ISSN 2385-1376
Testo massima
Articolo giuridico redatto dall’Avv. Alessandro Pellegatta (UBI Banca)
La crisi che sta dominando l’economia dell’Occidente e dei Paesi storici dell’Unione Europea spinge sempre più gli Ordinamenti, nazionali e sovranazionali, a rivedere di continuo le regole per affrontarla e risolverla, anche perché, come è stato evidenziato da più, la domanda di qualità della regolazione si acuisce specialmente nei tempi di crisi. Più o meno a tutte le latitudini si sono registrate profonde e frenetiche modificazioni nella legge fallimentare che ha subito un rovesciamento di prospettiva e quindi della sua storica funzione. Il fenomeno è stato efficacemente descritto come un’evoluzione “from a law of morality to a law of continuity”.
Come noto, la legislazione fallimentare e più in generale quella sulla crisi d’impresa del nostro paese, è soggetta da almeno un decennio a significative modifiche. Dal 2005 ad oggi l’Esecutivo ha introdotto continue varianti al corpus normativo, senza tuttavia mai riformulare sistematicamente il regio decreto n.267/1942. Il processo di riforma si è realizzato negli ultimi anni attraverso continue decretazioni d’urgenza e/o legislazioni delegate, e questa ipertrofia legislativa ha ovviamente creato problemi interpretativi ed applicativi, nonché di coordinamento sistemico. Molte novità figlie della c.d. “autonomia negoziale” si sono rivelate un fallimento e hanno portato ad abusi. La percentuale elevata d’insuccesso dei piani di risanamento e, in particolare, dei concordati (e specie di quelli “prenotativi” ex art.161 sesto comma l.fall.), lasciava e lascia ancora trasparire una strutturale incapacità delle imprese di costruire e proporre piani di risanamento efficaci e fattibili.
Ancora oggi non appaiono ancora ben chiari i principi fondativi del diritto delle imprese in crisi, e nonostante i continui interventi di mitigazione e di aggiustamento (adottandi e adottati), il nostro sistema appare purtroppo ancora segnato dall’incertezza (chi può dire se esso sia debtor o creditor oriented?) e da una certa battaglia ideologia tra fautori della “autonomia negoziale” e paladini dell’eteronomia. Un sistema perfetto non potrà mai albergare nella nostra legislazione, e la migliore delle legislazioni possibili non ci aiuterebbe comunque di per sé a superare la crisi economica ancora in atto. Talvolta le novità normative sono formulate per approssimazione e sulla scia emotiva dell’emergenza del momento, in assenza di valide basi statistiche e/o senza un valido panorama comparativo sulle alternative.
Spesso poi i problemi nascono ex post nella prassi operativa, e con tutti i migliori principi ispiratori la normativa italiana sulla crisi d’impresa è stata talvolta “deviata” e “manipolata” da comportamenti opportunistici che denotano uno scarso rispetto sia dell’etica sia delle ragioni dei creditori (scaricando impunemente su di essi i “costi” della crisi, che si è così diffusa a macchia d’olio). Altre volte i problemi nascono dall’eccessiva concentrazione di poteri decisionali in capo al debitore e ai suoi consulenti, cui è stata (discutibilmente) lasciata per troppo tempo una totale autonomia nella gestione della crisi, oppure derivano dai clamorosi ritardi con cui avviene l’emersione della crisi stessa (è almeno dal 2003 che si parla dell’introduzione di misure di allerta e prevenzione). Che poi il concordato preventivo di natura liquidatoria debba essere ora considerato una procedura di soddisfacimento dei creditori piuttosto che uno strumento di risanamento appare sempre più palese e confermato dalle stesse nuove norme introdotte dal decreto-legge n.83/2015 (designato in seguito per brevità “Decreto“), che hanno al contempo introdotto una disciplina “di favore ” per i concordati in continuità (n.b.: per poter contare sul beneficio della non necessità di assicurare il pagamento del 20% ai creditori chirografari potrebbero in futuro profilarsi concordati in continuità assolutamente velleitari).
Numerose sono le novità introdotte dal Decreto, tra cui inter alia: i piani concordatari concorrenti; le offerte concorrenti nel concordato; le nuove disposizioni dell’art.182-quinquies l.fall. sulla finanza interinale; la modifica dell’art.169-bis l.fall.; l’introduzione del nuovo art.182-septies l.fall. che disciplina l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria. Senza voler in alcun modo indulgere in atteggiamenti pessimistici, e senza pretesa alcuna di esaustività, il presente scritto si prefigge l’intento di effettuare alcune preliminari e sintetiche riflessioni “a caldo” sull’ennesimo passaggio normativo di cui al Decreto e sui suoi possibili impatti operativi, il tutto nella consapevolezza che nel breve termine gli esiti della Commissione Rordorf potrebbero tracciare ulteriori e precise deleghe per una riforma (finalmente) organica delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Oltre al Decreto è stato recentemente emanato anche il Regolamento UE n.848/2015, che abrogando il precedente Regolamento UE 1346/200 ha introdotto regole più efficienti per le insolvenze transfrontaliere, contemplando inoltre la disciplina della crisi dei gruppi economici tuttora assente nella nostra legislazione nazionale.
Riforma della normativa, italiana ed europea, della crisi d’impresa, semplificazione delle procedure di escussione delle garanzie, riconoscimento di un ruolo proattivo dei creditori, riduzione dei tempi e miglioramento dell’efficacia delle procedure concorsuali e delle azioni di risanamento, introduzione di un efficace sistema di monitoraggio ed allerta per l’emersione tempestiva delle crisi d’impresa saranno sicuramente i prossimi banchi di prova su cui si giocherà la tenuta del sistema bancario ed economico-sociale.
Di seguito si illustreranno alcune di queste rilevanti novità che impatteranno sull’attività bancaria
MODIFICHE DELLA DISCIPLINA DEL FALLIMENTO
Il Decreto contiene importanti novità volte a promuovere, da un lato, l’imparzialità del curatore e, dall’altro lato, l’efficienza e speditezza della sua attività.
Sotto il profilo dell’imparzialità, si evidenzia l’introduzione del divieto di coprire la carica di curatore a colui che abbia svolto attività di commissario giudiziale nel concordato preventivo del medesimo debitore; l’innovazione appare di particolare significato, posto che era prassi alquanto frequente quella di nominare a curatore fallimentare il medesimo soggetto che aveva ricoperto la carica di commissario giudiziale nel concordato preventivo del debitore poi dichiarato fallito.
Sempre nell’ottica di incrementare detto livello di trasparenza di questo organo, viene istituito, presso il Ministero della Giustizia, un Registro nazionale pubblico nel quale confluiranno tutti i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali e nel quale sono indicate informazioni come i provvedimenti di chiusura dei provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato.
Sotto il profilo dell’efficienza e speditezza, il Decreto introduce altresì modifiche all’art. 104 ter l. fall. relativo al Programma di liquidazione, prevedendo tempi più stringenti per lo svolgimento dei vari adempimenti in capo alla curatela; tra questi: viene introdotto il termine di 180 giorni dalla dichiarazione di fallimento per la redazione dell’inventario e il termine di 2 anni dalla dichiarazione di fallimento per il completamento del programma di liquidazione; in quest’ultimo caso, il curatore che ritenga necessario un termine maggiore è tenuto a motivarne le ragioni. La mancata osservanza dei termini sopra indicati senza giustificato motivo rappresenta ora giusta causa di revoca del curatore.
Sempre sotto il profilo degli incentivi alla speditezza, vengono modificati gli artt. 118 e 120 l. fall. prevedendo ora espressamente che la pendenza di eventuali giudizi in cui è parte il fallimento non impedisce la chiusura della procedura ed il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi di giudizio.
Sono state introdotte anche nuove regole sulla rateizzazioni e sulle chiusure dei fallimenti per ripartizione.
Veniamo ad esaminare meglio nel dettaglio le singole innovazioni:
REQUISITI DI NOMINA DEL CURATORE (ART.5 DEL DECRETO)
Non può essere nominato curatore:
– il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito (regola invariata);
– chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento (regola invariata);
– i creditori del fallito e chi ha concorso al dissesto dell’impresa;
– chi ha svolto la funzione di commissario giudiziale in relazione a procedura di concordato per il
debitore, e anche chi è unito in associazione professionale con chi ha svolto tale funzione
Tale regola si applica ai fallimenti dichiarati dopo il 27 giugno 2015 (art. 23 del Decreto).
REGISTRO NAZIONALE (ART.5 DEL DECRETO)
Il decreto istituisce presso il Ministero della giustizia un registro nazionale nel quale sono riportati:
– i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali;
– i provvedimenti di chiusura del fallimento;
– i provvedimenti di omologazione del concordato;
– l’ammontare dell’attivo e del passivo delle procedure chiuse.
Il registro è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico. Tale norma entra in vigore decorsi 60 giorni dalla pubblicazione sul sito internet del Ministero della Giustizia delle specifiche tecniche previste dalle norme relative al processo telematico da adottarsi entro il 27 dicembre 2015 (6 mesi dall’entrata in vigore del decreto) (art. 23 c. 4 del Decreto)
PROGRAMMA DI LIQUIDAZIONE (ART.6 DEL DECRETO)
Il Decreto ha apportato alcune modifiche alla disciplina del programma di liquidazione, applicabili ai fallimenti dichiarati dopo il 27 giugno 2015. In particolare:
a) il curatore deve redigere il programma di liquidazione entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e in ogni caso non oltre 180 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento. II mancato rispetto di tale termine senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore;
b) il programma deve specificare il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo: esso non può eccedere 2 anni dal deposito della sentenza di fallimento. Se, limitatamente a determinati cespiti dell’attivo, il curatore ritiene necessario un termine maggiore, egli deve motivare specificamente le ragioni che giustificano tale maggior termine;
c) il curatore (fermo restando le modalità di vendita indicate nell’art. 107 L.Fall.) può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti o a società specializzate alcune incombenze della procedura di liquidazione dell’attivo
d) il mancato rispetto dei termini previsti dal programma di liquidazione senza giustificato motivo costituisce giusta causa di revoca del curatore
RATEIZZAZIONE DEL PREZZO (ART.11 DEL DECRETO)
Le vendite e gli atti di liquidazione nel fallimento possono prevedere che il versamento del prezzo avvenga mediante una rateizzazione. Per assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati, il curatore effettua la pubblicità (prevista dall’art. 490 c. 1 c.p.c.), almeno 30 giorni prima dell’inizio della procedura competitiva.
Tale norma:
– entra in vigore decorsi 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle specifiche tecniche previste dall’art. 161 quater disp.att. c.p.c. (cfr. art.23 comma 2 del Decreto);
– si applica anche ai fallimenti e ai procedimenti di concordato pendenti alla data del 27 giugno 2015
Alla rateizzazione si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura civile che così dispongono:
– il giudice provvede alla vendita all’incanto (art. 576 c.p.c.) solo quando ritiene probabile che la vendita con tale modalità possa aver luogo a un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene (art. 569 c. 3 terzo periodo c.p.c.);
– il giudice dell’esecuzione, quando fa luogo alla vendita, dispone con decreto il modo del versamento del prezzo e il termine, dalla comunicazione del decreto, entro il quale il versamento deve farsi, e, quando questo è avvenuto, pronuncia il decreto di trasferimento del bene espropriato (art. 574 c. 1 c.p.c.)
– se il prezzo non è depositato nel termine stabilito il giudice dell’esecuzione, con decreto, dichiara la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto (art. 587 c. 1 c.p.c.).
CHIUSURA DEL FALLIMENTO PER RIPARTIZIONE (ART.7 DEL DECRETO)
È stata introdotta una particolare regolamentazione della chiusura della procedura di fallimento per ripartizione dell’attivo. Tale nuova disciplina si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto.
Le modifiche introdotte agli artt.39,43, 118, 120 e 169 della legge fallimentare prevedono quanto segue:
1) la chiusura del fallimento per ripartizione dell’attivo non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio (ai sensi dell’art. 43 L.Fall.); anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato (in deroga all’art. 35 L.Fall.);
2) le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché lesomme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore (secondo quanto previsto dall’art. 117 c. 2 L.Fall.);
3) una volta chiusa la procedura, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono oggetto di riparto supplementare fra i creditori, secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di chiusura (di cui all’art. 119 L.Fall.);
4) in caso di eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento;
5) se alla conclusione dei giudizi pendenti, per effetto di riparti, diventa possibile l’esdebitazione, il debitore può chiederla nell’anno successivo al riparto che ha reso possibile richiederla. Se il fallimento si chiude in pendenza di giudizi il giudice delegato e il curatore restano in carica per effettuare gli adempienti sopra esaminati. In nessun caso i creditori possono agire su quanto è oggetto dei giudizi pendenti.
NUOVO ART.2929-BIS C.C. (ART.12 DEL DECRETO)
Tra le modifiche introdotte dal Decreto merita certamente attenzione anche l’articolo 12, che introduce nel codice civile il nuovo 2929-bis, denominato “Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”.
La norma prevede che “
il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa”.
Il nuovo articolo 2929-bis c.c. esonera in buona sostanza il creditore pregiudicato da un atto del debitore volto a sottrarre beni al proprio patrimonio dall’obbligo di promuovere azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. ove ricorrano determinati presupposti. Tale articolo costituisce indubbiamente uno strumento rilevante per la tutela del credito. La nuova norma impone comunque un’unica condizione per poter avviare questo nuovo procedimento semplificato: i creditori dovranno infatti attivarsi con una certa tempestività e trascrivere il proprio pignoramento entro un anno dalla data in cui l’atto pregiudizievole risulta trascritto. S farne le spese saranno tutti gli istituti solitamente abusati per proteggere indebitamente i patrimoni dei debitori dalle legittime pretese dei creditori.
Prima dell’introduzione dell’art. 2929 bis nel codice civile, l’unico strumento che tutelava i creditori lesi da atti posti in essere dai debitori al fine di sottrarre beni all’esecuzione forzata in spregio a quanto disposto dall’art. 2740 c.c. era l’azione revocatoria.
Oggi invece, pur permanendo in capo al creditore la possibilità di ricorrere all’azione revocatoria, essa non è più indispensabile nel primo anno dalla trascrizione del vincolo o dell’alienazione solo decorso tale termine, il vecchio strumento rimarrà l’unico del quale i creditori potranno avvalersi e l’emanazione di una sentenza dichiarativa di inefficacia dell’atto dispositivo non costituisce più l’unico strumento per consentire la tutela delle ragioni creditorie.
Le conseguenze pratiche, quindi, che il nuovo art. 2929 bis del codice civile porta con sé sono pertanto alquanto rilevanti: al di là della maggiore tutela dei creditori, la nuova disposizione incide soprattutto (e negativamente) sul diritto di difesa del debitore, il quale potrà tutelarsi dall’espropriazione solo attraverso l’opposizione all’esecuzione. Ciò determina, a differenza di quanto avviene in caso di esperimento dell’azione revocatoria, che le spese processuali per l’accertamento della buona fede del debitore dovranno essere anticipate da quest’ultimo e, soprattutto, il rischio che l’immobile eventualmente oggetto di disposizione venga venduto all’asta o debba essere abbandonato dal debitore già nelle more del giudizio di opposizione.
A prescindere dai costi e tempi necessari per sviluppare la procedura di tutela, questa che viene ormai definita una “revocatoria semplificata” impone al creditore di provare due elementi non facili da dimostrare: (i) il c.d. “eventus damni“, consistente nella lesione effettiva e attuale cagionata al diritto di credito, e il c.d. “consilium fraudis“, cioè la consapevolezza da parte del debitore dell’effetto pregiudizievole dell’atto compiuto.
La norma non specifica tuttavia in quali forme debba essere avviata l’azione esecutiva in caso di atti di costituzione di vincoli di indisponibilità, determinando alcuni dubbi interpretativi in relazione ai conferimenti di beni in un trust. Secondo una interpretazione letterale della norma, infatti, lo specifico riferimento ai soli atti di alienazione sembrerebbe escludere che, per gli atti di costituzione di vincoli di indisponibilità (quali tipicamente i conferimenti di beni in un trust), l’esecuzione possa essere eseguita nelle forme dell’espropriazione presso il terzo proprietario. Tale lettura, tuttavia, si scontrerebbe con l’orientamento giurisprudenziale ad oggi assolutamente prevalente per il quale i beni conferiti in un trust,una volta dichiarati inefficaci i relativi atti dispositivi, possono essere aggrediti dal creditore nelle forme dell’espropriazione presso il terzo proprietario (ovverosia il trustee) ex art. 602 c.p.c.
INTEGRAZIONI DELLA DISCIPLINA PENALE FALLIMENTARE (ART.10)
Il Decreto estende l’applicabilità di alcune disposizioni penali (dettate per fallimento e concordato preventivo) all’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e alla convenzione di moratoria.
In particolare è punito con la reclusione da 1 a 5 anni l’imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria, si è attribuito attività inesistenti, oppure, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti.
È poi previsto che in caso di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o in caso di convenzione di moratoria:
1) si applicano le norme che puniscono la bancarotta fraudolenta (art. 223 L.Fall.) e la bancarotta semplice (art. 224 L.Fall.) agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;
2) si applica agli institori la norma generale sui reati dell’institore (art. 227; L.Fall.);
3) si applica ai creditori la norma che punisce le domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni (art. 232 L.Fall.) e quella che punisce il mercato di voto (art. 233 L.Fall.).
De jure condendo, va anche detto che presso la Commissione Rordorf, nell’ambito dell’auspicata introduzione di efficaci procedure di allerta, si sta valutando di modificare la disciplina della bancarotta semplice delle società (art.224 l.fall.), nel senso di ricomprendere in tale fattispecie penale anche le inosservanze degli obblighi di legge inerenti il mancato ricorso alle procedure previste dalla legge in caso di situazioni di crisi o di insolvenza che si verifichi dopo le audizioni previste col Presidente del Tribunale o con l’apposito Organo presso le CCIAA, ove ne consegua un aggravamento del dissesto.
CENNI AL NUOVO REGOLAMENTO UE N.848/2015
È giunto finalmente a conclusione il lungo iter di riforma del precedente Regolamento 1346/2000, di cui si sentiva da un decennio la necessità di sottoporre a revisione.
Fin dal 2012 gli Organi comunitari hanno cominciato ad occuparsi del progetto di aggiornamento della disciplina dell’insolvenza, alla luce del mutato quadro sociale ed economico e delle diverse discipline nazionali che, nel tempo, hanno creato un quadro disomogeneo. A distanza di dieci anni dalla sua entrata in vigore, nel marzo 2012 la Commissione Europea ha infatti avviato una consultazione pubblica sul futuro del Regolamento (CE) n. 1346/2000, in considerazione delle problematiche emerse a seguito della sua applicazione, chiedendo proposte di soluzione. Sulla base degli esiti di tale consultazione, nel dicembre 2012 la Commissione Europea ha riscontrato le seguenti principali criticità in relazione all’applicazione del Regolamento (CE) n. 1346/2000:
– l’esclusione dall’ambito oggettivo di applicazione della normativa delle procedure pre-fallimentari (volte a prevenire il fallimento del debitore), delle c.d. “procedure ibride” che mantengono in carica le dirigenze esistenti e di alcune procedure in materia di insolvenza delle persone fisiche;
– la presenza di difficoltà nell’applicazione concreta del concetto di COMI (“Centro degli Interessi Principali del Debitore“) funzionale alla determinazione dello Stato membro competente per l’apertura della procedura principale d’insolvenza, e l’agevolazione del fenomeno del c.d. “forum shopping“;
– la perdita di controllo da parte del curatore della procedura principale di insolvenza sui beni situati nello Stato membro di apertura della procedura secondaria, rendendo più difficile la vendita dell’impresa insolvente;
– l’assenza di obbligo di pubblicità delle procedure d’insolvenza e d’insinuazione al passivo dei crediti negli Stati membri, così come la mancanza di un registro fallimentare europeo;
– la mancanza di norme specifiche in materia d’insolvenza di gruppi societari multinazionali.
Il Nuovo Regolamento fa inoltre seguito alla Raccomandazione della Commissione europea 2014/135/Ue del 12 marzo 2014, che è stata a sua volta emanata con il duplice obiettivo di incoraggiare gli Stati membri a istituire un quadro giuridico omogeneo che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese in difficoltà finanziaria.
Il Nuovo Regolamento si applica a tutte le procedure di insolvenza che presentino implicazioni transfrontaliere, sia che il debitore sia una persona fisica o giuridica, un professionista o un consumatore. L’ambito della sua applicazione viene inoltre esteso “
a procedure che promuovono il salvataggio delle società economicamente valide ma che si trovano in difficoltà economiche e che danno una seconda opportunità agli imprenditori“, per favorire il salvataggio dell’impresa o del debitore, anticipando la soglia d’intervento; in tal modo risultano comprese anche procedure di pre-insolvenza e soluzioni negoziali o concordate. E questo è una innovazione significativa rispetto a quanto disciplinato dal Regolamento UE 1346/2000.
Non sono disciplinate dal Regolamento, invece, le procedure riconducibili al “diritto societario generale non destinato esclusivamente alle situazioni di insolvenza”, nonché le procedure d’insolvenza “che riguardano le imprese assicuratrici, gli enti creditizi, le imprese d’investimento, nonché altre società, istituzioni o imprese cui si applica la Direttiva 2001/24/CE” e gli organismi d’investimento collettivo, tutte soggette a un regime particolare.
L’allegato A elenca tutte le procedure nazionali di insolvenza che sono disciplinate dal Regolamento. Altro obiettivo è quello di prevenire il forum shopping pretestuoso o fraudolento, con adeguate misure di salvaguardia e disposizioni normative più stringenti.
L’art. 3 definisce ancora la competenza giurisdizionale, prevedendo che “sono competenti ad aprire la procedura d’insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore”: è, questa, la c.d. «procedura principale di insolvenza».
Viene, altresì, più puntualmente definito il COMI, ossia il “luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi“, con alcune specifiche presunzioni relative all’individuazione del COMI per società, persone giuridiche e persone fisiche.
In parallelo a questa procedura principale, inoltre, viene riconfermata la possibilità di aprire una procedura secondaria nello Stato in cui il debitore ha una dipendenza, che ha effetti “limitati ai beni situati in tale Stato“, con la previsione di disposizioni vincolanti di coordinamento tra le due procedure.
Viene creato poi un sistema decentrato di interconnessione dei registri fallimentari (art. 25), per consentire un’adeguata informazione dei creditori sulla situazione patrimoniale dei soggetti: il sistema si compone dei registri fallimentari e del portale europeo della giustizia elettronica (eJustice, attualmente in uso limitatamente ad alcuni Stati membri), “che funge da punto di accesso elettronico centrale del pubblico alle informazioni nel sistema”.
È prevista, inoltre, e questa è una novità rilevantissima, una procedura di insolvenza ad hoc per società facenti parte di un gruppo (capo V, artt. 56 ss.). L’augurio comune che tali principi in ordine al trattamento e alla disciplina sulla crisi di gruppo vengano presto recepite anche nella legge fallimentare italiana, onde favorire processi di risanamento organici e funzionali alla salvaguardia sia della continuità aziendale sia dei valori economici, attuali e prospettici, dei gruppi economici medesimi. Come ben noto, il nostro ordinamento è ancora privo di regole interne. Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (la n.20559 del 2015), non può essere riempita con interpretazioni creative l’assenza nel nostro ordinamento di una disciplina del concordato di gruppo.
NUOVO ART.182-SEPTIES L.FALL. (ART.9 DEL DECRETO)
Il nuovo art. 182 septies L.F. prevede un particolare regime che consente di vincolare ai contenuti dell’accordo di ristrutturazione non solo i creditori finanziari che abbiano sottoscritto l’accordo, ma anche quei creditori finanziari che, pur messi in condizione di partecipare alle trattative, abbiano ritenuto di non aderire all’accordo di ristrutturazione stesso.
La nuova disciplina integrativa degli accordi di ristrutturazione dei debiti si applica esclusivamente:
ai casi in cui l’esposizione dell’imprenditore nei confronti di banche ed intermediari finanziari sia superiore alla metà dell’indebitamento complessivo;
ai crediti ed ai rapporti giuridici di cui sono titolari le banche (sono espressamente fatti salvi i diritti degli altri creditori).
Ispirandosi agli scheme of arrangement inglesi, il Decreto intende superare tale problema in relazione alle ristrutturazioni di debito finanziario, prevedendo che il debitore possa chiedere al Tribunale di estendere gli effetti dell’accordo di ristrutturazione ai creditori dissenzienti, a condizione che i creditori consenzienti detengano almeno il 75% del debito compreso nelle classi rilevanti. Il Tribunale deve accertare che i creditori finanziari dissenzienti siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative che hanno preceduto la conclusione dell’accordo e che siano soddisfatti in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili.
La norma intende risolvere alcuni dei problemi concreti che gli operatori del settore si trovano quotidianamente a fronteggiare nei vari tavoli di ristrutturazione ove con sempre maggior frequenza – si assiste al (più o meno motivato) “defilarsi” di qualche istituto dalle trattative; comportamenti non sempre virtuosi che spesso producono effetti ostativi al raggiungimento dell’accordo stesso e la conseguente necessità per il debitore di adottare scelte concorsuali più invasive e nefaste per la maggioranza del ceto coinvolto.
La conseguenza rilevante di tale previsione è pertanto quella di rendere opponibile e vincolante anche nei confronti di terzi creditori finanziari i contenuti di un accordo contrattuale di cui tal terzi non siano stati parte (o perché sono rimasti “inerti” oppure, come spesso succede, perché hanno abbandonato le trattative in corso d’opera). Si parla pertanto di adesione “coatta” al piano di ristrutturazione. Si potranno tuttavia concepire adesioni coatte con write off forzosi del credito per gli exit lenders? Non sarebbe auspicabile accompagnare tali norme con nuove disposizioni che contemplino efficaci meccanismi di mediazione a livello bancario, sull’esempio di quanto già da tempo presente nell’ordinamento francese?
La nuova disciplina è quindi tale da modificare radicalmente l’equilibrio delle posizioni negoziali nell’ambito delle trattative per la definizione di un accordo di ristrutturazione dei debiti e potrà consentire una chance di successo in più ad una definizione concordata ed in bonis delle crisi aziendali. Peraltro, non è affatto scontato che sia possibile “imporre” l’adesione a tutte le banche dissenzienti: spesso infatti la mancata adesione deriva proprio da situazioni di interesse disallineato e peculiare di alcune banche rispetto alle altre e potranno quindi darsi situazioni in cui non sarà affatto agevole dimostrare che esiste una “categoria” omogenea all’interno della quale il 75% dei crediti ha aderito all’accordo. La difformità delle posizioni e degli interessi nell’ambito del ceto bancario, in situazione di particolare complessità economico-finanziaria, rischia comunque di rimanere l’incumbent principale per il buon esito degli accordi di ristrutturazione.
Ci si domanda inoltre se sia corretto o se fosse assolutamente necessario il richiamo agli artt.1372 e 1411 c.c. contenuto nel primo comma dell’articolo 182 septies. Si potrebbe infatti tranquillamente osservare in realtà che nell’accordo di ristrutturazione con banche non vi è alcuna deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, poiché non si tratta di estendere gli effetti del contratto o di concludere un accordo a favore del creditore non aderente, bensì di applicare sic et simpliciter un principio di maggioranza; principio che il legislatore ben può introdurre laddove vi sia un gruppo di soggetti aventi un comune interesse (solitamente nella gestione di un bene comune): in questo caso appare pertanto del tutto coerente con i principi dell’ordinamento la previsione che la volontà dei più debba prevalere a fronte della volontà della minoranza.
Per l’estensione degli effetti dell’accordo ex art.182-septies l.fall., che avviene come già detto secondo il principio maggioritario (anche se la maggioranza richiesta è qualificata) occorre in ogni caso la presenza di una riunione o adunanza, anche se semplificata e/o priva di qualsiasi controllo giurisdizionale, che deve avere comunque luogo tra creditori della classe e debitore.
A tal riguardo la giurisprudenza di merito (es: Tribunale di Reggio Emilia) ritiene che affinché possa dirsi che vi sono trattative in corso (alle quali i creditori sono chiamati a partecipare), non basta semplicemente che l’imprenditore invii ad essi una lettera o una comunicazione con la quale rappresenta la necessità di procedere alla ristrutturazione del proprio passivo, ma bensì occorra che sia fissato un incontro tra debitore, eventualmente assistito dai propri professionisti, e creditori nel corso del quale vengano illustrate almeno le linee essenziali del piano di risanamento. Solo in tal caso potranno dirsi “avviate” (conformemente al disposto dell’articolo 182-septies secondo comma l.fall.) le trattative per la ristrutturazione del passivo: avvio che costituisce uno dei presupposti per l’estensione dell’efficacia dell’accordo.
In tema di moratoria, la nuova norma dell’art.182-septies l.fall. ha previsto che l’accertamento circa “l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria” sia fatta da un professionista in possesso dei requisiti ex articolo 67 lettera d) della legge fallimentare (con conseguente modifica dell’art.236 bis l.fall. sulle sanzioni penali a carico dell’attestatore).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Il “cantiere” sul diritto fallimentare e sulle procedure di composizione della crisi d’impresa reversibile è ancora in piena attività. Nuove norme si affiancano alle preesistenti, e in attesa che la citata Commissione Rordorf tracci ulteriori e precise deleghe per una riforma (finalmente) organica di tutta la materia le banche italiane sono state chiamate più volte dalle Autorità di vigilanza europee ad abbattere gli stock di crediti deteriorati e di NPL. Il mercato italiano dei NPL è ancora ingessato, anche per lo storico delta tra bid e ask. Il 2016 sarà ancora un anno molto impegnativo, e il tema del destocking delle posizioni a default farà sempre più la differenza sui bilanci delle banche italiane, che dovranno affrontare al contempo numerose sfide in termini di crescita dei margini d’intermediazione, rafforzamento patrimoniale, riorganizzazione ed efficientamento.
Testo del provvedimento
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 7/2016
Tags : 2929 bis c.c., decreto, disciplina, fallimento, modifiche, nuovo, regolamento, rondorf, ue 848/2015