ISSN 2385-1376
Testo massima
“Nell’ipotesi di detenzione di un immobile pignorato in forza di titolo non opponibile alla procedura esecutiva, ai sensi dell’art. 2913 cod. civ. (nella specie preliminare di vendita successivo alla trascrizione del pignoramento del bene), è configurabile, in favore del custode giudiziario autorizzato ad agire in giudizio, un danno risarcibile derivante dall’impossibilità di una proficua utilizzazione del bene pignorato e dalla difficoltà a che il bene sia venduto, quanto prima, al suo effettivo valore di mercato”.
Questo è il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, sezione terza, che con la sentenza n.924 del 16 gennaio 2013 ha deciso, in primo luogo, sull’opponibilità al custode giudiziario e, dunque, alla procedura esecutiva, del possesso del bene acquisito da un terzo per effetto del preliminare di compravendita, nonché del trasferimento della proprietà conseguente alla sentenza ex art.2932 c.c., successivi alla trascrizione del pignoramento.
Nel caso di specie, un custode giudiziario ha agito contro un soggetto che occupava senza titolo l’immobile pignorato, chiedendo la condanna al rilascio dell’immobile e al pagamento dell’indennità per l’occupazione abusiva. Il convenuto affermava di occupare legittimamente l’immobile in virtù di un contratto preliminare di compravendita siglato con il debitore esecutato, contro il quale, proponeva azione ai sensi dell’art.2932 c.c., per conseguire il definitivo trasferimento della proprietà e il risarcimento del danno. Il debitore esecutato, promittente venditore, chiamava in garanzia l’istituto di credito che aveva incardinato la procedura esecutiva immobiliare.
Il Tribunale rigettava la domanda del custode giudiziario e accoglieva, invece, la domanda proposta dal promittente acquirente, trasferendo definitivamente a suo favore la proprietà dell’immobile e condannando il promittente venditore inadempiente, al risarcimento del danno. In appello, la sentenza di primo grado era integralmente riformata.
Ebbene, nella sentenza in commento, la Corte ha precisato che, per effetto dell’art. 2913 cod. civ., il possesso conseguente alla stipula del contratto preliminare di compravendita, successiva alla trascrizione del pignoramento, è un titolo di detenzione che non è opponibile al creditore pignorante e ai creditori che intervengono nell’esecuzione, e, quindi, alla procedura esecutiva, venendo in questione un atto di alienazione di bene sottoposto a pignoramento. La citata disposizione normativa, infatti, è chiara nel sancire l’inefficacia verso il creditore procedente e i creditori intervenuti delle alienazioni del bene pignorato successive al pignoramento stesso. Peraltro, una giurisprudenza consolidata, ha negato all’acquirente a titolo particolare del bene pignorato, la possibilità di svolgere le attività processuali inerenti al suo subingresso nella qualità di soggetto passivo dell’esecuzione, negandogli la legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi (Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703), ad intervenire in via adesiva, essendogli consentita solo l’opposizione di terzo ex art. 619 cod. proc. civ. (Cass. 28 giugno 2010, n. 15400).
Pertanto, nel caso esaminato dalla Corte, il promittente acquirente occupava l’immobile pignorato senza titolo.
La Corte, poi, ha affrontato una seconda questione, relativa alla configurabilità di un danno risarcibile a favore della custodia giudiziaria, causato dall’occupazione abusiva dell’immobile e dall’impossibilità di provvedere alla gestione attiva e alla utile collocazione del bene sul mercato.
A tal proposito, i Giudici di legittimità hanno osservato come il custode giudiziario, quale organo pubblico della procedura esecutiva, agisca per raggiungere le finalità di conservazione e amministrazione nonché per assicurare il buon esito dell’esecuzione con la vendita dei beni.Tali funzioni, però, non vanno intese solo nel senso tradizionale d’incasso dei canoni, ma consistono anche in un’attività di gestione attiva della collocazione del bene sul mercato, con forti analogie rispetto alle attività liquidatorie del curatore fallimentare.
Ebbene, secondo la Corte non vi è dubbio che l’occupazione abusiva di un immobile pignorato frapponga un ostacolo all’utile svolgimento della procedura esecutiva e all’attività del custode, sia rispetto alla vendita forzosa del bene, sia rispetto all’eventuale utilizzazione fruttifera del bene nelle more della procedura.Tale occupazione, infatti, rende estremamente difficile la vendita forzosa e, comunque, determina una rilevante riduzione del valore dello stesso bene.Pertanto, è senz’altro configurabile il risarcimento a favore della procedura esecutiva (e del custode giudiziario, che la rappresenta), da parte del detentore senza titolo dell’immobile pignorato.
In virtù di quanto statuito dall’art. 2912 cod. civ., naturalmente, su tale risarcimento si estende il pignoramento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2313/2010 proposto da:
B.M., D.M.F.
– ricorrenti –
contro
F.R., CUSTODE GIUDIZIARIO NELL’ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE N. presso il TRIBUNALE DI PALERMO AVV. G.F., P.S. (OMISSIS), P.V. (OMISSIS), CASSA RURALE ED ARTIGIANA DEL CORLEONESE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1570/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/11/2008, R.G.N. 1274/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1990, M.P., al quale, nel corso del processo, succedeva G.F. – nella qualità di custode dei beni pignorati, nel 1984, nell’ambito dell’esecuzione immobiliare promossa dalla Cassa Rurale e Artigiana del Corleonese in danno di P.N. – convenne in giudizio D.M.F., quale occupante senza titolo l’appartamento di proprietà del debitore esecutato, per sentirlo condannare al rilascio e all’indennità per l’occupazione dell’immobile.
Il D.M. eccepì di possedere legittimamente l’immobile, in forza di preliminare di vendita stipulato nel giugno 1985 con il P., per l’adempimento del quale aveva proposto domanda ex art. 2932 cod. civ. e propose domanda riconvenzionale di danni nei confronti del P.. Ottenne di chiamare in garanzia quest’ultimo, il quale, a sua volta, ottenne di chiamare in garanzia la CRA del Corleonese.
Riassunto il processo nei confronti degli eredi del P., restati contumaci, e integrato il contraddicono nei confronti di B.M., moglie del D.M. e acquirente dell’immobile insieme al marito, il Tribunale di Palermo: rigettò la domanda del custode giudiziario; rigettò la domanda di garanzia del P. nei confronti della CRA; accolse la domanda riconvenzionale del D.M. nei confronti del P. e condannò gli eredi P. al risarcimento dei danni da determinarsi in separata sede.
2. La Corte di appello di Palermo, accogliendo il gravame proposto dal custode giudiziario, nella contumacia degli eredi P. e della CRA e nel contraddittorio con i coniugi D.M., condannò questi ultimi al rilascio dell’appartamento e ai risarcimento del danno pari a circa Euro 62.500,00, oltre interessi legali (sentenza del 27 novembre 2008).
2. Avverso la suddetta sentenza, i coniugi D.M. propongono ricorso per cassazione con unico motivo.
Il custode giudiziario, S., F. e P.V. – ritualmente intimati – non svolgono difese.
Non svolge difese neanche la CRA del Corleonese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, rispetto alla integrità del contraddittorio, va rilevato che la notifica del ricorso è nulla per la CRA del Corleonese, contumace in appello, essendo stata effettuata presso l’avvocato costituito in primo grado.
1.1. Nonostante si tratti di notifica nulla, per la quale dovrebbe disporsi la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (Sez. Un. n. 10817 del 2008), ritiene il Collegio che tale rinnovazione si risolverebbe in un inutile dispendio di attività processuali e nello svolgimento di formalità superflue, traducendosi, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione, senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
Nella specie, la mancanza di interesse in concreto della CRA emerge dalla circostanza che la domanda di garanzia, avanzata dal debitore esecutato P. nei suoi confronti, è stata rigettata in primo grado e non è stata oggetto del processo di appello (da ultimo, in riferimento alla mancanza di interesse in concreto Cass. n. 298 del 2011).
2. Ai fini che rilevano, la Corte di merito ha riconosciuto il risarcimento del danno chiesto dal custode giudiziario sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono.
Il titolo di detenzione (possesso del bene per effetto del preliminare di acquisto) dei D.M., come il trasferimento della proprietà (pur valida tra le parti), non è opponibile al (creditore procedente) procedimento esecutivo (art. 482 cod. proc. civ. e art. 2913 cod. civ., essendo successivo al pignoramento trascritto dell’immobile.
Nell’ordinamento non c’è l’espresso divieto per il debitore esecutato di cedere la detenzione dell’immobile, essendo solo vietato di concederlo in locazione senza l’autorizzazione del giudice (art. 560 cod. proc. civ.). Ma, dall’ordinamento si ricava (art. 560 c.p.c. prima della modifica del 2005, ed oggi ancora più rigoroso) il divieto di detenere l’immobile fuori dai casi consentiti con autorizzazione e, conseguentemente, il divieto di cederne la detenzione.
Nella specie, il P. possedeva l’immobile senza autorizzazione e non poteva efficacemente trasferire ad altri la detenzione; anzi, dagli atti risultano statuizione opposte da parte del giudice dell’esecuzione, il quale, nel novembre 1989, ha incaricato il custode di richiedere la liberazione dell’immobile al D.M. e poi lo ha autorizzato ad agire in giudizio.
Il custode chiede i danni subiti dalla custodia, e, quindi dai creditori, a causa dell’occupazione; danno derivante dall’impossibilità per i creditori pignoranti, e per essi del custode, di percepire i frutti dell’immobile; danno da riconoscersi sulla base della giurisprudenza di legittimità in tema di occupazione senza titolo di immobile altrui.
3. Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e art. 559 cod. proc. civ.;
oltre che la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e vizi motivazionali in ordine al punto essenziale e decisivo della controversia relativo alla pretesa sussistenza dei presupposti per il risarcimento di ipotetici danni.
Il motivo si conclude con il seguente quesito: “…se la detenzione in forza di titolo di proprietà non opponibile al creditore procedente di un immobile pignorato, configuri o meno un danno risarcibile ipso facto, sulla scorta di presunzioni semplici e anche in assenza di specifica prova di danno, in favore del Custode Giudiziario, nominato ai sensi dell’art. 589 c.p.c. e se, conseguentemente in tali ipotesi in capo al detentore possa configurarsi obbligazione risarcitoria alcuna in favore del Custode”.
Nella parte esplicativa del motivo si sottolinea che la giurisprudenza richiamata dalla Corte di merito, in tema di danno in re ipsa per occupazione abusiva di immobile, presuppone tre elementi (occupazione abusiva o senza titolo, proprietà altrui, impossibilità per il proprietario di conseguirne l’utilità derivante dalla natura fruttifera del bene), che nella specie non sussisterebbero.
Secondo i ricorrente, la custodia giudiziaria non sarebbe assimilabile al diritto del proprietario, non avendo la stessa finalità di utilizzo de bene custodito a scopo produttivo, dovendosi compiere, per conseguire utili, atti incompatibili con lo scopo della custodia giudiziaria. In nessun caso, poi, potrebbe essere ritenuta pari alla piena proprietà del bene e alle facoltà, che il diritto di proprietà attribuisce al titolare, di pieno godimento e di utilizzo a fini redditizi del bene. Inoltre, la detenzione, in forza del preliminare, non poteva considerarsi senza titolo ma, al più, inopponibile alla custodia giudiziaria. Ancora, secondo il ricorrente, lo scopo della custodia giudiziaria sarebbe di conservare il bene e non di porlo a reddito, con conseguente mancanza di configurabilità di un danno in favore della custodia; danno del quale, comunque, mancherebbe la prova in concreto. Infine, il ricorrente sottolinea il paradosso determinatosi, dopo la revoca della custodia e la restituzione del bene al debitore, di dover i proprietari pagare – senza che sia chiaro a chi – per aver detenuto l’immobile di proprietà.
4. Il ricorso va rigettato.
4.1. E’ pacifico che D.M. stipulò con il debitore esecutato (nel 1985) il preliminare di vendita dell’immobile, dopo che il pignoramento (del 1984) dello stesso immobile era stato trascritto – nell’ambito dell’esecuzione immobiliare promossa dalla Cassa Rurale e Artigiana del Corleonese – e divenne possessore e, poi, proprietario dell’immobile, per effetto della separata azione ex art. 2932 cod. civ..
Ma, per effetto dell’art. 2913 cod. civ., tale titolo di detenzione non è opponibile al creditore pignorante e ai creditori che intervengono nell’esecuzione, e, quindi, alla procedura esecutiva, venendo in questione un atto di alienazione di bene sottoposto a pignoramento. Infatti, poichè l’alienazione dei beni pignorati non è nulla, ma inefficace nei confronti della procedura esecutiva, il promissario acquirente di un bene pignorato ben può ottenere la sentenza ex art. 2932 cod. civ., contro i promittente alienante e debitore esecutato che si rifiuti di stipulare il contratto definitivo, ma resta ferma la subordinazione degli effetti dell’alienazione alle ragioni di salvaguardia della garanzia, spettante ai creditori (Cass. 3 maggio 1990, n. 3627; Cass. 29 maggio 1999, n. 5228). E, d’altra parte, sul presupposto della operatività dell’art. 2913 cit., che sancisce l’inefficacia verso il creditore procedente e i creditori intervenuti delle alienazioni del bene pignorato successive al pignoramento, la giurisprudenza di legittimità consolidata ha negato all’acquirente a titolo particolare del bene pignorato la possibilità di svolgere le attività processuali inerenti al suo subingresso nella qualità di soggetto passivo dell’esecuzione, negandogli la legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi (Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703), ad intervenire in via adesiva, essendogli consentita solo l’opposizione di terzo ex art. 619 cod. proc. civ. (Cass. 28 giugno 2010, n. 15400).
In definitiva, non essendo il titolo di detenzione opponibile alla procedura esecutiva, il D.M. è, ai nostri fini, detentore sena titolo dell’immobile.
4.2. E’ pacifico che il custode giudiziario fu immesso nel possesso dei beni (1988) ed ottenne l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ad agire in giudizio per il rilascio e per l’indennità di occupazione (1990).
Autorizzazione che si riferisce all’organo e non alla persona, con la conseguenza che, ove in corso di causa vi sia sostituzione nella custodia, il nuovo custode può intervenire in giudizio, come parte attrice, che rimane sostanzialmente immutata, senza che si renda necessaria una ulteriore autorizzazione de giudice dell’esecuzione;
come riconosciuto dalla giurisprudenza (Cass. 24 marzo 1986 n. 2068; Cass. 12 novembre 1999, n. 12556), nel totale accordo della dottrina.
Secondo la medesima ratio, il proprietario locatore di immobile pignorato è legittimato a promuovere le azioni scaturenti dal contratto di locazione dell’immobile solo se custode, ed agendo nella qualità di custode, risultando la domanda inammissibile se tale qualità di custode non è spesa (Cass. 21 giugno 2011, n. 13587).
E’ riconosciuto in modo unanime dalla dottrina che il custode autorizzato agisce come ausiliare del giudice, quale organo pubblico della procedura esecutiva, per raggiungere le finalità di conservazione e amministrazione e assicurare il buon esito dell’esecuzione con la vendita dei beni.
4.3. Allora, è non corretto e fuorviante l’angolo visuale del proprietario, assunto nella censura, per negare l’esistenza dei presupposti che fondano il risarcimento del danno. A rilevare sono, invece, gli ostacoli che l’occupazione dell’immobile pignorato frappone all’utile svolgimento della procedura esecutiva, sia rispetto al suo compimento con la vendita forzosa del bene, sia rispetto all’eventuale utilizzazione fruttifera del bene nelle more della procedura, o per il tempo bastevole alle esigenze della procedura. E’ indubbio che l’occupazione del bene rende estremamente difficile la vendita forzosa e, comunque, determina una rilevante riduzione del valore dello stesso bene. Nè può rilevare, come invece assume il ricorrente, che sia necessaria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per locare, essendo ovvio che il custode non chiede neanche l’autorizzazione in presenza di un bene occupato.
Considerazioni che assumono tanto maggior peso in un momento, come l’attuale, in cui la conservazione del bene è sempre più intesa in una prospettiva funzionale, come conservazione del valore economico di scambio del bene, come attività volta ad evitare la svalutazione del bene nelle more della procedura e ad assicurare la realizzazione del suo effettivo valore di mercato in sede di vendita. Con una reinterpretazione della funzione del custode, sul piano operativo, che tende a spostarne il baricentro, dall’attività prettamente conservativa o anche di amministrazione nel senso tradizionale d’incasso dei canoni, ad un’attività sostanzialmente di gestione attiva della collocazione del bene sul mercato (con forti analogie con le attività liquidatorie del curatore fallimentare).
La configurabilità dei risarcimento a favore della procedura esecutiva (e del custode giudiziario, che la rappresenta), da parte de detentore senza titolo dell’immobile pignorato, trova nelle suddette ragioni il suo fondamento. Per tutta la durata del processo di esecuzione perdura il diritto dei creditori: a che i proventi della utilizzazione del bene entrino a comporre la somma da distribuire, mentre la tardiva riconsegna impedisce in loro danno una più proficua utilizzazione del bene pignorato; a che il bene sia venduto quanto prima, al suo effettivo valore di mercato, mentre l’occupazione del bene ne rende difficile la vendita e, comunque, ne riduce il valore economico.
Così, come in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (secondo la giurisprudenza costante, Cass. 8 maggio 2006, n. 10498);
così, in caso di occupazione senza titolo di un cespite pignorato, il danno subito dalla procedura esecutiva (dai creditori procedenti) e, per essa, dal custode che la rappresenta, discende dall’impossibilità di una proficua utilizzazione del bene pignorato e dalla difficoltà a che il bene sia venduto quanto prima al suo effettivo valore di mercato. Nè, nella specie, può rilevare l’avvenuta revoca del custode nelle more del giudizio, allegata dai ricorrenti, i quali, comunque, neanche deducono la chiusura della procedura esecutiva.
4.3.1. D’altra parte, al risarcimento quale frutto, si estende il pignoramento ex art. 2912 cod. civ., come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, per i canoni di locazione e per il risarcimento dovuto dal conduttore per la ritardata riconsegna dell’immobile (Cass. 7 gennaio 2011, n. 267; Cass. n. 12556 del 1999, per ampie argomentazioni), andando ad implementare la somma da distribuire (artt. 509, 594 cod. proc. civ.). Ed infatti, oggetto di espropriazione è non il solo valore di scambio del bene, da realizzarsi attraverso la vendita od assegnazione forzata, ma anche il suo valore di uso, per il tempo necessario all’espropriazione o, in alternativa a questa, per il tempo sufficiente a che, mediante l’amministrazione giudiziaria, si producano rendite bastanti a soddisfare i creditori.
4.3.2. Resta da aggiungere che, nella specie, non vengono in questione i criteri di determinazione del danno, essendo il ricorso incentrato solo sulla configurabilità dello stesso.
4.4. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi sulla base del seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi di detenzione di un immobile pignorato in forza di titolo non opponibile alla procedura esecutiva, ai sensi dell’art. 2913 cod. civ. (nella specie preliminare di vendita successivo alla trascrizione del pignoramento del bene), è configurabile, in favore del custode giudiziario autorizzato ad agire in giudizio – quale organo pubblico della procedura esecutiva, ausiliare del giudice – un danno risarcibile, che deriva dall’impossibilità di una proficua utilizzazione del bene pignorato e dalla difficoltà a che il bene sia venduto, quanto prima, al suo effettivo valore di mercato; risarcimento sul quale si estende il pignoramento, quale frutto, ex art. 2912 cod. civ.”.
5. Non avendo gli intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2013.
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 324/2013