Provvedimento segnalato dall’avv. Mirco Minardi, del foro di Ancona
Il cumulo dei mezzi espropriativi è uno strumento consentito dall’ordinamento, tranne in caso di immotivato e abusivo ricorso agli strumenti processuali con finalità vessatorie del debitore e senza alcuna ragione a giustificazione della tutela del credito, onde la limitazione del cumulo a seguito dell’opposizione del debitore ha, quindi, carattere eccezionale, potendo essere disposta nel solo caso di abuso, ravvisabile quando il sacrificio del debitore, coinvolto in plurime procedure esecutive, non sia giustificato da un ragionevole interesse del creditore.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo, con la ordinanza n. 30011 del 20 novembre 2024.
Nell’ambito di un procedimento esecutivo per espropriazione immobiliare promosso da una banca, il giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’istanza avanzata dalla debitrice ai sensi dell’art. 483 c.p.c., disponeva il divieto di cumulo della procedura esecutiva immobiliare con quella presso terzi già in corso, ordinando la cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare.
Avverso tale provvedimento, la Banca proponeva l’opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., che veniva rigettata dal Tribunale.
La Banca promuoveva il ricorso in Cassazione, sulla base di tre motivi, nel quale lamentava una violazione e/o falsa applicazione degli artt. 483 c.p.c. e 2740 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Secondo la ricorrente, erano da ritenersi infondate le deduzioni della debitrice, secondo cui l’esecuzione immobiliare promossa in suo danno dopo soli quattro anni dal pignoramento presso terzi avrebbe determinato un aumento di spese a suo carico, e che l’ulteriore mezzo di esecuzione attivato dal creditore appariva abusivo in quanto non idoneo ad una più celere soddisfazione del credito vantato, ma volto ad un aumento considerevole di spese che inevitabilmente sarebbero state poste a carico esclusivo del debitore esecutato.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso della Banca, affermando che il cumulo di mezzi espropriativi è senz’altro ammesso in quanto, se da una parte comporta sempre inevitabilmente un aggravio di spese per il debitore (che potrà peraltro evitarlo semplicemente estinguendo il proprio debito, ferma restando la facoltà del giudice di non riconoscere le spese ritenute superflue), per converso, non potrà mai – comunque – assicurare al creditore, sulla base di una astratta valutazione ex ante, la assoluta certezza della soddisfazione del credito per cui si procede, quanto meno se non siano addotte e documentate dallo stesso debitore specifiche ed eccezionali circostanze che inducano a ritenere prevedibile la sicura infruttuosità di una o più delle procedure esecutive promosse, e nell’ottica dell’interesse del creditore, di modo che la loro instaurazione si risolva esclusivamente in un aggravio per il debitore stesso, senza alcun effettivo vantaggio per il creditore.
Una eventuale limitazione al cumulo di mezzi espropriativi può essere disposta solo qualora al sacrificio richiesto al debitore non corrisponda a un ragionevole interesse del creditore, e cioè qualora vi sia un esercizio abusivo dello stesso.
Sulla base di queste considerazioni, gli Ermellini hanno accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, hanno accolto l’opposizione agli atti esecutivi della Banca ricorrente, con conseguente revoca dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione opposta, e dichiarato integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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