ISSN 2385-1376
Testo massima
Con la sentenza in rassegna n. 18843 del 31/10/2012, la corte di Cassazione si è pronunciata in materia di opponibilità alla curatela fallimentare dei pagamenti ricevuti dal fallito a titolo di retribuzioni per prestazioni di lavoro.
Sul punto, la Corte ha enunciato il principio, parzialmente innovativo, secondo cui, una volta che si muova dal presupposto che il diritto del fallito di percepire e trattenere gli emolumenti necessari al mantenimento suo e della sua famiglia sussiste prima ed indipendentemente dal decreto del giudice che ne fissi la misura, non si può affermare l’inefficacia nei confronti del fallimento del pagamento eseguito a mani del fallito da colui che quegli emolumenti è tenuto a corrispondere, sol perchè è mancata l’emanazione del summenzionato decreto.
Secondo la Corte, pertanto, anche in assenza del decreto del giudice delegato, è opponibile alla curatela fallimentare il pagamento effettuato in favore del fallito a titolo di retribuzione per prestazioni di lavoro subordinato e può essere suscettibile di impugnazione al fallimento solamente se, e nella misura in cui, risulti eccedente rispetto al limite fissato dal decreto del giudice delegato.
Alla luce di tali principi, il curatore che intenda agire in giudizio al fine di far accertare la parziale o totale inopponibilità e per conseguire la condanna del solvens in favore del fallimento, ha l’onere di richiedere preventivamente al giudice delegato la pronuncia del decreto previsto dal citato art. 46, comma 2, così da poter poi documentare in causa l’eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore direttamente al fallito rispetto ai limiti fissati in detto decreto.
COMMENTO
La presente decisione non è conforme al più risalente orientamento giurisprudenziale secondo cui, avendo il fallimento diritto di far propri i crediti del fallito per stipendi arretrati oltre il limite di quantità determinato dai bisogni del fallito e della sua famiglia, l’acquisizione potrebbe essere totale se il fallito non abbia chiesto ed ottenuto dal giudice delegato un provvedimento che determini la misura degli alimenti spettantigli (Cass. 1 novembre 1964, n. 2738), sicchè detti emolumenti rientrerebbero nell’attivo fallimentare a meno che il giudice delegato non ne abbia accertato l’occorrenza al mantenimento del fallito o della famiglia, fissando i relativi limiti (Cass. 25 luglio 1986, n. 4758).
La stessa è, invece, in linea con il sentenza n.20325/07 con la quale è stata enunciata la natura meramente dichiarativa e non costitutiva del decreto con cui il giudice delegato, ex art. 46 l. fall. – comma 2, fissa i limiti entro cui i proventi dell’attività lavorativa del fallito, non sono compresi nel fallimento, con la conseguenza, secondo la sentenza in esame, che non può esser dichiarata l’inefficacia dei pagamenti compiuti dal debitore direttamente al fallito prima dell’emanazione del suddetto decreto.
Per effetto di tale percorso giurisprudenziale, con una impostazione più garantista per il fallito, gli stipendi, le pensioni, i salari e gli altri emolumenti percepiti dal lavoratore fallito sono maggiormente tutelati dall’azione di inefficacia ex art.44 legge fallimentare, che potrà essere esperita dal curatore previa emanazione da parte del giudice delegato del decreto che fissi la misura degli emolumenti necessari al mantenimento del fallito e per l’eccedenza del pagamento effettuato dal terzo rispetto ai suddetti limiti stabiliti dal giudice delegato.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8000/2006 proposto da:
ALFA S.P.A.;
RICORRENTE
contro
FALLIMENTO BETA;
INTIMATO
avverso la sentenza n. 1988/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/06/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata in cancelleria il 28 giugno 2005 la Corte d’appello di Napoli rigettò il gravame proposto dalla ALFA S.P.A. contro la pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, ai sensi della L. Fall., art. 44, aveva dichiarato inefficace il pagamento della somma di Euro 18.153,00 eseguito dalla predetta società a titolo di retribuzione per prestazioni di lavoro subordinato in favore della sig.ra BETA, in precedenza dichiarata fallita, ed aveva condannato la stessa società a restituire quella somma al curatore del fallimento.
Nel motivare tale decisione la corte napoletana osservò che, facendo difetto il decreto del giudice delegato col quale, a norma della L. Fall., art. 46, comma 2, avrebbero potuto esser fissati i limiti entro cui i guadagni derivanti dall’attività lavorativa del fallito sono esclusi dal novero dei beni assoggettati al pignoramento collettivo, siffatta esclusione non poteva nella specie operare.
La società Alfa ha proposto ricorso per cassazione, prospettando due motivi di doglianza.
Il curatore del fallimento non ha svolto difese in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente, col PRIMO MOTIVO, lamenta la violazione della L. Fall., art.46, comma 1, n. 2, poichè sostiene che – contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello – il diritto del fallito di conservare per sè i proventi della propria attività lavorativa, entro i limiti necessari al mantenimento suo e della sua famiglia, sussiste prima ed indipendentemente dal decreto col quale il giudice delegato provveda a determinarne la misura.
La circostanza che tale decreto non sia stato emesso, nel caso in esame, non implicherebbe perciò che le retribuzioni corrisposte alla fallita sig.ra Beta potessero essere considerate senz’altro di pertinenza del fallimento, e che pertanto il relativo pagamento operato dalla società datrice di lavoro fosse inefficace, ma avrebbe semmai comportato il dovere per il tribunale d’individuare se, ed eventualmente entro quali limiti, quei pagamenti avevano in concreto ecceduto le necessità alimentari della fallita.
2. Col SECONDO MOTIVO, riferito ad un preteso vizio d’integrità del contraddittorio ed all’assenza di motivazione dell’impugnata sentenza sul punto, la ricorrente si duole del mancato accoglimento della sua richiesta di chiamare in giudizio la fallita sig.ra Beta personalmente, assumendo che la partecipazione di costei alla causa sarebbe stata indispensabile.
3. L’esame del secondo motivo di ricorso è logicamente preliminare.
La censura è, tuttavia, infondata. Contrariamente a quanto sostiene la società ricorrente, la corte d’appello, sia pure in termini che avrebbero potuto essere più chiari, non ha ignorato l’eccezione concernente la mancata partecipazione personale della fallita al giudizio vertente sulla sottrazione al fallimento dei proventi dell’attività lavorativa destinati al mantenimento della stessa fallita e della sua famiglia. In tal senso va letto il passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza in cui si fa cenno al fatto che il suindicato giudizio è stato instaurato (si sottintende: correttamente e senza necessità di altri contraddittori) nei confronti del soggetto che, avendo effettuato il pagamento della cui opponibilità alla curatela si discute, è passivamente legittimato a subire gli effetti di tale inopponibilità e quindi ad esser condannato a reiterare il pagamento in favore della stessa curatela del fallimento.
Affermazione, questa, che appare del tutto condivisibile: posto che tanto il petitum quanto la causa petendi dell’azione proposta dal curatore riguardano esclusivamente l’inefficacia del summenzionato pagamento e la conseguente pretesa di condanna dell’odierna ricorrente a versare di nuovo la medesima somma a mani del curatore del fallimento. Sia quanto all’accertamento dell’inefficacia relativa del pagamento, sia quanto alla domanda di condanna, il rapporto processuale fa capo unicamente al fallimento, dal lato attivo, e, dal lato passivo, alla società ALFA, che quel pagamento effettuò e nei cui confronti quella condanna è stata richiesta. La circostanza che la fondatezza delle proposte domande possa, in tutto o in parte, dipendere dall’accertamento incidentale del diritto della fallita a beneficiare personalmente della totalità o di una frazione degli emolumenti dovuti per le sue prestazioni lavorative non fa di lei un contraddittore necessario in questa causa.
4. E’ invece fondato il PRIMO MOTIVO di ricorso.
Il collegio non ignora il risalente orientamento giurisprudenziale secondo cui, avendo il fallimento diritto di far propri i crediti del fallito per stipendi arretrati oltre il limite di quantità determinato dai bisogni del fallito e della sua famiglia, l’acquisizione potrebbe essere totale se il fallito non abbia chiesto ed ottenuto dal giudice delegato un provvedimento che determini la misura degli alimenti spettantigli (Cass. 1 novembre 1964, n. 2738), sicchè detti emolumenti rientrerebbero nell’attivo fallimentare a meno che il giudice delegato non ne abbia accertato l’occorrenza al mantenimento del fallito o della famiglia, fissando i relativi limiti (Cass. 25 luglio 1986, n. 4758).
La più recente giurisprudenza di questa corte ha però avuto modo di chiarire la natura soltanto dichiarativa del decreto col quale il giudice delegato, a norma della L. Fall., art. 46, comma 2, fissa i limiti entro cui i proventi dell’attività lavorativa del fallito, in quanto necessari al mantenimento suo e della sua famiglia, non sono compresi nel fallimento; con la conseguenza che non può esser dichiarata l’inefficacia dei pagamenti compiuti dal debitore direttamente al fallito prima dell’emanazione del decreto (Cass. 27 settembre 2007, n. 20325). Rafforza il riconoscimento della natura meramente dichiarativa del suddetto decreto – destinato ad individuare i limiti quantitativi di un diritto che ad esso preesiste la ripetuta attribuzione al decreto medesimo di un’efficacia retroattiva (si vedano Cass. 2 settembre 1995, n. 9268, e Cass. 30 luglio 2009, n. 17751).
E’ al ben motivato orientamento espresso dalla citata sentenza n.20325/07 che il collegio ritiene di dover dare qui continuità, con la sola precisazione che, a differenza di quanto era accaduto nel caso esaminato da detta precedente sentenza, in cui il decreto del giudice delegato era intervenuto in un momento successivo a quello del pagamento effettuato dal terzo a mani del fallito, qui dall’impugnata sentenza sembra doversi desumere che un analogo decreto non sia mai stato pronunciato. Ciò non può giustificare, tuttavia, una conclusione diversa. Volta che, infatti, si muova dal presupposto che il diritto del fallito di percepire e trattenere gli emolumenti necessari al mantenimento suo e della sua famiglia sussiste prima ed indipendentemente dal decreto del giudice che ne fissi la misura, non si può affermare l’inefficacia nei confronti del fallimento del pagamento eseguito a mani del fallito da colui che quegli emolumenti è tenuto a corrispondere, sol perchè è mancata l’emanazione del summenzionato decreto. Quel pagamento può essere considerato inopponibile al fallimento solamente se, e nella misura in cui, risulti eccedente rispetto al limite fissato dal decreto del giudice delegato. Ma ciò implica che, in simili casi, per poter fondatamente agire al fine di far accertare la parziale o totale inopponibilita e per conseguire la condanna del solvens in favore del fallimento, il curatore ha l’onere di richiedere preventivamente al giudice delegato la pronuncia del decreto previsto dal citato art.46, comma 2, così da poter poi documentare in causa l’eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore direttamente al fallito rispetto ai limiti fissati in detto decreto. Onere che, nel caso di cui qui si discute, non risulta sia stato adempiuto.
5. L’impugnata sentenza, alla luce del principio di diritto ora enunciato, va quindi cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti, è possibile decidere senz’altro la causa nel merito rigettando la domanda proposta dal curatore del fallimento nei confronti della società Alfa.
6. La circostanza che l’orientamento giurisprudenziale cui ci si è attenuti nel decidere sul ricorso si sia sviluppato in epoca successiva alla proposizione dell’azione, induce a compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.
PQM
La corte rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda giudiziale proposta dal curatore del fallimento della sig.ra Beta nei confronti della Alfa s.p.a., con compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
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Numero Protocolo Interno : 73/2012