LE MASSIME
Laddove l’art. 30 c. 6 D.Lvo 58/1998, come integrato dalla legge n. 98/2013, ha esteso ai servizi di investimento di cui all’art. 51 comma 5 lettera a) D.Lvo 58/1998 – cioè quelli aventi ad oggetto strumenti finanziari di negoziazione per conto proprio, vale a dire attività di acquisto e vendita di strumenti finanziari in contropartita diretta – la disciplina prevista dall’art. 30 c. 6 e 7 D.Lvo 58/1998 – cioè l’obbligo, a pena di nullità del contratto, a carico dell’intermediario di inserire nei moduli e nei formulari la menzione della facoltà per il cliente di recedere entro sette giorni – deve ritenersi che una piena interpretazione della suddetta norma non possa che condurre a ritenere che essa si applichi solo ai relativi contratti stipulati a decorrere dal 1.9.2013 e non invece a quelli stipulati prima di tale data.
Sul punto, non è condivisibile l’arresto, di cui alla sentenza n. 7776/2014 della Corte di Cassazione (richiamata per adesione anche dalla sentenza n. 13681/2016), secondo cui il suddetto art. 56 quater L. 98/2013, non avrebbe esplicitamente previsto che per i servizi di investimento in “negoziazione per conto proprio” la disciplina di cui all’art. 30 c. 6 e 7 D.Lvo 58/1998 si applicasse solo ai contratti stipulati a partire dal 1.9.2013, dovendosi pertanto ritenere che tale disciplina si applicasse anche ai contratti stipulati prima di tale data.
Peraltro la Corte di Cassazione, con sentenza a SS.UU. n. 13905/2013 aveva chiarito che l’estensione della disciplina prevista dall’art. 30 D.Lvo 58/1998 si giustificava per il fatto che, anche nei contratti per servizi di investimento diversi da quelli di collocamento in senso proprio, sussisteva l’esigenza di tutelare l’investitore dalla stipulazione di contratti senza adeguata ponderazione, per il fatto che la proposta di tali contratti, proprio perché portata al cliente direttamente al suo domicilio o comunque al di fuori della sede dell’intermediario, era tale da concretizzare un effetto sorpresa, potendosi presumere in tal caso che l’investimento attuato non fosse conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, bensì il frutto di una sollecitazione del soggetto interessato a promuovere la conclusione di tali contratti.
Tale “effetto sorpresa”, giustificante l’estensione della tutela, manca laddove vi siano elementi per ritenere che – a prescindere dal luogo di stipulazione del contratto – la stipulazione del contratto IRS si ponga a valle di una complessa attività negoziale durante la quale è ragionevole presumere che le parti abbiano mantenuto numerosi contatti, al fine di definire i rapporti oggetto della contrattazione, tale per cui deve ritenersi che la stipulazione non sia stata certamente frutto di una decisione non ponderata dell’investitore.
Con il contratto di IRS con funzione di copertura il cliente si mette al riparo dal rischio del rialzo del tasso di interesse su altra posizione debitoria “sottostante” ma, nel contempo, rinuncia all’eventuale vantaggio che gli sarebbe derivato da un eventuale ribasso del suddetto tasso di interesse.
Sicché sussiste una valida funzione (recte: causa) di copertura del contratto di IRS allorquando, a prescindere dalla circostanza che nel caso concreto il contratto di IRS abbia generato differenziali negativi per il cliente:
a) il contratto risulti esplicitamente concluso al fine di evitare il rischio di rialzo del tasso di interesse riguardante altre posizioni detenute dal cliente;
b) sussista un’elevata correlazione tra l’indebitamento sottostante, oggetto della copertura e lo strumento finanziario utilizzato per tale scopo, da individuarsi quando il nozionale dell’IRS (cioè il capitale di riferimento per il calcolo dell’ammontare delle somme che dovevano essere pagate dalla banca e dal cliente secondo i rispettivi parametri) sia corrispondente al capitale dovuto dal cliente per altra posizione, la durata dell’IRS corrisponda a quella del contratto “sottostante” ed il tasso pagato dalla banca nel contratto IRS sia identico al tasso di interesse variabile posto a carico del cliente nel rapporto “sottostante”.
Non sussiste nullità del contratto di IRS per effetto della mancata esplicitazione del valore iniziale del c.d. mark to market ovvero per la circostanza che tale valore fosse negativo per il cliente.
Il cd. mark to market non è l’oggetto del contratto di Interest Rate Swap, posto che, palesemente, oggetto del contratto sono le reciproche obbligazioni delle due parti di pagare l’una all’altra, a seconda dei casi, a scadenze prestabilite, il differenziale sussistente tra due somme, calcolate su un medesimo capitale di riferimento, con applicazione di due determinati parametri differenti per le due parti; ma è il valore che, in ciascun momento della sua esistenza, assume il contratto di IRS, inteso quale costo che un terzo estraneo al contratto è disposto a pagare o chiede di ricevere, a seconda dei casi, per subentrare nel contratto, ovvero quale costo che una delle due parti è tenuta a pagare all’altra o pretende di ricevere da questa per chiudere anticipatamente il contratto.
Il fatto che il mark to market iniziale sia “non par”, cioè negativo per il cliente, in assenza di un up front in compensazione in favore dello stesso, è del tutto irrilevante, posto che un contratto di IRS, stipulato dalla banca per assicurare al cliente l’eliminazione del rischio di subire le conseguenze negative del rialzo dei tassi di interesse relativi alla sua posizione debitoria sottostante, non può che prevedere anche un costo a carico del cliente, costo che si concretizza appunto nel valore per questi negativo del mark to market.
Inoltre, il fatto che nel contratto non sia evidenziato il criterio per la determinazione del valore del mark to market (che come detto è un valore del tutto teorico) e in particolare non siano indicate le curve forward è irrilevante, allorquando dal contratto emergano gli elementi per il calcolo dell’entità dei flussi, necessario per la sua determinazione oggettiva (cioè durata del contratto, date di pagamento, capitale di riferimento, tasso fisso pattuito, regola di computo degli interessi), a prescindere dalla considerazione che un determinato contraente sia tecnicamente in grado oppure no di effettuare il calcolo.
Questi i principi cardine della sentenza n. 2003 del 28 luglio 2020 della Corte d’Appello di Milano, Pres. Rel. Meroni, che ha riformato un provvedimento di primo grado che aveva visto un intermediario soccombere nei confronti di una società in una controversia afferente ad un contratto di Interest Rate Swap.
IL CASO
Nel caso di specie, l’investitore aveva convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano la banca intermediaria, per sentire dichiarare la nullità o l’annullabilità o la risoluzione del contratto quadro e del contratto di Interest Rate Swap, stipulato tra le parti a copertura delle fluttuazioni del tasso di una connessa operazione di leasing finanziario, e, per conseguenza, sentir condannare la banca alla restituzione della somma di € 1.122.099,95, dall’attrice pagati alla controparte a titolo di differenziali originati dal suddetto contratto di IRS, nonché al risarcimento del danno per inosservanza da parte della banca degli obblighi informativi a sui carico.
A seguito di complesso iter argomentativo – ripercorso attraverso i principi riportati in epigrafe – la Corte di Appello di Milano, in totale accoglimento dell’appello proposto, ha respinto la domanda promossa in prime cure dalla società, condannandola a restituire la somma di € 1.311.755,17, con interessi legali ai sensi dell’art. 1284 c. 4 c.c. dal 31.1.2018 sino al saldo effettivo, oltre la condanna al pagamento delle spese processuali.
I PUNTI CONTROVERSI E LE ARGOMENTAZIONI DELLA CORTE D’APPELLO
I punti controversi sui quali la Corte territoriale maggiormente ha dovuto porre la propria attenzione sono stati principalmente due, con motivazioni analiticamente complete e condivisibili.
1) Ratio dell’art. 30 TUF
La Corte d’Appello ha richiamato la sentenza n. 13905/2013 delle Sezioni Unite che, nell’estendere la tutela dell’art. 30 TUF anche a contratti diversi da quelli di collocamento propriamente detti (quindi anche a quelli di negoziazione), ravvisava come finalità della norma quella di evitare che l’investitore, preso alla sprovvista, possa effettuare scelte d’investimento non adeguatamente ponderate per effetto del c.d. “effetto sorpresa”. Su tale presupposto, a prescindere dal luogo di conclusione del contratto, deve escludersi l’effetto sorpresa – e deve quindi escludersi una non idonea ponderazione dell’investimento da parte del cliente – quando la stipulazione del derivato si pone come ultima operazione in una complessa attività negoziale protrattasi nel tempo, durante il quale è ragionevole presumere che le parti abbiano mantenuto numerosi contatti scambiandosi informazioni o sottoscrivendo atti, non importa se in banca, in azienda o al telefono. Circa l’applicazione dell’art. 30 TUF dopo la sua riforma nel 2013 (art. 56 quater L. 98/2013 di conversione del DL 68/2013) – con l’estensione cioè dello ius poenitendi anche ai contratti di negoziazione sottoscritti a decorrere dall’1/9/2013, la Corte si attiene a un’interpretazione letterale della norma, discostandosi apertamente da quelle decisioni della Cassazione che invece le avevano attribuito efficacia retroattiva, applicandola anche a contratti di negoziazione conclusi ante settembre 2013.
2) Causa in concreto (funzione di copertura) e oggetto del contratto
Per la Corte sussiste una causa di copertura quando vi è un’elevata correlazione tra le condizioni del derivato e quelle dell’indebitamento sottostante, come da Comunicazione Consob n. DI/99013791 del 26/2/1999. Su tale presupposto, ai fini della sussistenza di una valida causa di copertura non rileva il livello di tasso fisso pattuito per l’IRS, né la produzione di differenziali negativi anche per importi considerevoli a carico del cliente.
Il mark to market non appartiene all’oggetto del contratto, che va invece individuato “palesemente” nello scambio dei differenziali, essendo il MTM un valore monetario (variabile) teorico dell’IRS, in un qualunque dato momento, intercorrente tra la stipulazione del contratto e la sua scadenza, che esprime l’aspettativa sulla distribuzione futura delle perdite e dei guadagni tra le parti. Per questo è irrilevante l’assenza di un upfront a compensazione del valore iniziale non-par del derivato, valore negativo che rappresenta il costo sostenuto dal cliente per ottenere la copertura dalla banca. Sono irrilevanti, altresì, l’assenza di un criterio di determinazione del MTM – e che “in particolare non siano indicate le curve forward”, poiché gli elementi necessari per la sua determinazione sono esplicitamente già indicati nel contratto: durata, date di pagamento, capitale di riferimento, tasso fisso pattuito, regola di computo degli interessi – e “i cd. dati di mercato (a cui occorre far riferimento), ovvero la curva dei fattori di sconto, impiegata per l’attualizzazione dei flussi monetari futuri attesi e per il calcolo dei tassi forward; tali dati sono però pubblicamente disponibili per mezzo di applicativi, quale l’applicativo Bloomberg”.
Da ultimo va segnalata la circostanza che la Corte ha ritenuto di dover riconoscere alla Banca, il diritto di poter ottenere la restituzione della somma, maggiorata con interessi legali di mora ai sensi dell’art. 1284 c. 4 c.c. che prevede che “se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” dalla data del pagamento e sino al saldo effettivo, in modo da risarcire la Banca dell’esborso effettuato.
Per approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
INTEREST RATE SWAP: valido anche se non prevede il diritto di recesso ex art. 30 TUF
Irrilevanza della sottoscrizione della banca
Sentenza Tribunale Di Torino, Dott. Luca Martinat 20-01-2016 n. 316
SWAP: UNA LIEVE SPROPORZIONE IN FAVORE DELLA BANCA NON FA VENIR MENO LA CAUSA
LA SCOMMESSA È LECITA ANCHE SE IL RISCHIO ASSUNTO DALLE PARTI NON E’ IDENTICO SUL PIANO QUANTITATIVO
Ordinanza | Tribunale di Taranto, dott. Marcello Maggi | 10-03-2015
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