ISSN 2385-1376
Testo massima
Il diritto all’equa riparazione, riconosciuto dall’art.2 della legge 24 marzo 2001 n.89 per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo è configurabile anche in relazione ai procedimenti di esecuzione forzata.
Così si è pronunziata la sesta sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n.16029 del 15/7/2013, confermando il già consolidato orientamento della Corte di legittimità, per cui nel processo esecutivo il diritto del cittadino al giusto processo deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale fermo il correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa.
Il diritto all’equa riparazione spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente se siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui all’art.2 L.24 marzo 2001, n.89, e, dunque, in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata manifestamente infondata.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.R.M e F.G.
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’Appello di Brescia n. 267/11, depositato il 27 dicembre 2011 e non notificato.
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con il conseguente assorbimento degli altri.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 23 settembre 2011, gli esecutati sigg.ri arch. F.R.M. e geom. F.G. (quali eredi del defunto genitore F.A.) adivano la Corte d’Appello di Brescia, sollevando, in via principale, un’eccezione di incostituzionalità e chiedendo, nel merito, il riconoscimento di un indennizzo a titolo di equa riparazione per tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa della durata irragionevole del processo, nella misura di almeno Euro 18.000,00 per danni morali e non patrimoniali, nonchè per l’ammontare di Euro 400.000,00 per danni patrimoniali, o comunque, in altre misure ritenute di giustizia.
Essi, in particolare, con detto ricorso, lamentavano l’irragionevole durata di una procedura esecutiva immobiliare, iniziata nei loro confronti con pignoramento del 6 giugno 1997 ad istanza della alfa s.p.a., creditrice di L. 1.348.321.000, verso il loro defunto padre, di cui avevano accettato l’eredità con beneficio di inventario, e protrattasi per quindici anni.
La Corte adita, con decreto depositato il 27 dicembre 2011 e non notificato, rigettava il ricorso (sul presupposto che gli istanti – quanto al reclamato danno non patrimoniale – non avevano ricevuto alcun pregiudizio dalla protrazione del procedimento esecutivo presupposto e – quanto al danno patrimoniale – per mancanza di idonea prova), condannando gli stessi ricorrenti al pagamento delle spese processuali a favore del Ministero della giustizia, liquidate in complessivi Euro 2.800,00.
Avverso tale decreto hanno proposto ricorso per cassazione i sigg.ri arch. F.R.M. e geom. F.G., articolato in sei motivi.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il PRIMO motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art.112 cpc, in relazione all’art.360 cpc, n.3, nonchè l’omessa motivazione, ex art.360 cpc, n.5, per non aver la Corte territoriale preso in esame l’eccezione di incostituzionalità dedotta in via preliminare attinente alla individuazione del legittimo criterio per la quantificazione dell’indennizzo invocato.
2. Con il SECONDO motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione della L. n.89 del 2001, art.2, punto 1, e degli artt.6, 13 e 41 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, in relazione all’art.360 cpc, n.3, per aver la Corte di merito escluso l’applicabilità di detta normativa al procedimento esecutivo ed, in particolare, alla posizione soggettiva dei debitori esecutati, nonchè l’illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art.360 cpc, n.5, in rapporto alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo sul concetto di processo, nel quale si sarebbe dovuto ricomprendere anche il procedimento di esecuzione, ed alla quale i giudici italiani sono tenuti a conformarsi.
3. Con il TERZO motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione o falsa applicazione della L. n.89 del 2001, art.2, commi 2 e 3, ed art.6 della Convenzione Europea dei Diritti Dell’Uomo, in relazione all’art.360 cpc, n.3, per omesso computo – nella sentenza impugnata – del periodo eccedente il termine ragionevole del processo nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 cpc, n.5, per avere la Corte d’Appello escluso del tutto ogni pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale in conseguenza della durata del procedimento, omettendo ogni determinazione concreta sulla durata complessiva della procedura esecutiva, sulla durata ragionevole del processo, sulla complessità del caso, sullo specifico e concreto comportamento delle parti, sull’operato del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione.
4. Con il QUARTO motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione o falsa applicazione della L. n.89 del 2001, art.2, punto 1, e dell’art. 1 prot. n.1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ove prevede che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”, in relazione all’art.360 cpc, n.3, nonchè l’illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art.360 cpc, n.5.
5. Con il QUINTO motivo i ricorrenti hanno lamentato l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art.6, par. 1, C.E.D.U., con contestuale violazione degli artt.112 e 115 cpc e della L. n.89 del 2001, art.2, commi 1, 2 e 3, il tutto in relazione al disposto di cui all’art.360 cpc, nn.3 e 5, per avere la Corte bresciana, senza preventiva determinazione sulla durata complessiva della procedura esecutiva, sulla durata ragionevole del processo, sulla complessità del caso, sullo specifico e concreto comportamento delle parti, sull’operato del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione, in violazione della regola sul chiesto e pronunciato, escluso ogni danno non patrimoniale in conseguenza del fatto che il prolungamento dei tempi di definizione della procedura, lungi dal rappresentare un danno, aveva arrecato un vantaggio ai ricorrenti. Con la stessa doglianza i ricorrenti stessi hanno inteso far valere l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione congiuntamente alla violazione e falsa applicazione della L.24 marzo 2001, n.89, art.2, comma 2, e dell’art.6, par. 1, C.E.D.U., in rapporto agli artt.2727, 2056, 2057 e 2059 cc, per avere il giudice del merito negato il danno non patrimoniale, disattendendo i principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che riconosce il danno non patrimoniale come effetto che di regola consegue alla ingiustificata durata del processo in via presuntiva e con inversione conseguente dell’onere della prova.
6. Con il SESTO ed ultimo motivo i ricorrenti hanno dedotto l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art.6, par. 1, C.E.D.U., con contestuale violazione degli artt.112 e 115 cpc e della L. n.89 del 2001, art.2, commi 1, 2 e 3, il tutto in relazione al disposto di cui all’art.360 cpc, nn.3 e 5, per avere rigettato la richiesta di danno patrimoniale per mancanza di prova ed in ragione di una asserita rivalutazione degli immobili pignorati nelle more della procedura esecutiva, nonchè in ragione dell’ottenuta momentanea sospensione della vendita degli ultimi lotti, oltre che in virtù del fatto che essi ricorrenti in conseguenza della lungaggine processuale avrebbero conseguito un vantaggio; hanno dedotto, altresì, l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, oltrechè la violazione e falsa applicazione della L.24 marzo 2001, n.89, art.2, comma 2, e dell’art.6, par. 1, C.E.D.U., in rapporto agli artt.2727, 2056 e 2057 cc, in relazione all’art.360 cpc, nn. 3 e 5, per avere il giudice negato il danno patrimoniale.
7. Rileva il collegio che il secondo e terzo motivo – aventi carattere preliminare ed esaminabili congiuntamente siccome strettamente connessi – sono fondati e devono essere accolti per le ragioni che seguono.
La Corte territoriale, con il decreto impugnato, oltre ad aver avanzato dei dubbi circa l’applicabilità della disciplina di cui alla L. n.89 del 2001 alla durata irragionevole riconducibile ai procedimenti esecutivi (in quanto non aventi natura propriamente contenziosa), ha ritenuto che, in ogni caso, si sarebbe dovuto escludere che, nella fattispecie, i ricorrenti avessero subito un pregiudizio – indennizzabile a titolo di danno non patrimoniale – per effetto della protrazione della procedura esecutiva immobiliare nei loro confronti e che, inoltre, gli stessi non avevano offerto alcuna prova in ordine al riconoscimento del prospettato danno patrimoniale.
Opinando in tal senso ed avuto riguardo al profilo del riconoscimento o meno dell’indennizzo per il danno non patrimoniale (costituente oggetto delle due censure in esame), la Corte territoriale ha disatteso l’univoco e condivisibile orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ad avviso del quale il diritto all’equa riparazione, riconosciuto dalla L.24 marzo 2001, n.89, art.2, per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, è configurabile anche in relazione ai procedimenti di esecuzione forzata (cfr., tra le tante, Cass. n.15611 del 2002; Cass. n.5265 del 2003 e, da ultimo, Cass. n.6459 del 2012). A tal proposito si è, infatti, puntualizzato che nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo (come delineato dalla nuova formulazione dell’art.111 Cost.) deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art.24 Cost.; pertanto, anche il debitore esecutato, in quanto parte, è legittimato a richiedere l’indennizzo L.24 marzo 2001, n.89, ex art.2, per l’irragionevole protrarsi del processo esecutivo.
Oltretutto, è risaputo che, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n.89 del 2001, art. 2 citato, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art.2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata.
Del resto, anche il nuovo comma 2 bis, art. 2, L. n.89 del 2001 (introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n.83, art.55, comma 1, lett. a), conv., con modif., nella L. 7 agosto 2012, n.134, ancorchè non applicabile “ratione temporis” nella fattispecie) ha avallato la riportata interpretazione, riconoscendo, ora, espressamente il diritto all’equo indennizzo anche con riferimento al procedimento di esecuzione forzata allorquando la sua durata superi il termine ragionevole di tre anni.
Alla stregua di questi argomenti si profila evidente che i presupposti per richiedere l’equo indennizzo a titolo di danno non patrimoniale sussistevano anche in capo ai due ricorrenti, quali debitori esecutati, che, in quanto tali, avevano diritto alla definizione della procedura esecutiva intentata nei loro confronti in una durata ragionevole, senza illegittime protrazioni della stessa tali da determinare un patema d’animo ed un’incertezza processuale a carico dei soggetti espropriati, idonea a comportare l’insorgenza di un effettivo pregiudizio tutelato dalla L. n.89 del 2001, rimanendo impregiudicata la valutazione di tutti gli elementi contemplati nell’art. 2, comma 2, della citata legge, ai fini dell’accertamento della violazione prevista dal comma 1 del citato articolo (provvedendo – una volta determinata la durata irragionevole della procedura – alla conseguente liquidazione dell’indennizzo riconoscibile sulla scorta degli esatti criteri di computo individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, ovvero di Euro 750,00 per ogni anno di ritardo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e di Euro 1.000,00 per gli anni successivi).
8. Pertanto, alla luce delle complessive argomentazioni svolte, devono essere ritenute fondate la seconda e terza censura del ricorso (con correlato assorbimento delle altre censure, riguardanti questioni dipendenti ed il profilo della ulteriore ed eventuale risarcibilità del supposto danno patrimoniale), cui consegue la cassazione del decreto impugnato ed il rinvio della causa alla stessa Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che si conformerà ai principi precedentemente enunciati e si ripronuncerà sulla domanda di equa riparazione, rivalutando – quanto al riconoscimento del danno non patrimoniale – la documentazione acquisita ai fini della determinazione del periodo effettivo della durata irragionevole del procedimento esecutivo in danno dei ricorrenti, tenendo conto anche di tutti gli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, in modo tale da provvedere alla liquidazione dell’indennizzo agli stessi spettante alla stregua dei parametri poc’anzi ricordati.
Al giudice di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese della presente fase di legittimità del giudizio.
PQM
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013
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Numero Protocolo Interno : 479/2013