ISSN 2385-1376
Testo massima
La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma. Nell’ipotesi di tardiva notifica del decreto ingiuntivo, il creditore può richiedere in applicazione dell’art. 153 c.p.c. comma 2, la rimessione in termini, qualora sia incorso in decadenza senza colpa.
È quanto affermato dalla Terza Sezione Civile del Tribunale ordinario di Torino con ordinanza del 31.01.2014.
In verità, già in una precedente sentenza lo stesso Tribunale (Trib. Torino, 18 giugno 2012), aveva espresso la possibilità di applicare l’istituto della rimessione in termini anche all’ipotesi di mancata notifica del decreto ingiuntivo nel termine di 60 giorni dalla data di emissione, come previsto dall’art. 644 c.p.c., tutte le volte in cui la fallita notifica non fosse dovuta a colpa del creditore.
Ebbene, come noto, la legge 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato l’istituto della remissione in termini, dapprima abrogando l’art. 184-bis c.p.c. che lo disciplinava, collocandolo successivamente, al secondo comma dell’art. 153 c.p.p.
L’istituto della rimessione in termini può, così, essere definito come lo strumento tecnico che l’ordinamento mette a disposizione della parte che incorre in decadenze dovute a causa ad essa non imputabile.
In verità, prima di questo intervento normativo, la Suprema Corte di Cassazione, non aveva mancato di rilevare come nel nostro ordinamento, mancasse una norma o un principio che consacrasse, in via generale, la rilevanza del caso fortuito o della forza maggiore come causa impeditiva della decadenza, per mancato rispetto di un termine perentorio. A sua volta, la dottrina, aveva incoraggiato l’introduzione di una norma di rimessione in termini estesa alla fase di impugnazione, prosecuzione e riassunzione del procedimento.
Prima, però, di giungere alla collocazione dell’istituto in esame, al secondo comma dell’art. 153 c.p.c., si erano contrapposte in giurisprudenza diverse posizioni, così sintetizzabili. Da un lato, la giurisprudenza di legittimità, che riteneva inapplicabile l’istituto della rimessione ai termini perentori, dall’altro, il legislatore che, tutt’al contrario, riteneva primario affermare gli interessi pubblici alla certezza, celerità ed economicità dei giudizi.
Si giunse così, alla legge n. 69 del 2009 che come anticipato -, abrogando l’art. 184-bis c.p.c. e spostando il suo contenuto nell’art. 153, nel capo del codice dedicato in via generale ai termini processuali, ha attribuito all’istituto della rimessione in termini una portata universale, laddove la precedente previsione (e collocazione) normativa ne limitava l’operatività, unicamente alle ipotesi in cui le parti costituite fossero decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nel corso della trattazione della causa.
Lo spirito della norma che, certamente, era quello di evitare che le intervenute decadenze danneggiassero chi, senza colpa vi fosse incappato, ha sempre contenuto, -si è detto già a partire dalla riforma introdotta dalla L. 20 dicembre 1995, n. 534 – un beneficio di carattere generale, idoneo a superare l’ostacolo del decorso del termine perentorio (PICARDI). Tale rimedio a carattere restitutorio, infatti, nel discendere dal sistema delle preclusioni, è preposto alla necessità di mitigare il rigore, ogniqualvolta queste si siano verificate senza colpa della parte (SASSANI).
Peraltro, alla luce della nuova collocazione normativa, parte rilevante della dottrina ha ritenuto, da un lato, che esso mantenga la sua natura di rimedio giudiziale, dall’altro, dal comma 1 dell’art. 153, che non sia più consentito desumersi la conclusione secondo la quale il nostro modello si conformerebbe al criterio dell’auto responsabilità oggettiva, bensì verso un’auto responsabilità su fondamento colposo (CAPONI, BOCCAGNA). Pertanto, la nozione di causa non imputabile, di cui all’art. 153 c.p.c., può essere integrata, a seconda dei casi, da un criterio di imputazione soggettivo (la colpa), o oggettivo. (FERRARI).
Quante volte gli operatori del diritto si sono trovati e si trovano, dinanzi a situazioni tali da rendere difficile la notifica del decreto ingiuntivo nei termini di legge. Ebbene, è in queste occasioni che non può negarsi la possibilità per il giudice, su istanza della parte incorsa nella decadenza di cui all’art. 644 c.p.c, di rimettere in termini il creditore, evitando così, di dover riproporre un nuovo ricorso o instaurare un giudizio ordinario; situazioni, queste ultime, che mal si conciliano con le pressanti esigenze deflattive della macchina giudiziaria e, soprattutto, con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (CIRILLO).
Appare, pertanto, condivisibile la conclusione, cui è pervenuta quest’oggi, la Terza Sezione Civile del Tribunale di Torino che, richiamando quanto già in precedenza espresso (Trib. Torino, 18 giugno 2012 ove si legge espressamente “Il nuovo secondo comma dell’art. 153, aggiunto dalla legge 69/2009 di modifica del codice di rito, prevede ora un principio generale, non limitato alla fase istruttoria del procedimento ordinario di cognizione, di rimessione in termini per la parte che sia incorsa in decadenze senza colpa; l’abrogazione dell’art. 184-bis c.p.c. e lo spostamento del suo contenuto nell’art. 153, cioè nel capo del codice dedicato in via generale ai termini processuali, dunque, non può che avere il significato di applicazione generalizzata dell’istituto della rimessione in termini che, pertanto, è adesso ammessa anche nel caso di mancata notificazione del decreto ingiuntivo nel termine di 60 giorni previsto dall’art. 644 c.p.c., che non sia dovuta a colpa del creditore”), nonché richiamando la giurisprudenza favorevole in tal senso, ha rinnovato la possibilità di estendere l’applicazione dell’istituto in commento anche all’ipotesi di mancata notifica del decreto ingiuntivo nel termine di 60 giorni dalla data di emissione, come previsto dall’art. 644 c.p.c., tutte le volte in cui la fallita notifica non fosse imputabile a colpa del creditore. Sul punto, gli stessi giudici di merito hanno segnalato la pronuncia del Tribunale di Mondovì (19 febbraio 2010), ove a chiare lettere si affermava che “nell’ipotesi di tardiva notifica del decreto ingiuntivo, il creditore può richiedere in applicazione dell’art. 153 c.p.p. comma 2, la remissione in termini, qualora sia incorso in decadenza senza colpa”. Così come tra le altre, non può dimenticarsi la sentenza del Tribunale Milano, 22 novembre 1978 ove già si diceva:”…il creditore ingiungente che non ha potuto osservare per causa a lui non imputabile il termine per la notificazione del decreto ingiuntivo di cui all’art. 644 c.p.c. può chiedere al giudice che ha emanato il decreto la rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c. (nella specie, l’istanza di rimessione in termini è stata accolta perché il creditore ingiungente non aveva potuto notificare il decreto ingiuntivo presso la sede del debitore, indicata nelle fatture, in quanto quest’ultimo risultava, dalla relata di notifica a mezzo posta, aver “lasciato la residenza”…)”.
Testo del provvedimento
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