Testo massima
Nei giudizi inerenti la dichiarazione di paternità naturale, non assume rilievo la grande differenza di età che sussiste tra figlio ed il presunto padre naturale, né tanto meno altri elementi quali la dichiarazione del padre di non volersi interessare del minore ovvero la presenza di moglie e di altri figli già adulti.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 15158 dell’11/09/2010.
La Corte ha confermato la decisione già adottata nei primi due gradi di giudizio, nei quali era stata riconosciuta la naturalità del padre (odierno ricorrente), specificando poi che la contrarietà all’interesse del minore può sussistere solo in caso di concreto accertamento di una condotta del preteso padre che giustifichi una dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di prova dell’esistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale.
Tali rischi devono risultare da fatti obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre, tale per cui, neppure l’assenza di affectio da parte del presunto padre, o la dichiarazione di costui, di non voler adempiere i doveri morali inerenti la potestà genitoriale, sono idonei ad escludere l’interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 11947/09 proposto da:
C.P.;
RICORRENTE
contro
M.L., nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore M.F.V.;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n, 163/09 della Corte d’Appello di Catania, emessa il 21.1.09, depositata il 7.2.09;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale per i Minorenni di Catania, con sentenza del 30.4.08, ha accolto la domanda proposta da M.L., nella sua qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore F., nei confronti di C.P. ed ha dichiarato quest’ultimo padre naturale del minore.
Il gravame proposto da C. contro la decisione è stato respinto dalla Corte d’Appello di Catania con sentenza del 7.2.09.
La Corte ha ritenuto che il giudice di primo grado, dotato di ampio potere di valutazione dei mezzi di prova, avesse correttamente fondato il proprio convincimento su di una serie di elementi indiziari (le dichiarazioni rese dalla teste Mu., che aveva confermato che fra la M. ed il C. era intercorsa una relazione sentimentale di non breve durata; le informazioni raccolte in sede di giudizio ex art. 274 c.c., da Commissariato) correlati al comportamento processuale dell’appellante, che aveva rifiutato di sottoporsi al test del DNA.
Ha quindi escluso che la dichiarazione di paternità potesse ritenersi contraria agli interessi del minore in ragione dell’età avanzata del C. e della dedotta sua impossibilità ad intrattenere rapporti familiari col figlio naturale.
C.P. ha chiesto la cassazione della sentenza, con ricorso sorretto da tre motivi, cui la M., nella qualità, ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il PRIMO motivo di ricorso, C.P. denuncia violazione degli artt.269, 202 e 203 cpc, nonchè vizio di insufficiente motivazione della sentenza impugnata. Rileva che la Corte di merito ha fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni della teste S. (madre dell’attrice), che erano inutilizzabili in quanto raccolte dal Giudice tutelare di Ragusa delegato ai sensi dell’art.203 cpc – senza che ai suoi procuratori fossero state comunicate data ed ora di assunzione della prova, e su quelle della teste Mu. che, avendo riferito che la causa della rottura della relazione che lo legava alla M. era stato proprio il suo netto rifiuto a riconoscere il nascituro, smentivano la sussistenza di qualsivoglia suo comportamento diretto a confermare la sua paternità.
Deduce, inoltre, che gli elementi indiziari che, complessivamente valutati, possono essere ritenuti prova della paternità non possono avere ad oggetto esclusivo la relazione fra la madre del minore ed il presunto padre.
2) Col SECONDO motivo, deducendo violazione dell’art. 2729 c.c., nonché vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia fondato la decisione sul suo rifiuto a sottoporsì al test del DNA.
Rileva che, nel caso, attesa la sua età ed il suo status di uomo sposato, padre di tre figli, improvvisamente trascinato in una vicenda delicata in assenza di qualsiasi prova dell’esistenza della relazione con una donna più giovane, il rifiuto era giustificato.
I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, vanno dichiarati inammissibili.
Va in primo luogo rilevato che la sentenza impugnata non fa menzione della teste S., sicchè la censura con la quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia tenuto conto delle dichiarazioni rese da costei è totalmente priva di attinenza alla decisione.
Il C. svolge poi le sue critiche sulla scorta di una non consentita separazione fra gli elementi di prova presuntiva unitariamente valutati dal giudice del merito; afferma, infatti, nel primo motivo, che l’accertamento del rapporto di paternità non può fondarsi solo sull’esistenza di una relazione fra la madre ed il presunto padre e, nel secondo, che, “in assenza assoluta di altri elementì, la prova non può essere tratta neppure dal rifiuto del presunto padre di sottoporsi al test del DNA. Egli pretende, dunque, di isolare ciascuna delle circostanze sulle quali la Corte territoriale ha basato la decisione, assumendo che esse, in sè considerate, non avrebbero potuto condurre all’affermazione della sua paternità, ma dimentica che il giudice d’appello è pervenuto al convincimento espresso esaminandole ed apprezzandole nel loro complesso, e non singolarmente.
I motivi si fondano, pertanto, su una lettura parziale ed arbitraria della sentenza, e tanto basta ad escludere la loro conformità al paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. n. 17125/07).
3) Col TERZO motivo, deducendo violazione dell’art.274 cc, e vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto il riconoscimento non contrario all’interesse del minore (infrasedicenne), nonostante l’enorme differenza di età che da lui lo separa e la sua condizione di uomo sposato, con figli adulti conviventi, che non gli consentirebbe di seguire ed educare il piccolo.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità, la contrarietà all’interesse del minore può sussistere solo in caso di concreto accertamento di una condotta del preteso padre tale da giustificare una dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di prova dell’esistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale. Tali rischi devono risultare da fatti obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre, ed, in mancanza di essi, l’interesse del minore va ritenuto di regola sussistente, a prescindere dai rapporti di affetto che possano in concreto instaurarsi con il presunto genitore e dalla disponibilità di questo ad instaurarli, avendo riguardo al miglioramento obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che ne derivano per il preteso padre (da ultimo,fra molte, Cass. nn. 9300/010, 15101/05).
In detta prospettiva, neppure l’assenza di affectio da parte del presunto padre, o la dichiarazione di costui, convenuto con razione di dichiarazione giudiziale ex art. 269 c.c., di non voler adempiere i doveri morali inerenti la potestà genitoriale, sono state ritenute idonee ad escludere l’interesse del minore: correttamente, pertanto, il giudice del merito ha concluso per l’irrilevanza, a tal fine, delle circostanze allegate dal C..
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.
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