LA MASSIMA
La carenza di legitimatio ad processum da parte del difensore deve essere sanata in forza della nuova formulazione dell’art.182 cpc, comma 2, innovata dalla Legge 18 giugno 2009, n.69.
In applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici, anche di natura processuale, detta disposizione obbliga il giudice, in presenza della rilevazione di un vizio della procura (d’ufficio o su eccezione di parte), a provvedere in ordine alla sanatoria dello stesso assegnando un termine perentorio con efficacia ex tunc.
IL CASO
La Procura della Repubblica dopo aver avviato un’azione penale nei confronti dell’avv. GIALLO MARE, ne dava comunicazione al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Il Consiglio successivamente veniva a conoscenza che l’avv. GIALLO MARE, con sentenza del Tribunale, era stato condannato per i fatti in questione.
Per tali comportamento, l’avv. GIALLO MARE veniva sottoposto a procedimento cautelare che si concludeva con la sua sospensione, confermata dal CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE e poi revocata dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati.
Nelle more del procedimento di appello avverso la predetta sentenza penale, detto CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI comunicava al GIALLO MARE l’apertura del procedimento disciplinare.
Il CONSIGLIO DELL’ORDINE, respingeva l’istanza tendente a ottenere la sospensione del giudizio disciplinare sino alla definizione di quello penale, rilevando che esso CONSIGLIO DELL’ORDINE doveva pronunziarsi sulla rilevanza disciplinare di addebiti parzialmente diversi da quelli contestati in sede penale.
Avverso tale decisione, presentava ricorso l’avv. GIALLO MARE.
Il CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE dichiarava inammissibile il ricorso in quanto redatto e sottoscritto esclusivamente dal difensore avv. TIZIO; che però risultava sfornito della procura speciale, la quale mancava sia a margine sia in calce al ricorso medesimo, nè tanto meno era contenuta nella forma notarile in atto separato ed allegato.
LA DECISIONE
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, ha accolto il ricorso; e per l’effetto ha cassato l’impugnata decisione rinviando al Consiglio nazionale forense.
Spiega la Corte come, trova infatti applicazione, ratione temporis, nella vicenda in esame, l’art.182 cpc, comma 2 (come novellato dalla Legge n.69 del 2009), secondo cui “quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione”.
Pertanto, in applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici, anche di natura processuale, detta disposizione obbliga il giudice, in presenza della rilevazione di un vizio della procura (d’ufficio o su eccezione di parte), a provvedere in ordine alla sanatoria dello stesso (con evidente equiparazione della nullità della procura ad litem al difetto di rappresentanza processuale con conseguente sanatoria ad efficacia retroattiva).
IL COMMENTO
La nuova formulazione dell’articolo 182 cpc operata dalla Legge 18 giugno 2009 n. 69, ha introdotto per il giudice e per le parti un termine perentorio per “la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa”, che il giudice deve concedere laddove rilevi “un difetto di rappresentanza, di assistenza, o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore”.
L’art.182 cpc, nella sua nuova formulazione, disciplina cosi due ipotesi di sanabilità dei vizi afferenti la procura alle liti del difensore:
1. il difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, il cui rimedio consiste nella concessione di un termine per “la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti”;
2. il vizio che “determina la nullità della procura al difensore”, il cui rimedio consta nella concessione del termine per la “rinnovazione” della stessa.
La carenza di legitimatio ad processum da parte del difensore deve essere dunque sanata in forza della nuova formulazione dell’art.182 cpc, comma 2, innovata dalla Legge 18 giugno 2009, n.69, con efficacia ex tunc.
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AVV.GIALLO MARE;
RICORRENTE
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
INTIMATI
avverso la decisione n. 82/2011 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 01/06/2011;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vattelapesca comunicava al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vattelapesca l’inizio dell’azione penale nei confronti dell’avv. GIALLO MARE. per i reati di cui all’art.61 cp, n.11 e all’art.640 cp, commessi in (OMISSIS), perchè, con artifizi e raggiri, lo stesso avrebbe indotto in errore NERO VIOLA circa l’effettivo ammontare delle somme a lui dovute a titolo di onorari e spese legali, per un’azione risarcitoria promossa contro la COMPAGNIA ASSICURATIVA, così procurandosi un ingiusto profitto in Euro 40.000,00;
avrebbe il GIALLO MARE, inoltre, con l’aggravante di avere commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera, fatto versare in suo favore, in contanti, la somma di Euro 50.000,00, adducendo che tali erano le spese legali liquidate da essa compagnia per le prestazioni espletate e da espletarsi ed omettendo di informare il NERO VIOLA circa l’effettivo ammontare dell’importo liquidato, a titolo di spese legali, in solo Euro 10.000,00.
L’avv. GIALLO MARE in data 24.5.2005, depositava note illustrative con cui contestava gli addebiti.
Il Consiglio veniva in seguito a conoscenza che l’avv. GIALLO MARE, con sentenza del Tribunale di Vattelapesca, era stato condannato per i fatti in questione, alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, con interdizione dall’esercizio dell’attività professionale per un periodo di 3 anni.
L’avv. GIALLO MARE veniva quindi sottoposto a procedimento cautelare che si concludeva con la sua sospensione, confermata dal CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, con decisione del 22.6-6.12.2006 e poi revocata dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati barese con provvedimento del 19.7.2006.
Nelle more del procedimento di appello avverso la predetta sentenza penale, detto CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VATTELAPESCA comunicava al GIALLO MARE l’apertura del procedimento disciplinare.
All’udienza del 9.12.2009 il CONSIGLIO DELL’ORDINE, mentre preliminarmente respingeva l’istanza tendente a ottenere la sospensione del giudizio disciplinare sino alla definizione di quello penale, rilevando che esso CONSIGLIO DELL’ORDINE doveva pronunziarsi sulla rilevanza disciplinare di addebiti parzialmente diversi da quelli contestati in sede penale al contempo, quanto al primo capo di incolpazione, riteneva censurabile la condotta del professionista che, per conseguire il risultato di farsi riconoscere somme superiori a quelle liquidate dalla compagnia assicuratrice, aveva fatto credere al cliente che il pagamento avveniva ad un inesistente titolo di deposito, per non meglio specificate attività da espletare per poi, invece, mutare unilateralmente la causale, una volta avvenuto l’incasso, e sostenere che questo veniva riferito al diverso titolo di competenze, asseritamente spettantegli anche per future prestazioni.
Presentava ricorso l’avv. GIALLO MARE e il CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, con la decisione in esame depositata in data 1.6.2011, dichiarava inammissibile il ricorso in quanto redatto e sottoscritto esclusivamente dal difensore avv. TIZIO; quest’ultimo risulta però sfornito della procura speciale, mancante sia a margine sia in calce al ricorso medesimo, nè contenuta nella forma notarile in atto separato ed allegato.
Com’è noto il R.D. n.37 del 1934, art.60 prevede espressamente l’assistenza del professionista incolpato da parte di un avvocato iscritto nell’albo speciale di cui al R.D. n.1578 del 1933, art.33 munito di mandato speciale, per cui la sottoscrizione del ricorso innanzi al Consiglio Nazionale Forense da parte soltanto del difensore privo di mandato speciale comporta l’inammissibilità del ricorso medesimo.
L’atto di impugnazione è infatti privo di un elemento essenziale (la procura alle liti) e comporta quindi l’inficiarsi dello stesso e ne determina l’inammissibilità, precludendo ogni esame nel merito.
Ricorre per cassazione l’avv. GIALLO MARE con un unico motivo.
Non ha svolto attività difensiva parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’UNICO motivo di ricorso si deduce violazione dell’art.182 cpc, comma 2, e relativa omessa motivazione, in quanto nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, in via integrativa quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale faccia espresso rinvio ad esse, ovvero allorchè sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale.
L’inconveniente del mancato conferimento di apposita procura speciale per il giudizio dinanzi al Consiglio Nazionale Forense si è verificato in quanto l’avv. TIZIO, che esercita la professione forense esclusivamente in ambito penale e che aveva già difeso l’avv. GIALLO MARE dinanzi al CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI, aveva implicitamente ritenuto applicabile la regola generale dettata in materia di impugnazioni dall’art.571 cpp, comma 3, secondo cui può proporre impugnazione “il difensore dell’imputato al momento del deposito del provvedimento“, nonchè la norma prevista dall’art.613 cpp, comma 2 prevista per il giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, secondo cui “il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente, in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte dell’ultimo giudizio,purchè abbia i requisiti della iscrizione nell’albo speciale della Corte di Cassazione“.
Si aggiunge, che la carenza di legitimatio ad processum da parte del difensore carente di procura speciale poteva e doveva essere sanata in forza della nuova formulazione dell’art.182 cpc, comma 2, innovata dalla Legge 18 giugno 2009, n.69.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Trova applicazione infatti, ratione temporis, nella vicenda in esame, l’art.182 cpc, comma 2 (come novellato dalla Legge n.69 del 2009), secondo cui “quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione“.
Pertanto, in applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici, anche di natura processuale, detta disposizione obbliga il giudice, in presenza della rilevazione di un vizio della procura (d’ufficio o su eccezione di parte), a provvedere in ordine alla sanatoria dello stesso (con evidente equiparazione della nullità della procura ad litem al difetto di rappresentanza processuale con conseguente sanatoria ad efficacia retroattiva).
Censurabile è dunque la decisione impugnata là dove ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’avv. GIALLO MARE.
PQM
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il ricorso; cassa l’impugnata decisione e rinvia al Consiglio nazionale forense.
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