ISSN 2385-1376
Testo massima
L’insolvenza di cui all’art. 5 della L. Fall., costituente il presupposto oggettivo della procedura concorsuale, è quella situazione non transitoria ma funzionale d’impotenza in cui versa l’imprenditore che non può adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni: essa è, dunque, determinata dalla mancanza dei mezzi necessari per effettuare i pagamenti dovuti e dall’impossibilità di procurarsi tali mezzi altrove mediante ricorso al credito.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione Sez. VI, Pres. Di Palma Rel. Acierno, nella sentenza del 16 settembre 2015, n. 18192 in tema di presupposti oggettivi per la dichiarazione di fallimento.
Nel caso di specie l’amministratore giudiziario della società proponeva ricorso in Cassazione avverso il rigetto del reclamo, pronunciato dalla Corte di Appello di Roma, proposto avverso la sentenza di fallimento.
La Suprema Corte si è pronunciata in merito ai presupposti oggettivi della dichiarazione di fallimento affermando che la valutazione dell’insolvenza della società deve riferirsi all’accertamento dell’incapacità di adempimento, comprovato da debiti molto ingenti, nonchè un’esposizione debitoria di considerevole portata: le condizioni economiche devono integrare uno stato irreversibile di dissesto economico-finanziario.
Invero la valutazione deve essere frutto di un’analisi complessiva della situazione economico patrimoniale della società. Su tali presupposti la Corte di Cassazione ha aderito ad una recente pronuncia n. 7252 del 2014 i cui principi sono chiari: “Lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell’imprenditore non è escluso dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell’insolvenza, che è quello rilevante, agli effetti della L. Fall., art. 5, deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio”.
Ebbene, su tali presupposti la Suprema Corte ha rigettato il ricorso considerato che, il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta atteso che l’ammontare dei debiti era pari a euro 845.245 nel 2006 oltre a debiti scaduti per euro 300.000 verso il creditore istante e euro 180.000 per protesti, nonchè un’ulteriore esposizione per l’ammissione allo stato passivo di euro 520.701.
Testo del provvedimento
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