In tema di procedure concorsuali, qualora, dopo la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore individuale, si accerti l’esistenza di una società di fatto tra lo stesso imprenditore ed altro o altri soci (ovvero, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, si accerti l’esistenza di altro socio occulto, illimitatamente responsabile), la successiva dichiarazione di fallimento “in estensione” ha natura costituiva ed effetto soltanto ex nunc, in virtù del carattere autonomo che (pur in seno al simultaneus processus) va ad essa riconosciuta.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Cristiano – Rel. Vella, con l’ordinanza n. 34327 del 7 dicembre 2023.
Il caso muoveva dalla dichiarazione di fallimento del resistente, quale titolare dell’impresa individuale, esercente il commercio di autoveicoli, caravan e accessori da campeggio, con successiva estensione del fallimento predetto a carico della società di fatto esistente tra il fallito e altri soci.
Durante le operazioni di inventario fallimentare, alcuni beni privi di immatricolazione, furono ritenuti di pertinenza della società di fatto e non anche della società attuale ricorrente, ritenendo che quest’ultima fosse intervenuta nell’acquisto dei medesimi per interposizione fittizia.
La ricorrente, vistasi rigettare la propria domanda di rivendica dei beni con decisione confermata anche in secondo grado, ha proposto ricorso per Cassazione invocando, nel motivo dichiarato assorbente di tutti gli altri, la nullità della sentenza per violazione del litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., alla luce della L. Fall., artt. 147 e 148, con riguardo alla sopravvenuta declaratoria di fallimento in estensione della società di fatto esistente, non potendo il Fallimento (individuale e pregresso di uno dei soci della s.d.f.) azionare in nome proprio un diritto altrui, cioè quello facente capo asseritamente al Fallimento della società di fatto.
La Suprema Corte, alla luce del principio già menzionato, ha ribadito che “a partire dall’arresto nomofilattico del 2002 è stata disattesa la tesi dell’unitarietà sostanziale tra la procedura concorsuale dell’imprenditore individuale e quella della società di fatto, tanto più che la L. Fall., art. 147, richiede inequivocabilmente una distinta ed autonoma dichiarazione di fallimento della società”. Difatti, è “da questa seconda dichiarazione che originano tutti gli effetti nei confronti del fallito, del creditore e dei terzi, fatta salva la conservazione degli effetti già prodottisi con la prima dichiarazione di fallimento dell’imprenditore individuale, il cui titolo muta, ma solo ex nunc, in fallimento di socio della accertata società di fatto”.
Muovendo da queste premesse giuridiche, gli Ermellini hanno ritenuto non corrette le conclusioni cui era pervenuta la corte territoriale là dove, per un verso, aveva dato atto della piena prova documentale fornita dalla società ricorrente circa l’acquisto dei beni per cui era causa in data successiva al Fallimento individuale e per altro verso aveva assunto- attraverso un’articolata ricostruzione della vicenda in termini simulatori – che la stessa società ricorrente sarebbe stata un soggetto interposto rispetto all’acquisto di quei beni, in capo, però, non già al Fallimento che aveva spiegato la relativa domanda riconvenzionale, bensì al Fallimento della società di fatto, che però non era stato mai parte del giudizio e rispetto al quale non vi era stato alcun contraddittorio.
Per tali motivi, la sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
FALLIMENTO: LA DOMANDA DI RESTITUZIONE DEL BENE IMMOBILE È OPPONIBILE AL CURATORE SE TRASCRITTA PRIMA DELLA SENTENZA DICHIARATIVA
LA RICHIESTA DI RISOLUZIONE DELL’ATTO DI TRASFERIMENTO NON PUÒ ESSERE PROPOSTA SE FONDATA SOLO SU SCRITTURE PRIVATE
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Cristiano- Rel. Abete | 29.11.2023 | n.33167
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