ISSN 2385-1376
Testo massima
1. LA MASSIMA
La rinegoziazione onerosa dei contratti di interest rate swap trasferisce l’alea interamente sul cliente. Ne deriva un difetto genetico del contratto di swap che è da considerarsi nullo per mancanza di causa in concreto.
2. IL CASO
Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Cosenza, e deciso con sentenza del 18 giugno 2014, una società concludeva nel 2004 un contratto di interest rate swap a carattere c.d. speculativo; dopo poco tempo, data la fluttuazione negativa dei saggi, l’investitore deluso, sollecitato dalla controparte, rinegoziava più volte il contratto di swap, allo scopo di adeguare il nuovo strumento finanziario ad esigenze di copertura e di ridurre, per quanto possibile, l’esposizione debitoria nel frattempo maturata nei confronti dell’intermediario finanziario; da ultimo, l’esito negativo delle rinegoziazioni, che aveva ulteriormente aggravato tale esposizione, spingeva la società a citare in giudizio la banca, chiedendo, per varie ragioni, la restituzione delle somme già pagate e la liberazione dall’obbligo di corrispondere quelle ancora dovute.
3. IL COMMENTO
La sentenza ha accertato la nullità degli SWAP per vizi attinenti alla causa. Nel farlo, tale sentenza ha affrontato una delle questioni più complesse fra quelle che tutt’oggi si agitano in materia: il riferimento è alla qualificazione giuridica degli SWAP e, in stretta connessione a questo primo profilo, alla loro giustificazione causale.
Il contratto di SWAP su tassi d’interessi è l’accordo con il quale le parti di principio, anche se non necessariamente, un investitore ed un intermediario finanziario stabiliscono che, a scadenze periodiche ed eguali per entrambe, ognuna di esse dovrà pagare all’altra gli interessi su una certa somma capitale, detta “nozionale“. Le prestazioni corrispettive, per quanto omogenee fra loro, possono essere diverse, anche di molto, sotto il profilo della loro entità, poiché diverso è il saggio d’interesse applicabile a ciascuna delle parti: di regola, l’uno fisso e l’altro variabile.
Il più delle volte, lo schema di base dell’I.R.S. è integrato da una clausola di compensazione volontaria, in forza della quale, alle scadenze pattuite, solo il contraente di volta in volta tenuto a pagare la somma maggiore eseguirà la prestazione promessa, limitatamente alla differenza fra la somma medesima e quella dovuta dalla controparte. Se, quindi, all’epoca della liquidazione periodica, gli interessi a tasso fisso superano quelli a tasso variabile, il contraente obbligato a pagarli deve versare alla controparte la somma pari alla differenza fra i due interessi nel frattempo maturati; nel caso contrario, invece, il versamento deve essere eseguito dal contraente tenuto a corrispondere gli interessi calcolati in base al saggio fisso.
Il caso deciso dalla sentenza in commento riguarda la possibilità che il derivato presenti un difetto strutturale tale da renderlo inidoneo al perseguimento della sua dichiarata finalità di copertura.
Il Tribunale, invero, ha ritenuto il contratto privo della c.d. causa in concreto, nozione da tempo formulata in dottrina e più di recente affermatasi nel panorama giurisprudenziale, dopo che la Supr. Corte, abbandonando la nozione della causa astratta intesa quale funzione economico sociale, ne ha attribuito ufficiale riconoscimento definendola quale «sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del singolo, specifico contratto, a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto, fermo restando che detta sintesi deve riguardare la dinamica contrattuale e non la mera volontà delle parti» (Cass., 8.5.2006, n. 10490).
Quanto agli swap su tassi d’interesse, nel loro acronimo I.R.S., la loro causa concreta è stata ravvisata, secondo gli interessi riferibili ai contraenti, nella funzione speculativa o di copertura che caratterizza, caso per caso, lo strumento finanziario. Così ragionando, si è giunti alla conclusione che, qualora l’investitore abbia concluso lo swap per soddisfare specifiche esigenze di copertura e quest’ultimo, per come strutturato dall’intermediario finanziario, si presenti quale negozio essenzialmente speculativo, tale contratto debba considerarsi nullo per mancanza di causa in concreto (Trib. Monza, 17.7.2012; Trib. Ravenna, 8.7.2013).
Nello specifico, può dirsi che a prescindere dal tenore delle dichiarazioni contrattuali, la natura speculativa dell’I.R.S. potrebbe essere desunta da taluni dati oggettivi, che si riallacciano al modo in cui le parti hanno di volta in volta inteso strutturare l’operazione finanziaria. A questo fine, l’indice più attendibile sarebbe l’inesistenza, in capo all’investitore, di un debito pregresso che funga da parametro di riferimento per la fissazione del nozionale, il quale, in tale ipotesi, costituirebbe un semplice fattore astratto, posto a fondamento di un’operazione che consente ad entrambi i contraenti di speculare sull’andamento dei tassi d’interesse. Ma, più in generale, si può dire che tanto meno gli elementi dello SWAP, come la durata, il nozionale ed i tassi d’interesse applicabili ai contraenti, si adattano alla situazione debitoria dell’investitore tanto più il contratto, nel suo complesso, assume una connotazione di tipo speculativo.
Si è sostenuto, cioè, che lo SWAP debba ritenersi nullo, per difetto genetico della causa, quando l’intermediario, nel configurare il contenuto del negozio, faccia in modo di assicurarsi, fin dal principio, un risultato a lui favorevole, eliminando, così, quella bilateralità dell’alea che dovrebbe caratterizzare, sotto il profilo strutturale, l’intera operazione finanziaria.
4. ERRONEITÀ DELLA DECISIONE E PRECEDENTI CONTRARI NON RILEVATI
Contro quest’ultima conclusione, sviluppata per tutelare la posizione dell’investitore, è facile obiettare che lo scopo perseguito dai contraenti, sia esso la copertura di un rischio preesistente o la speculazione sull’andamento dei tassi d’interesse, non reagisce sulla struttura dell’accordo, trattandosi, in realtà, di un semplice motivo soggettivo, il quale, secondo i principi, dovrebbe ritenersi estraneo alla giustificazione causale dell’operazione finanziaria.
Al riguardo, infatti, copiosa giurisprudenza di merito ha sostenuto che, in materia di derivati, la causa esiste ed è lecita (recte, meritevole ex art.1322 cc) e va individuata nell’alea accettata dalle parti in relazione allo scambio di due rischi connessi, che, assunti dai due contraenti, derivano dalla vicendevole entità degli importi che matureranno a carico di ciascuno, e quindi dei differenziali che potranno risultare a carico o a favore di ciascuno (ciascuno assume il rischio che il proprio parametro vari in termini a sé sfavorevoli, e favorevoli alla controparte, che quindi risulti a suo carico il differenziale, e non a suo favore) (cfr. ex plurimis Tribunale di Milano, Dott. Francesco Ferrari, 23.06.2014).
Sul punto, anche il Tribunale di Torino, Dott. Silvia Vitro con sentenza del 24.04.2014, ha ritenuto che il contratto di I.R.S. “ha una precisa logica che impedisce di ritenerlo privo di causa, ed è irrilevante che i tassi di interesse stabiliti, in concreto, si siano rivelati lontani da quelli di mercato, rientrando ciò nell’alea tipica del contratto“.
Giova segnalare, inoltre, che un nuovo orientamento giurisprudenziale, è proclivo a ravvisare negli swap, siano essi speculativi o di copertura, negozi provvisti di causa lecita e meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (v., da ultimo, Trib. Verona, 25.3.2013).
Si consideri, che già nel 25 ottobre 2013, il Tribunale di Roma, IX Sez., Pres. Tommaso Marvasi, Est. Giuseppe Russo, ha affermato che “la natura aleatoria dei contratti di swap non è certamente di per sé incompatibile con l’esistenza e la liceità della loro causa anche quando hanno finalità speculative e non di copertura“. Secondo il Tribunale, infatti, il contratto di swap è connaturato astrattamente da una finalità di copertura, salvo il caso in cui si verifichi una impossibilità circa il perseguimento in concreto dello scopo a causa degli esborsi sostenuti dall’investitore nella fase esecutiva del rapporto.
Al riguardo, particolarmente interessante appare la considerazione del Tribunale inerente il profilo probatorio (oggetto di analisi nel infra 5,3): tale impossibilità circa il concreto perseguimento dello scopo “non può certamente desumersi ex post in base ai risultati successivamente prodotti dall’operazione nel corso del rapporto contrattuale“.
5. I PUNTI CRITICI
La sentenza in commento, quindi, appare criticabile per le ragioni che di seguito si espongono.
1. Il Giudice riconosce al contratto di SWAP una “causa mandati” sul presupposto che la banca, nel rapporto con il cliente, non “vende” ma agisce “nell’interesse” dello stesso ed è obbligata ad agire secondo canoni di trasparenza.
Ebbene, alla luce della giurisprudenza di merito sopra riportata, l’assunto non appare condivisibile in quanto il contratto costituisce una scommessa e, secondo la volontà del legislatore, la sua piena rilevanza giuridica, sancita dall’art. 23, comma 5°, del t.u.f., dipende dalla razionalità di tale scommessa. Pertanto, è più corretto affermare che, qualora lo SWAP non sia stato concluso su base razionale, esso sia destinato a cadere nelle maglie dell’art. 1933 cod. civ., ferma restando, in ogni caso, la validità dell’accordo. Per vero, dal disegno codicistico si evince che, in difetto di frode, le scommesse non autorizzate ed affidate agli esiti della sorte, per quanto giudicate immeritevoli di piena tutela giuridica, devono ritenersi valide: se così non fosse, non si spiegherebbe perché il contraente capace, che abbia perso la scommessa, non possa ripetere le somme spontaneamente pagate.
2. Dalle motivazioni della sentenza si evince che il Giudice non ha riconosciuto la qualità di operatrice qualificata dell’attrice nonostante quest’ultima avesse sottoscritto la relativa dichiarazione ex art. 31 Reg. CONSOB 11522/98, lasciando intendere che la complessiva operazione posta in essere dalla banca non fosse adeguata alle caratteristiche del cliente.
Al riguardo, però, sorgono perplessità in quanto tale sentenza finisce per accollare alla banca la prova dell’adeguatezza del derivato alla finalità di copertura, nonostante si tratti di circostanza venuta in rilievo nell’ambito di un’indagine sulla nullità del contratto stesso, coerentemente alla decisione poi assunta, e non già (anche) in quello, in ipotesi concorrente ma pur sempre diverso, di un accertamento della responsabilità dell’intermediario per la violazione della regola di comportamento: ipotesi, quest’ultima, per la quale avrebbe potuto invocarsi l’art. 23, comma 6°, t.u.f., applicabile, come già si evince dal tenore letterale della disposizione «nei giudizi di risarcimento dei danni».
In altri termini, qualora lo strumento derivato fosse realmente risultato, a seguito di istruttoria, inadeguato rispetto alle caratteristiche del cliente intenzionato, in realtà, a mere finalità di copertura e non anche a scopi speculativi il contratto sarebbe stato da intendersi risolto in virtù di un grave inadempimento imputabile alla banca. Invero, l’inadeguatezza dello strumento derivato presuppone comunque la validità del contratto di acquisto dello stesso e, dunque, mai tale violazione potrebbe comportare la dichiarazione di nullità, in quanto il contratto non è da ritenersi come geneticamente viziato.
Inoltre, la circostanza che la società, nel caso di specie, avesse sottoscritto la dichiarazione di operatore qualificato esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche e, pertanto, resta a carico di chi intenda dedurre una discordanza tra la realtà formale e quella sostanziale l’onere della prova (cfr. sul punto Cass. 26.5.2009 n. 12138).
Sicché, alcun dubbio poteva sorgere circa la circostanza che all’attrice potesse essere attribuita la qualifica di operatore qualificato con riferimento ai contratti di interest rate swap sottoscritti nel corso del tempo.
3. Infine, la decisione in commento non appare condivisibile anche per il criterio di valutazione e la regola probatoria di cui la stessa sembra fare applicazione.
Infatti, affinché lo SWAP possa essere dichiarato nullo, si deve accertare, all’esito di una “prognosi postuma“, che le perdite subite dall’investitore sono dipese, anziché da eventi casuali ed estranei al controllo delle parti, dalla concreta configurazione del negozio, la quale, fin dal principio, abbia consentito all’intermediario di sottrarsi alle conseguenze negative di tali eventi. Ed è proprio in ciò che si annida una contraddizione.
Pur immaginando, infatti, che possa essere privo di causa in concreto il contratto in cui l’alea sia in definitiva unilaterale (il concetto di “alea unilaterale” è, di per sé solo contraddittorio), fornire in giudizio la prova che l’intermediario abbia predisposto le pattuizioni in modo da far ricadere unicamente il rischio sulla controparte è ai limiti della probatio diabolica.
Infatti, dipendendo il rendimento dello SWAP dall’andamento di un indice di riferimento esterno (rispetto al quale alcuna delle due parti ha possibilità concreta di incidere al fine di determinarlo in proprio favore) come può pensarsi che l’intermediario, anche quando abbia ancorato il derivato ad un valore che sa essere inconfutabilmente a proprio vantaggio, sia per ciò solo immune dal rischio di un improvvisa variazione dell’indice di senso opposto?
E, al contempo, può dirsi nullo il contratto in cui consapevolmente l’investitore assuma su di sé un sì alto rischio, per il solo fatto che l’intermediario ne assume uno obiettivamente minore?
Ed ancora, le valutazioni operate dall’intermediario al momento della predisposizione del regolamento contrattuale possono essere oggetto di esame ex post, alla luce, cioè della conoscenza dell’effettivo andamento dell’indice di riferimento?
Proprio in tale ottica, la pronuncia in commento si presenta contraddittoria, in quanto, nonostante l’enunciazione del principio secondo cui la valutazione in ordine all’opportunità di sottoscrivere un contratto di INTEREST RATE SWAP dipende dal confronto tra l’andamento storico dei tassi e le previsioni dei loro futuri sviluppi criterio di tipo prognostico il Tribunale, nel caso di specie, si è richiamato agli esiti della consulenza tecnica e, pertanto, da quanto è dato evincere, all’effettivo andamento di tali tassi dalla stessa accertati in relazione al periodo in cui il derivato ha avuto esecuzione.
Se così è, il Giudice ha seguito un criterio obiettivamente incompatibile con il carattere aleatorio, se non del contratto, delle prestazioni con lo stesso scambiate: diversamente ragionando, infatti, si potrebbe finire per ammettere il difetto di causa del contratto di assicurazione rispetto al quale, in data successiva alla sua conclusione, non si fosse verificato l’evento da cui l’assicurato intendeva proteggersi!
Alla luce di tutte queste considerazioni, al di là del fatto che l’intermediario sia stato o meno, nel caso concreto, in qualche misura responsabile delle perdite subite dall’investitore, non può non notarsi come le questioni strettamente collegate all’aleatorietà del contratto non attengano mai al momento genetico del rapporto, ma, semmai, al fisiologico o patologico svolgersi dello stesso, con la conseguenza che il Giudice non dovrà operare un giudizio sulla validità del contratto, ma di responsabilità dell’intermediario, con conseguenze giuridiche diverse dalla declaratoria di nullità, che potranno essere la risoluzione del contratto o il risarcimento dei danni, ove provati dall’interessato.
In conclusione la sentenze è criticabile ed in alcun modo condivisibile anche alla luce dei pregressi orientamenti (Tribunale di Milano, dott. Francesco Ferrari, 23-06-2014 – – Tribunale di Torino, Dott. Silvia Vitro con sentenza del 24.04.2014 e Tribunale di Roma, Pres. Dott. Tommaso Marvasi, Est. Dott. Giuseppe Russo del 25.10.2013) che hanno correttamente evidenziato la causa esiste ed è lecita. Giammai il contratto derivato di swap meramente speculativo può essere privo di causa trattandosi, in ogni caso, di una SCOMMESSA LEGALMENTE AUTORIZZATA.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 403/2014