ISSN 2385-1376
Testo massima
In caso di conflitto tra il coniuge, titolare del diritto di abitazione, oltre che dell’uso dei mobili che l’arredano, a seguito del decesso del de cuius, ex art. 540, II co. cc, e la figlia comproprietaria, pur se convivente, deve attribuirsi prevalenza al primo. Il diritto di abitazione infatti è attribuito soltanto al coniuge. La figlia comproprietaria può agire per lo scioglimento della comunione ex art. 1111 cc ed ottenere così la liquidazione della quota, ma sempre facendo salvo il diritto reale di abitazione.
Tanto ha stabilito il Tribunale di Taranto, in persona del dott. Claudio Casarano, con l’ordinanza ex art.702 bis cpc del 5 novembre 2013, n.2577, decidendo sul ricorso presentato nelle forme del procedimento sommario di cognizione dal coniuge titolare del diritto di abitazione sulla casa coniugale ex art. 540, co.2 cpc, a seguito del decesso del marito, nei confronti della figlia, per ottenere il rilascio dell’immobile occupato da quest’ultima quale sua ospite.
La ricorrente deduceva che la convivenza con la figlia, che non aveva mai provveduto agli oneri gravanti sull’abitazione nonostante fosse da tempo autonoma economicamente, era divenuta intollerabile.
Da parte sua, la figlia resistente eccepiva l’impossibilità dell’esclusione dal godimento dell’abitazione famigliare, compatibilmente con la sua destinazione, attesa la proprietà pro quota del bene ed il conseguente compossesso. Asseriva inoltre che tale compossesso non poteva essere “azzerato” dal diritto di abitazione ex art.540, comma 2 cc, non potendosi equiparare la propria situazione soggettiva a quella del nudo proprietario, come tentava di fare la ricorrente.
Il ragionamento condotto dall’Organo giudicante per risolvere la controversia è quanto mai lineare.
Premesso anzitutto che non possa mettersi in discussione la ricorrenza del diritto di abitazione ex art. 540, comma 2 cc, in capo alla ricorrente, quale coniuge del de cuius, il punto da chiarire è se possa estendersi tale diritto fino al punto da prevalere sul compossesso, pro quota, spettante alla figlia convivente.
La risposta a tale quesito è netta: nel conflitto tra il coniuge del de cuius e la figlia comproprietaria, pur se convivente, deve prevalere necessariamente il diritto di abitazione del primo.
Ciò in quanto la legge garantisce in via esclusiva al coniuge superstite il diritto alla conservazione dell’abitazione famigliare e, solo di riflesso, accorda analoga tutela ai figli minorenni e maggiorenni non autosufficienti.
Trattasi, peraltro, di titolarità di un diritto reale (e non del “diritto personale atipico” garantito al coniuge divorziato, che perdura solo fino a quando vi sia la necessità di tutelare la prole), con due conseguenze importanti:
1. non è necessaria la trascrizione per l’opponibilità ai terzi (salvo che si tratti di bene ipotecato prima del sorgere del diritto di abitazione), in quanto il diritto viene acquisito al patrimonio per effetto di un legato ex lege;
2. il diritto non viene meno neanche con lo scioglimento della comunione.
Se il conflitto, come nel caso di specie, tra il coniuge e la figlia maggiorenne autosufficiente, non può che essere risolto in favore del primo, quale rimedio resta alla seconda per far valere il compossesso, pro quota, ad essa spettante?
Al riguardo, il Tribunale afferma che la soluzione va individuata nella possibilità di promuovere azione per lo scioglimento della comunione ex art.1111 cc, al fine di ottenere la liquidazione della propria quota. Tale azione, tuttavia, non andrà ad elidere il diritto di abitazione del coniuge, che sarà fatto salvo, fermo restando che il valore ad esso attribuito inciderà sulla determinazione della quota spettante a ciascun comproprietario.
Tale argomentazione conduce ad affermare che l’attribuzione del diritto di abitazione ex art.540, comma 2 cpc si configura quale deroga al principio generale dettato dall’art.1102 cc in tema di comunione, secondo il quale “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto [
]”.
Secondo il Giudice, infatti, sostenendo diversamente si dovrebbe garantire, nel caso di specie, anche all’altro figlio, comproprietario ma non convivente, l’uso della cosa comune.
In conclusione, può assumersi, alla luce di quanto esposto, che la pronuncia in esame non si limita solo a formulare una chiara regola per risolvere il conflitto tra coniuge del de cuius e figlia convivente sul godimento della casa familiare, ma ben evidenzia, in termini generali, le peculiarità di un tale tipo di comproprietà rispetto alla disciplina della comunione di cui agli artt. 1100 cc e ss.
In particolare, nel disporre la condanna della figlia al rilascio immediato dell’immobile, il Tribunale ha avuto modo di precisare come la situazione giuridica soggettiva in capo a quest’ultima si presenti come una forma di detenzione precaria, equiparabile a quella del comodatario.
Testo del provvedimento
TRIBUNALE DI TARANTO
II SEZIONE
IL GIUDICE – dott. Claudio Casarano
ORDINANZA ex art. 702 bis c.p.c. (2577-13)
IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA
La sig.ra M.C. affermava di essere comproprietaria, in regime di comunione legale dei beni con il proprio coniuge, dell’immobile situato in Taranto, alla via (OMISSIS).
In data 01-09-2000, aggiungeva l’istante, decedeva il proprio marito e succedevano nella quota del 50%, caduta nella massa ereditaria, oltre a lei, i due figli G. ed M. C..
Da quella data, precisava la ricorrente, la figlia, già da tempo autonoma economicamente, ha continuato ad occupare la predetta abitazione quale sua ospite, senza peraltro mai contribuire agli oneri gravanti su di essa.
La convivenza con la figlia, aggiungeva la ricorrente, era da tempo divenuta intollerabile, tanto da averla portata ad esperire, senza successo, nel giugno del 2011 analoga azione a quella qui introdotta, ma nella forma dell’art. 700 c.p.c..
Nel presupposto che fosse titolare della maggior quota e soprattutto nella sua veste di titolare del diritto di abitazione ex art. 540, II co., e dell’uso dei mobili che l’arredano, chiedeva, ex art. 702 bis c.p.c., che la figlia fosse condannata all’immediato rilascio del bene.
LA DIFESA DELLA RESISTENTE
La resistente incentrava la sua difesa sul rilievo che mai il diritto di abitazione accampato avrebbe potuto comportare la sua esclusione dal godimento dell’abitazione famigliare.
Osservava la difesa resistente che, sebbene pro quota, le spettava il compossesso dell’abitazione a titolo di comproprietà e quindi il suo godimento, compatibilmente con la sua destinazione.
In secondo luogo sosteneva che il diritto di abitazione assicurato al coniuge dall’art. 540, II co., mai avrebbe potuto implicare l’azzeramento del suo compossesso, peraltro esercitato da molto tempo; anche perché, rimarcava, il diritto di abitazione accampato non poteva equipararsi al diritto di usufrutto e la propria situazione soggettiva farsi rientrare così, come faceva la controparte, alla nuda proprietà.
Senza necessità di istruttoria la causa veniva riservata per la decisione all’udienza del 16-10-2013.
LA PREVALENZA DEL DIRITTO DEL CONIUGE EX ART. 540, II CO., C.C. SUL CONFLIGGENTE COMPOSSESSO A TITOLO DI COMPROPRIETÀ DELLA FIGLIA
Nessun dubbio sulla ricorrenza, ex art. 540, II co. c.c., del diritto di abitazione in capo alla ricorrente quale coniuge del de cuius.
Può però intendersi esteso al punto da prevalere sul compossesso, pro quota, spettante alla figlia convivente?
Deve ritenersi che nel caso in cui sorga conflitto tra il coniuge, che sia titolare del diritto di abitazione, oltre che dell’uso dei mobili che l’arredano, ex art. 540, II co., c.c., e la figlia comproprietaria, pur se convivente, debba prevalere necessariamente il primo.
Il diritto di abitazione infatti è attribuito soltanto al coniuge.
La previsione di legge garantisce così al coniuge superstite in via esclusiva, e di riflesso eventualmente ai figli minorenni e maggiorenni non autosufficienti, la conservazione dell’abitazione famigliare( in linea peraltro con il favor per la famiglia garantito dall’art. 29 della Cost.).
Trattandosi di diritto reale, acquisito al patrimonio del coniuge superstite per effetto di un legato ex lege, non sarebbe neanche necessaria la trascrizione per l’opponibilità ai terzi( salvo che si tratti di bene già ipotecato, prima cioè dell’insorgenza del diritto di abitazione).
Diritto reale che quindi non viene meno neanche con lo scioglimento della comunione( ed a differenza del diritto personale atipico di abitazione garantito al coniuge divorziato, che perdura invece solo fino a quando si tratti di tutelare la prole).
Quando però sorge il conflitto, come nel caso in esame, tra il titolare del diritto in parola e la figlia maggiorenne autosufficiente, questa non può vantare un egual diritto sull’abitazione ed il mobilio.
Beninteso può agire per lo scioglimento della comunione ex art. 1111 c.c. ed ottenere così la liquidazione della quota, ma sempre facendo salvo il diritto reale di abitazione; coerentemente sulla determinazione della quota ad essa spettante peraltro inciderà il valore da attribuire al diritto di abitazione in parola ex art. 540, II co., c.c.
In altri termini l’attribuzione ex art. 540, II o., c.c. al coniuge superstite del diritto di abitazione finisce con l’atteggiarsi come una deroga all’art. 1102 c.., che invece prevede la regola generale dell’eguale diritto dei comunisti di fare uso della cosa.
Del resto se così non fosse, si dovrebbe garantire anche all’altro figlio, comproprietario, pur se non convivente, l’uso della cosa comune.
Il che, in presenza del diritto di abitazione in capo al solo coniuge ex art. 540, II co. c.c., evidentemente non può ammettersi.
Né la lunga convivenza della figlia si ricordi completamente autonoma sul piano economico – con la madre può portare ad un esito processuale diverso, dal momento che avrebbe al più dato vita ad una forma di detenzione precaria, equiparabile a quella del comodatario.
In considerazione della problematicità della controversia, è giusto compensare le spese.
PTM
Il Tribunale decidendo sulla domanda proposta con ricorso del 22-04-2013 dalla sig.ra M.C. nei confronti della sig.ra G.C., così provvede:
Accoglie la domanda e condanna la resistente all’immediato rilascio dell’immobile situato in Taranto alla via (OMISSIS);
Spese compensate.
Ordinanza immediatamente esecutiva.
Il giudice
Dott. Claudio Casarano
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