spirito ed il percorso, ampliandone i tratti con un corposo excursus normativo e giurisprudenziale.
Oltre all’esposizione della struttura e della ratio delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in correlazione con quelle di gestione concordata della crisi da insolvenza di cui all’art. 182 bis della legge fallimentare, appare significativo il passaggio della pronuncia nel quale il “Giudice delle leggi” ha richiamato il diverso contesto “comunitario” in cui è destinato a muoversi l’odierno pronunciamento, rispetto alla precedente decisione della medesima Corte Costituzionale n. 225 del 2014.
Invero, sotto la vigenza della “vecchia” disciplina del concordato preventivo, che escludeva la falcidiabilità dei crediti IVA sì come l’art. 7 della L. 3/2012 in materia di sovraindebitamento, si riteneva comunemente che detta esclusione trovasse fondamento nella c.d. intangibilità del gettito IVA, quale risorsa dell’Unione europea, che ne imponeva sempre l’integrale riscossione.
Tale assetto è stato però “stravolto” dalla Corte di Lussemburgo, investita della questione pregiudiziale interpretativa dal Tribunale di Udine, con la sentenza del 7 aprile 2016 in causa C-546/14, la quale ha ritenuto (in tema di concordato preventivo) che “l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo come prevista dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale, non debba ritenersi contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione”.
Con la decisione in oggetto, la CGUE, in particolare, ha attribuito rilievo alle connotazioni della procedura nel corso della quale viene vagliata tale proposta di parziale soddisfazione del credito IVA, rimarcando che il concordato preventivo è soggetto “a presupposti di applicazione rigorosi, allo scopo di offrire garanzie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei crediti privilegiati e pertanto dei crediti IVA. In tal senso, anzitutto, la procedura di concordato preventivo comporta che l’imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti. Se tale patrimonio non è sufficiente a rimborsare tutti i crediti, il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore. La procedura di concordato preventivo appare quindi tale da consentire di accertare che, a causa dello stato di insolvenza dell’imprenditore, lo Stato membro interessato non possa recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore” (paragrafi 23 e 24). Per altro verso, la decisione in questione mette in evidenza che la proposta di concordato preventivo è soggetta al voto di tutti i creditori ai quali il debitore non proponga un pagamento integrale del loro credito e “che deve essere approvata da tanti creditori che rappresentino la maggioranza del totale dei crediti dei creditori ammessi al voto” (paragrafo 8): nell’assunto argomentativo seguito dalla Corte di Lussemburgo, la relativa procedura offre, dunque, allo Stato membro interessato “la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA qualora, in particolare, non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente” (paragrafo 26); laddove, poi, la proposta venga omologata con il voto contrario dell’amministrazione, consente comunque allo Stato membro interessato di contestare ulteriormente, mediante opposizione, un concordato che preveda un pagamento parziale di un credito IVA, favorendo il controllo giudiziale sul punto.
La CGUE ha quindi concluso ritenendo che “l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo … non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio, nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione” (paragrafo 28).
Il mutamento di paradigma dei Giudici di Lussemburgo ha portato alla riforma dell’art. 182-ter della legge fallimentare (art. 1, comma 81, della L. n. 232 del 2016), in forza del quale, con riguardo alle procedure promosse dal 1 gennaio 2017 (data di vigenza della novella apportata dalla L. n. 232 del 2016), le domande di concordato preventivo non trovano più limiti quanto al tipo di tributi possibile oggetto di falcidia: l’odierna previsione legislativa di riferimento (l’art. 182-ter della legge fallimentare, per l’appunto), l’unica che attualmente risulta chiamata a regolare proposte di concordato destinate ad incidere sulle prospettive di soddisfazione del credito tributario, non riproduce più le originarie deroghe.
Questa è la chiave di lettura fondamentale che la Corte Costituzionale ha individuato per la decisione della odierna questione di legittimità, partendo peraltro dalla considerazione che il legislatore nazionale ha già operato un allineamento della disciplina del concordato preventivo e delle crisi da sovraindebitamento (sebbene con normativa non ancora in vigore) con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155).
Per quanto qui interessa, le nuove disposizioni sul sovraindebitamento contenute nel CCII, sia con riferimento al concordato minore (ovverosia il vecchio accordo di composizione, ora disciplinato dagli artt. 74 e seguenti del citato decreto), sia in relazione alla procedura di “ristrutturazione dei debiti del consumatore” (l’originario piano del consumatore, oggi regolato dagli artt. da 67 a 73), prevedono, una volta entrata in vigore, il possibile pagamento parziale dei crediti privilegiati e tra questi anche di quelli tributari, senza più riprodurre il divieto di falcidia, attualmente previsto dalla norma censurata. Ciò sempre che la proposta sia maggiormente favorevole rispetto alla prospettiva liquidatoria, in termini non diversi da quanto previsto dall’attuale disciplina del concordato preventivo relativamente alla falcidia dei crediti privilegiati (attualmente ai sensi degli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare, destinati ad essere sostituiti dagli artt. 85 e 88 del CCII).
Soprattutto tale aspetto ha indotto la Corte Costituzionale a rimeditare l’orientamento in precedenza assunto con riguardo alla disciplina del concordato preventivo circa il principio di intangibilità del gettito IVA.
Tornando alla normativa vigente, in merito dell’individuazione di legittime o illegittime discrasie tra la disciplina del concordato e quella della crisi da sovraindebitamento, il “Giudice delle Leggi” ha evidenziato che la differenza di trattamento sottolineata dal rimettente trova conferma inequivoca nella normativa prevista per gli imprenditori agricoli gravemente indebitati.
Questi ultimi, in ragione di quanto previsto dall’art. 23, comma 43, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito con modificazioni nella L. 15 luglio 2011, n. 111, sono legittimati ad avvalersi degli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall’art. 182-bis della legge fallimentare, ai quali risulta estesa l’applicabilità del successivo art. 182-ter della legge fallimentare, con conseguente possibile falcidiabilità dei debiti tributari, compresa l’IVA.
Al contempo, gli stessi soggetti possono attivare anche l’accordo di composizione della crisi oggetto della odierna censura (art. 7, comma 2-bis, della L. n. 3 del 2012), rispetto al quale, tuttavia, la norma censurata impone il divieto di falcidia dell’IVA.
A fronte, dunque, di una situazione oggettiva sostanzialmente simile (perché il sovraindebitamento non si distanzia in termini decisivi dai concetti di crisi e insolvenza che legittimano lo strumento di cui all’art. 182-bis della legge fallimentare), gli stessi soggetti possono o no avvalersi della falcidia IVA a seconda della procedura che scelgono di attivare.
L’attuale assetto normativo, inoltre, crea diseguaglianze ingiustificate a caduta anche con riferimento agli stessi creditori che partecipano all’accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile.
Se per un verso – come evidenziato anche dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 225 del 2014 – prima di tale assetto, era l’indisponibilità dell’IVA, determinata dalla riconducibilità del tributo alle risorse proprie dell’Unione europea, che finiva per porre questa imposta in una posizione di assoluta intangibilità rispetto a tutte le altre voci di credito privilegiate (le quali, anche se di rango poziore, finivano per risultare posposte a siffatta pretesa tributaria); per altro verso, oggi, tale situazione di preferenza non ha più ragion d’essere.
Né pare – prosegue la Corte – che la violazione dell’art. 3 Cost. possa ritenersi esclusa muovendo dall’assunto in forza del quale la regola della falcidiabilità dell’IVA, ora ricavabile dall’art. 182-ter della legge fallimentare, costituirebbe un beneficio accordato ai debitori fallibili in deroga al principio generale dell’indisponibilità della obbligazione tributaria.
Non convince l’affermazione di principio che assegna natura eccezionale alla regola della falcidiabilità dell’IVA, attualmente prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare, anche in sede di concordato preventivo (sul punto, le sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 760 del 2017 e n. 26988 del 2016).
A ben vedere tale ultima disposizione non prevede letteralmente la possibilità di procedere ad una soddisfazione parziale dell’IVA; piuttosto, non replica più l’originale divieto di falcidia previsto, tra gli altri, per tale tributo, in un quadro di generale falcidiabilità dei crediti tributari, chirografari e privilegiati.
L’art. 182-ter della legge fallimentare non detta, dunque, una specifica regola che possa, in via di eccezione, derogare ad un principio generale. Costituisce, per contro, diretta espressione di una indicazione generale, altro non rappresentando che una diretta declinazione, in relazione alle pretese tributarie, della regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, prevista dall’art. 160, comma 2, della stessa legge in tema di concordato preventivo. Principio, quest’ultimo, che, come già rimarcato, deve ritenersi espressione tipica delle procedure concorsuali, maggiori o minori, con finalità esdebitatoria, tanto da risultare replicato anche per gli strumenti di definizione anticipata delle situazioni di sovraindebitamento prevista dalla L. n. 3 del 2012.
Alla luce di quanto sopra riportato, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della L. 27 gennaio 2012, n. 3, limitatamente alle parole: “all’imposta sul valore aggiunto”.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
SOVRAINDEBITAMENTO: IL DEBITORE PUÒ ACCEDERE ALLA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE SENZA UN PATRIMONIO DA LIQUIDARE
È POSSIBILE, SU ISTANZA DEL DEBITORE E DI UN CREDITORE, CONVERTIRE LA PROCEDURA DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI IN QUELLA DI LIQUIDAZIONE
Decreto | Tribunale di Matera, Pres. Pica – Rel. Caradonio | 24.07.2019 | n.1031
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Decreto | Tribunale di Mantova, Pres. est. Mauro Bernardi | 05.05.2019 |
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