ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di cassazione con sentenza n.117433 ha affermato il principio in base al quale qualora il soggetto costituito in giudizio sia diverso dall’effettivo titolare del diritto e non risulti a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale ex art.75 cpc ovvero ex art. 77 cpc, il giudice ha l’obbligo, in base all’art.182 cpc di rilevarne il difetto, restando attribuita al suo prudente apprezzamento la possibilità della eventuale sanatoria dello stesso.
Pertanto, qualora emerga tale difetto di rappresentanza, né la mancata produzione in giudizio del negozio rappresentativo, né l’eventuale accertata inidoneità di tale atto a conferire una valida rappresentanza processuale possono dar luogo a responsabilità del difensore, spettando all’organo giudiziario sia la verifica della regolare costituzione delle parti, sia la decisione sulla possibilità ed opportunità di sanare le eventuali irregolarità (così che, in ogni caso, l’esito della lite sarà determinato dal difetto di rappresentanza processuale del soggetto costituito in giudizio e non dall’eventuale negligenza del difensore).
A ciò aggiunge la Corte, che – secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr., ad es., Cass. n.272 del 1998; Cass. n. 15031 del 2000; Cass. n.2270 del 2006; Cass. n.21811 del 2006 e, da ultimo, Cass. n.23670 del 2008) il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del “falsus procurator”, specificandosi che tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria, devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli artt.83 e 125 cpc.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al NRG. 25114/’06) proposto da:
AVV. Q.E.;
RICORRENTE
Contro
COOPERATIVA ALFA;
INTIMATA
Avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 815/2005, depositata il 1 settembre 2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 26 giugno 2001 la Cooperativa ALFA proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 175 del 2001 emesso dal Presidente del Tribunale di Chiavari con il quale le si intimava il pagamento, in favore dell’Avv. Q. E., della somma capitale di L. 7.649.320 (oltre interessi e spese del procedimento monitorio), liquidata a titolo di compenso per prestazioni professionali svolte in relazione agli appelli proposti avverso le due sentenze nn. 41 e 42 pronunciate dal vice-pretore di Chiavari il 14 febbraio 1998 con le quali erano state dichiarate inammissibili le domande proposte da essa Cooperativa contro i soci R.C. e S.M., per essere il predetto difensore munito di procura conferitagli dal solo presidente della Cooperativa, e ciò in difformità della previsione al riguardo contenuta nello statuto sociale (che imponeva il conferimento congiunto del mandato in capo al presidente ed al segretario).
In via riconvenzionale la Cooperativa ALFA opponente chiedeva, altresì, la condanna dell’Avv. Q. al risarcimento dei danni per colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c., con domanda limitata all'”an debeatur”. Nella costituzione del professionista opposto, l’adito Tribunale di Chiavari, con sentenza n. 902 del 2002 (depositata il 20 novembre 2002), accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opposto al risarcimento dei danni per il titolo dedotto in giudizio, da liquidarsi in separata sede, oltre che alle spese giudiziali.
Interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte dell’Avv. Q., nella costituzione dell’appellata, la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 815 del 2005 (depositata il 1 settembre 2005), rigettava il gravame, ritenendo destituite di fondamento tutte le censure formulate dall’appellante. In particolare, la Corte territoriale rilevava l’infondatezza della doglianza di accreditare la ritualità della costituzione in giudizio della Cooperativa in persona del solo presidente, e con essa la legittimazione dello stesso presidente al conferimento, in via esclusiva, dello “ius postulandi” al difensore, poichè l’art.32 dello statuto sociale stabiliva che la rappresentanza e la firma sociale spettavano congiuntamente al presidente e al segretario, i quali, perciò, erano abilitati a nominare difensori nelle liti attive e passive riguardanti la società, senza che l’Avv. Q. potesse esercitare tale “ius postulandi” conferitogli in precedenza per altre controversie sociali e senza che l’errore precedentemente commesso potesse convertirsi in causa di giustificazione della reiterazione dello stesso (essendo, oltretutto, inconfigurabili gli estremi di un giudicato esterno).
La Corte distrettuale ravvisava, altresì, che la responsabilità del suddetto professionista era, per l’appunto, riconducibile alla circostanza di aver impostato e condotto l’iniziativa giudiziale in modo microscopicamente errato sotto il profilo del presupposto fondamentale per l’accoglibilità della domanda della Cooperativa, quale quello della capacità processuale e del valido conferimento dello “ius postulandi”, senza trascurare che, poichè nella situazione processuale venutasi a configurare non era ragionevolmente prevedibile un esito favorevole di un ricorso per cassazione, rimaneva irrilevante accertare se l’aver consentito il passaggio in giudicato della decisione sfavorevole fondata sulla menzionata questione processuale fosse attribuibile ad autonoma determinazione della Cooperativa.
Avverso la citata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione l’Avv. Q.E., articolato in quattro motivi, in ordine al quale l’intimata Cooperativa non ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il PRIMO motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art.360 cpc, comma 1, n. 3, – la violazione e falsa applicazione degli artt.1362, 1363 e 1367 c.c. per aver l’impugnata sentenza ritenuto la responsabilità di esso ricorrente sulla base di una non corretta interpretazione dello statuto della Cooperativa, con riferimento all’individuazione dei poteri di rappresentanza della stessa, e per aver, quindi, rilevato che lo stesso ricorrente aveva agito in difetto di una valida procura (ovvero di una procura giudiziale a firma del solo amministratore presidente, e non anche con firma dell’amministratore segretario).
2. Con il SECONDO motivo il ricorrente ha denunciato, ancora ai sensi dell’art.360 cpc comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt.77 e 182 cpc per aver la sentenza impugnata ritenuto responsabile esso ricorrente per la procura rilasciata in modo asseritamente invalido dal solo presidente della Cooperativa, senza che, nella fattispecie, fosse stato esercitato il potere giudiziale di regolarizzazione del supposto difetto di rappresentanza ai sensi dell’art.182 cpc e dovendosi, in ogni caso, addebitare le conseguenze negative di tale difetto di rappresentanza, riflettentesi sulla validità della procura “ad litem”, alla stessa società cooperativa costituita in giudizio.
3. Con il TERZO motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, ai sensi dell’art.360 cpc, comma 1, n.5, per aver deciso senza alcuna considerazione motivazionale in merito al ritenuto danno (sia nell’an che nel quantum) patito dalla Cooperativa quale asserita conseguenza del comportamento di esso ricorrente quale difensore, nonchè – in virtù dell’art.360 cpc, comma 1, n. 3, – per violazione e falsa applicazione dell’art.1460 cc, avendo ritenuto l’inadempimento del mandato da parte sua.
4. Con il quarto motivo il ricorrente ha inteso far valere il vizio di motivazione (art.360 cpc, comma 1, n. 5) per aver l’impugnata sentenza omesso di pronunciarsi sulla richiesta di prova orale di esso appellante, riguardante il punto decisivo alla stregua del quale il Presidente ed il segretario della Cooperativa avevano manifestato la volontà di voler proseguire il giudizio in appello in cui erano rappresentati dallo stesso ricorrente ritenendo la validità della procura conferita dal solo Presidente.
5. Rileva il collegio che, sul piano logico, assume valore preliminare e pregnante l’esame del secondo articolato motivo.
Esso è fondato e deve, pertanto, essere accolto nei termini che seguono.
La Corte di appello di Genova, nella sentenza impugnata, ha essenzialmente ritenuto che l’avv. Q. era incorso nella dichiarata responsabilità professionale (in relazione al disposto dell’art. 2236 c.c.) per aver patrocinato la difesa della intimata società Cooperativa, in due cause celebratesi e definite con sentenza di inammissibilità delle domande dal vice-pretore di Chiavari nel 1998, sulla base di una procura invalidamente conferita perchè attribuita al predetto difensore dal solo presidente della società e non anche dal segretario (in conformità di apposita previsione contenuta nell’art.32 dello statuto sociale), perseverando nel patrocinare gli interessi della società, nelle predette due cause e malgrado la declaratoria di inammissibilità delle domande in prima istanza per la specificata ragione, anche nei due giudizi di appello sulla scorta della procura come originariamente conferita, conclusisi con sentenze di improcedibilità dei gravami.
In sostanza, la Corte territoriale ha rilevato che la responsabilità del professionista non poteva ravvisarsi nel solo fatto di aver “perorato una tesi diversa da quella accolta in sentenza”, ma nel fatto – come già evidenziato – di aver impostato e condotto l’iniziativa giudiziale in modo radicalmente e macroscopicamente errato sotto il profilo di un elementare e fondamentale presupposto dell’accoglibilità della domanda della società Cooperativa, quale quello della capacità processuale e del valido conferimento dello “ius postulandi”.
Osserva il collegio che la ricostruzione operata con riferimento alla rilevata responsabilità professionale dell’avvocato Q. (in relazione alla ritenuta applicabilità dell’art.2236 cc) non si prospetta logicamente rispondente ai principi giuridici sviluppati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento alla disciplina della rappresentanza processuale, del conferimento della procura “ad litem” ed ai limiti dei poteri di controllo e di ingerenza che il difensore deve al riguardo esercitare nei confronti della parte rappresentata in giudizio, con conseguente inconfigurabilità, nella fattispecie, dei presupposti per ravvisare la suddetta responsabilità.
Nel caso in esame, al di là della possibile discutibilità della portata delle norme statutarie in ordine all’individuazione dei soggetti effettivamente legittimati al conferimento della procura (che costituisce oggetto del primo motivo) e della pacifica circostanza che la Cooperativa si era costituita – in precedenti plurimi giudizi – in virtù della procura “ad litem” conferita dal solo presidente (senza alcuna negativa conseguenza processuale), è emerso che, nei giudizi conclusisi con la sentenza di inammissibilità della domanda per difetto di “ius postulandi” dell’avv. Q., questa eccezione era stata formulata “ab initio” dalle controparti (che di identificavano, peraltro, con due soci della medesima società) senza che il giudice investito delle cause avesse adottato appositi provvedimenti (anche interlocutori) al riguardo, disponendo per il loro prosieguo.
Con riferimento a tale eventualità questa Corte (v. Cass. n. 5709 del 1997 e, per riferimenti più generali, Cass. n. 12574 del 2000 e Cass. n. 13688 del 2001) ha già avuto modo di puntualizzare che, nel caso (ad esempio) in cui il soggetto costituito in giudizio sia diverso dall’effettivo titolare del diritto e non risulti a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale in virtù dell’art.75 cpc od ai sensi dell’art.77 cpc (ipotesi che ricomprende, sul piano logico, il caso riconducibile alla questione dedotta nella presente controversia – di portata minore – in cui la rappresentanza processuale di una persona giuridica sia per statuto necessariamente attribuita, in via congiunta, a più soggetti e solo uno di essi abbia, invece, rilasciato la procura), il giudice ha l’obbligo, in base al successivo art.182 cpc (il quale, peraltro, a seguito della legge novellatrice n. 69 del 2009, è stato esplicitamente riferito anche al vizio che determina la nullità della procura al difensore) di rilevarne il difetto, restando attribuita al suo prudente apprezzamento la possibilità della eventuale sanatoria dello stesso; da ciò consegue che, qualora emerga tale difetto di rappresentanza, nè la mancata produzione in giudizio del negozio rappresentativo, nè l’eventuale accertata inidoneità di tale atto a conferire una valida rappresentanza processuale possono dar luogo a responsabilità del difensore, spettando all’organo giudiziario sia la verifica della regolare costituzione delle parti, sia la decisione sulla possibilità ed opportunità di sanare le eventuali irregolarità (così che, in ogni caso, l’esito della lite sarà determinato dal difetto di rappresentanza processuale del soggetto costituito in giudizio e non dall’eventuale negligenza del difensore).
Oltretutto, non può mancarsi di ricordare che – secondo la giurisprudenza di questa Corte assolutamente prevalente (cfr., ad es., Cass. n.272 del 1998; Cass. n. 15031 del 2000; Cass. n.2270 del 2006; Cass. n.21811 del 2006 e, da ultimo, Cass. n.23670 del 2008) – il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del “falsus procurator”, specificandosi che tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria, devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli artt.83 e 125 cpc.
Peraltro, sotto un profilo sostanziale, si evidenzia che, ai sensi dell’art.2384 cc (dettato in tema di società per azioni ed applicabile anche alle società cooperative in forza del rinvio contenuto nell’art.2519 c.c.: cfr. Cass. n.8956 del 2000) le eventuali limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto (il quale ha, peraltro, rilevanza meramente interna) e da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. Nella fattispecie, non essendo rimasta riscontrata quest’ultima circostanza, appare chiaro che se, in base allo statuto, il presidente avesse ritenuto che la procura “ad litem” doveva essere necessariamente conferita al difensore congiuntamente al segretario, egli avrebbe dovuto renderne edotto il mandatario, in modo tale da consentire il rilascio in suo favore di una procura valida e pienamente efficace ai fini di una rituale costituzione in giudizio (del resto si ricorda che la procura è, pur sempre, un atto unilaterale, con l’accollo dei relativi rischi, conseguenti all’esercizio del potere di disposizione, in capo allo stesso autorizzante: cfr., in generale, S.U. n. 22234 del 2009).
Pertanto, qualora il presidente della società cooperativa avesse ritenuto la procura, così come rilasciata originariamente, non validamente conferita sulla scorta delle previsioni statutarie (per come ritenuto con le sentenze di primo grado nei due giudizi definiti dal vice pretore di Chiavari con le sentenze nn. 41 e 42 dei 1998, nonostante tale difetto non fosse stato mai rilevato in altri pregressi giudizi), non avrebbe dovuto autorizzare la proposizione degli appelli, poi dichiarati improcedibili, non potendosi far ricadere – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale – la responsabilità di tale scelta (relativa ad una questione giuridica presumibilmente non univocamente risolvibile e, perciò, anche obiettivamente controvertibile sia avendo riguardo ai precedenti giudizi instaurati sulla base di una procura conferita secondo la stessa modalità che al mancato esercizio dei poteri giudiziali previsti dall’art.182 cpc) sul difensore, nei cui confronti, ove fosse venuto meno il rapporto di fiducia sotteso al contratto di mandato, avrebbe potuto esercitare il potere di revoca della procura (formalizzandola secondo le disposizioni statutarie ritenute effettivamente applicabili).
Oltretutto, bisogna sottolineare che, in generale, il potere certificativo, attribuito al difensore dall’art.83 cpc, comma 3, dell’autografia della sottoscrizione della parte, non si estende alla legittimazione, ai poteri e alla capacità della persona fisica che conferisce la procura in qualità di legale rappresentante di un persona giuridica (cfr. Cass. n. 6815 del 2001 e Cass. n. 5054 del 2003), evidenziandosi, altresì, che il mandato ex art.83 cpc concerne la legittimazione cd. esterna del difensore e non il rapporto interno fra costui e il cliente (cfr. Cass. n. 187 dei 1973).
6. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso (con il correlato assorbimento degli altri), a cui consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa (che dovrà proseguire ai fini della cognizione delle complessive domande riconducibili alla proposta opposizione a decreto ingiuntivo) ad altra Sezione della Corte di appello di Genova che si uniformerà ai principi di diritto precedentemente enunciati e, in particolare, a quello secondo cui non è configurabile la responsabilità professionale dell’avvocato – in relazione alla previsione di cui all’art.2236 cc – nel caso in cui egli abbia rappresentato in giudizio una società cooperativa sulla base di una procura “ad litem” conferita, ai sensi dell’art.83 cpc, comma 3, dal solo presidente di detta società (qualificatosi come legale rappresentante) in presenza di una clausola statutaria limitativa di tale attività mediante la previsione del potere di rilascio di procure in capo allo stesso presidente ma congiuntamente al segretario, senza averne reso edotto il professionista (nei cui confronti non poteva considerarsi opponibile) ed aver autorizzato la prosecuzione del giudizio di appello dopo la dichiarazione di inammissibilità della domanda in primo grado all’esito di un giudizio in cui il giudice, pur a fronte della formulazione della relativa eccezione, non si era avvalso dei poteri contemplati dall’art.182 cpc.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese della presente fase.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 24/2012