ISSN 2385-1376
Testo massima
LA MASSIMA
Il cd. swap è un puro contratto aleatorio, in quanto si basa sulla “scommessa” che le parti fanno sull’andamento di specifici tassi di interesse individuati in contratto ed a seconda del differenziale concretamente riscontrato tra tali tassi, una delle parti lucrerà la differenza.
Se il meccanismo negoziale è tale da favorire la banca, pertanto, non si può parlare di difetto di causa, in quanto ogni guadagno per il cliente è aleatorio per definizione; qualora, nel proporre un tale prodotto, la banca abbia violato i propri doveri di intermediario finanziario può riscontrarsi una responsabilità precontrattuale dell’intermediario, ma questa non è causa di nullità del contratto.
Il contratto in derivati sarà nullo solo se l’alea non esiste nel senso che un risultato positivo per il cliente è impossibile.
IL CASO
Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Napoli, con la sentenza n.12539 emessa dal Giudice dott. Ciro Caccaviello del 24 settembre 2014.
Trattasi di pronuncia degna di nota per l’attualità delle questioni affrontate, oggetto di vasto contenzioso, in tempi di crisi finanziaria, che pone gli strumenti derivati al centro di un dibattito che spesso travalica i termini della pura giuridicità della questione.
All’origine della vicenda processuale, il rapporto intessuto tra un Istituto di credito ed una società, la quale aveva avuto una ampia operatività in derivati, con ben 12 contratti IRS, venivano regolati sul c/c di corrispondenza del cliente nel quale risultavano accrediti per 592.000 a fronte di addebiti per 1.253.000.
Il procedimento giudiziario prende le mosse dalla citazione proposta dalla società-cliente nei confronti della banca-intermediaria, con la generica contestazione della inadeguatezza-inappropriatezza degli investimenti sottoscritti e conseguente violazione dei relativi obblighi di consulenza nonché con la richiesta di risoluzione giudiziale per asserito inadempimento della banca (che non avrebbe accreditato al cliente gli importi dovuti a titolo di up-front e di mark to market).
Trattavasi, nel caso di specie, di contratti di swap non totalmente speculativi, bensì conclusi al fine di ridurre il rischio della variabilità del tasso d’interesse di un sottostante e connesso contratto di mutuo.
Il Giudice ha osservato come 11 dei 12 contratti in derivati fossero da considerarsi già esauriti, siccome consensualmente risolti (con conseguente inammissibilità della domanda di risoluzione giudiziale) mentre solo uno era in corso di svolgimento e dichiaratamente volto a coprire il rischio – tasso dei contratti di mutuo e leaseback a tasso variabile stipulati dalla stessa cliente con la banca.
Sulla idoneità dello strumento a garantire detta copertura, il Tribunale ha rilevato, riportando le parole del consulente tecnico che “l’interest rate swap è il contratto derivato più efficiente per la copertura contro un rialzo dei tassi d’interesse”; ed ancora che “se la finalità del contratto era la copertura contro un rialzo dei tassi a fronte di un’esposizione debitoria a tasso variabile, la struttura consente una copertura ottimale“, stabilendo così un principio generalizzabile in relazione a tale tipo di operazione.
Il Giudice ha altresì affrontato il problema della nullità del derivato in questione per mancanza di causa e, specificatamente, per mancanza di alea, stabilendo chiaramente che, trattandosi di contratto tipicamente aleatorio, è necessario sempre distinguere tra l’aspetto della convenienza economica (il contratto può essere valido anche se di per sé più favorevole ad una delle parti) e quello della totale assenza di alea. Solo quest’ultima, che si configura quando un risultato favorevole per una delle parti segnatamente per il cliente è tecnicamente e strutturalmente impossibile, determina la nullità del contratto.
Nel caso di specie il Tribunale si è soffermato in maniera ampiamente motivata sul tema della nullità, pur non avendo l’attore nulla dedotto al riguardo (cosicché sarebbe stata impossibile anche la declaratoria d’ufficio di un’eventuale nullità), proprio per notare come la struttura negoziale fosse scevra da vizi attinenti alla causa. Si è in seguito pronunciato, sia sull’assenza di vizi di forma del contratto, sia sulla validità della c.d. dichiarazione di operatore qualificato, concludendo infine per il rigetto della domanda di risoluzione, in virtù sia delle osservazioni svolte sull’aleatorietà, sia delle notazioni del CTU sulla corretta struttura del congegno negoziale.
Per tali ragioni, il Tribunale ha rigettato tutte le domande attoree, con relativa condanna del cliente al pagamento di 15.000,00 euro per le spese processuali, attesa la pacifica infondatezza delle richieste formulate.
IL COMMENTO
Il Tribunale torna a pronunziarsi sulla validità dei contratti di Interest rate swap, affermandone la piena validità sotto il profilo causale, nonché valorizzando gli stessi come “strumento più efficiente per la copertura contro un rialzo dei tassi d’interesse”.
È perfino superfluo notare come, in questo preciso momento storico, di evidente crisi economico-finanziaria, gli strumenti finanziari in questione siano posti sotto la lente d’ingrandimento, avendo comportato spesso, per effetto di un non prevedibile ribasso dei tassi di interessi e, più in generale, in virtù delle cospicue perdite relative a valori mobiliari connessi alle operazioni in derivati, addebiti assai rilevanti per i clienti-investitori.
È la storia dei contratti derivati, tuttavia, a giustificare la rilevanza e/o la necessità di tali strumenti all’interno delle moderne economie di mercato, nel quale il tradizionale strumento “assicurativo”, mezzo di tutela per le incertezze future, è apparso ben presto inadeguato a garantire la copertura dei rischi connessi a complesse operazioni finanziarie, cosicché ben presto sono sorti meccanismi negoziali antesignani dei moderni strumenti derivati volti all’acquisto di derrate alimentari, con copertura dal rischio di ribassi o rialzi della merce dovuti ad accadimenti metereologici tali da influenzare il volume e la quantità del raccolto (1).
È evidente che oggi ci troviamo di fronte a congegni ben più complessi, rispetto ai quali gli ordinamenti si sono posti il problema di fornire una regolamentazione (soprattutto nell’ottica della tutela del contraente debole), pur nella consapevolezza che trattasi di fenomeno che mal si presta ad essere imbrigliato negli schemi negoziali tipici del diritto civile.
Nel nostro ordinamento, in particolare, i derivati hanno trovato una certa “tipizzazione” nell’art.1, comma 2, TUF, laddove il legislatore ha fornito una definizione di “strumenti finanziari”, di tal che si è parlato, a proposito dei derivati, di “contratti atipici nominati” (2).
In altri termini, i contratti derivati non trovano una disciplina positiva generale (applicabile cioè agli stessi al di fuori del contesto del mercato mobiliare-finanziario), ma in virtù del fatto che essi sono “nominati” dal legislatore del TUF, superano assai agevolmente il problema del vaglio di meritevolezza della causa ex art.1322 cc, necessario comunque in quanto trattasi sempre di contratti atipici.
Ed infatti, venendo al tipo di contratto sottoscritto nella sentenza in commento, la giurisprudenza non ha generalmente difficoltà a riconoscere al contratto di interest rate swap una causa lecita e meritevole di tutela, consistente nello scambio di flussi corrispondente al differenziale che, nel tempo di esecuzione del contratto, si determina tra due tassi di interessi differenti e predefiniti, applicati a un capitale nozionale di riferimento, o mira a equilibrare l’oscillazione dei tassi variabili relativi al contratto di mutuo connesso (3).
Tale definizione pare idonea a coprire sia l’IRS stipulato “a copertura”, sia quello meramente speculativo.
In realtà, è rispetto a quest’ultimo che la dottrina è divisa circa la possibilità di riconoscevi tutela, assimilandolo talora alla mera “scommessa”, rispetto alla quale, tuttavia, non si pone tanto un problema di liceità o meritevolezza della causa, bensì di applicabilità o meno dell’art.1933 cc (che prevede la mancanza di azione per il pagamento di un debito di giuoco o di scommessa). Si tratta cioè di stabilire se le obbligazioni nascenti dal contratto di IRS (e più in generale del derivato speculativo) possano o meno trovare tutela coattiva per il creditore che ne esiga il pagamento.
Il problema pare risolto dal legislatore con la previsione espressa dell’art.23, comma 5, TUF, che esclude l’applicabilità dell’art.1933 cc agli strumenti finanziari, rendendo “azionabile” il credito da essi derivante (4) e risolvendo pragmaticamente la questione nell’ambito dei derivati meramente speculativi.
Per la verità non manca qualche Autore che evidenzia nettamente la distinzione tra il derivato speculativo e la mera scommessa, dal momento che lo speculatore compie una scommessa “su basi razionali” e “vince” perché ha avuto una migliore padronanza delle informazioni, diversamente dallo scommettitore per gioco, che pone in essere un contratto privo di alcuna base razionale e “vince” solo in base alla fortuna. Ora, dal momento che il derivato speculativo, fondato su basi comunque razionali, introduce nel sistema “ricchezza informativa” ed a formare un “prezzo del rischio” non vi è ragione per assimilarlo alla mera scommessa, che non immette alcun contributo nel sistema economico-finanziario, essendo basata solo ed esclusivamente sul “caso”.
In questo senso, la meritevolezza dell’operazione e la relativa “protezione” fornita dall’ordinamento (che si traduce nella tutela coattiva del diritto di credito) si ravvisa in quanto la “speculazione” non è affatto una scommessa legata al caso ma è piuttosto legata ad una valutazione oggettiva del rischio (5).
Tale premessa teorica è opportuna per la comprensione del peculiare atteggiamento del legislatore, ex ante, e della giurisprudenza, ex post, di fronte al fenomeno dei derivati.
Nel caso di cui alla pronuncia in esame, ci si trova certamente di fronte ad un contratto non meramente speculativo, bensì legato alla copertura di un rischio (nella fattispecie, ridurre il rischio derivante dalla variabilità del tasso degli altri strumenti finanziari utilizzati dalla società-cliente).
Non si pone, dunque, un problema di carenza dell’elemento causale (ed esula peraltro da quest’analisi la tematica del collegamento negoziale e della relativa individuazione della causa come legata al singolo negozio ovvero da individuarsi nell’operazione complessiva posta in essere dalle parti), giacché la necessità di coprirsi dal rischio dell’oscillazione del tasso variabile (dedotto in altro rapporto intercorrente anche tra le medesime parti) integra di per sé il requisito di meritevolezza ex art.1322 cc, sempre che si vada verso la configurazione della causa in termini “concreti”.
Altra è la questione relativa all’asserita nullità per assenza di “alea”, di tal che, come dedotto dall’attrice, vi sarebbe stato un congegno strutturato in maniera da favorire ab origine la banca, assegnando al cliente tassi, per entità e qualità, difficilmente riscontrabili nella pratica.
La questione, su cui il giudice napoletano ha espresso una chiara e argomentata motivazione, si risolve agevolmente rilevando, in primis, che l’ordinamento non si “preoccupa” della convenienza economica del contratto stipulato tra le parti (cosicché il contratto potrebbe risultare sin dall’inizio più favorevole all’uno od all’altro contraente) ed, in secundis, notando come, in un tipico contratto aleatorio (quale lo swap) potrebbe aversi un caso di nullità solo ed esclusivamente quando l’alea manchi totalmente (o sia meramente “apparente” o “unilaterale”, termini che, tuttavia, mal si prestano come attributi dell’alea, che di per sé non tollera aggettivazioni).
È chiaro infatti che, solo ove il meccanismo negoziale sia architettato in maniera tale da non consentire in alcun caso un risultato positivo per il cliente, potrà aversi effettivamente mancanza dell’alea e, quindi, nullità per carenza dell’elemento causale; viceversa, se il contratto è strutturato inizialmente in maniera favorevole alla banca intermediaria, si resta nell’ambito dell’aleatorietà dei guadagni (possibili in futuro) per il cliente, senza dimenticare che il vantaggio per quest’ultimo potrebbe ben derivare dall’operazione considerata nel suo complesso (se il cliente percepisce il tasso fisso dal derivato e paga il tasso variabile nel contratto di mutuo connesso, è evidente che le perdite ad egli derivanti dal ribasso del tasso variabile nel derivato saranno compensate in una certa misura dallo speculare guadagno nel rapporto di mutuo).
Tutto il problema del contenzioso intermediario-cliente, in questi casi, viene a porsi, dunque, in termini di responsabilità precontrattuale, in quanto l’assenza di vizi propri del contratto e l’impossibilità di risolvere il medesimo per eccessiva onerosità (in virtù dell’aleatorietà del contratto), consente di configurare responsabilità della banca solo ove stante il rispetto degli obblighi formali previsti per la redazione di contratti finanziari questi abbia agito in spregio agli obblighi di informazione propri dell’intermediario (ed in questo caso il TUF pare approntare un articolato sistema di tutela, soprattutto post direttiva MIFID, ancorato intorno alle valutazioni in termini di adeguatezza ed appropriatezza).
Naturalmente, ciò pone in capo al cliente, che intenda agire per il risarcimento (come non è accaduto nel caso della sentenza in commento, ove il cliente agiva per la declaratoria di nullità dei contratti, taluni anche già risolti consensualmente) un preciso onere probatorio (dovrà provare il danno subito, la condotta dell’intermediario, nonché il nesso di consequenzialità tra l’omessa informazione e le conseguenze pregiudizievoli), che sarà ancor più gravoso quando il medesimo cliente abbia rilasciato una (valida) dichiarazione di essere “operatore qualificato”, la quale esonera l’intermediario da una serie di obblighi informativi e valutativi, secondo un principio di graduazione della tutela.
Così configurato, il contenzioso intermediario-cliente si presenta delineato da precisi confini, rispetto ai quali è necessario avere consapevolezza onde valutare i rischi di soccombenza.
La conclusione che se ne può trarre, di ordine generale, è la seguente: la valutazione dell’alea ed il risultato economico prodotto dall’operazione in derivati non vanno mai valutati ex post (6), sulla base del concreto verificarsi di perdite eccessive per il cliente, in quanto queste ultime, da un lato, non incidono sulla validità ab origine del contratto (salvo il caso di assenza di alea, per la verità assai remoto), né valgono di per sé a dimostrare la responsabilità dell’intermediario, come descritta in termini di responsabilità precontrattuale.
Per ogni ulteriore approfondimento, si rinvia alla consultazione della rassegna giurisprudenziale in materia di strumenti derivati, a cura di Ex Parte Creditoris.
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(1) Cfr. F.VITELLI, Contratti derivati e tutela dell’acquirente, Torino, 2013, pp. 1-2;
(2) Cfr. ivi, 20;
(3) Cfr., ex multis, Tribunale di Torino Dott.ssa Silvia Vitro, sentenza n.297 del 24-04-2014, su questa rivista in http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/derivati-irs-la-causa-del-contratto-e-nello-scambio-di-flussi-corrispondente-al-differenziale.html;
(4) A tal proposito va ricordato che la norma trova applicazione solo per i derivati negoziati nell’ambito della prestazione di servizi di investimento, restando per l’area residuale aperto il problema circa la riconducibilità del derivato speculativo alla mera scommessa;
(5) Cfr. E. BARCELLONA, Note sui derivati creditizi: market failure o regulation failure?, in Il Caso.it, II, 200/2010, pp. 3-4;
(6) In tal senso, Tribunale di Torino Dott.ssa Silvia Vitro, sentenza n.297 del 24-04-2014, cit.
Testo del provvedimento
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 500/2014