ISSN 2385-1376
Testo massima
La scelta della sanzione da irrogare al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare spetta alla relativa sezione del C.S.M., la quale è tenuta ad indicare i motivi della scelta compiuta, relativamente, in particolare, alla gravità dell’illecito ed alla capacità o meno dell’incolpato di commetterne altri.
Questo è il principio di diritto sotteso alla sentenza n. 4323 della Cassazione Civile, Sezioni Unite, dell’8 ottobre 2013, pubblicata il 24 febbraio 2014.
Nel caso di specie, i Giudici di legittimità si sono pronunciati sul ricorso proposto da un magistrato del Tribunale di Taranto avverso la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in merito all’azione disciplinare promossa dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione riguardante l’illecito di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1 lettera q), del D. Lgs. 109/2006. Il magistrato, mancando ai propri doveri di diligenza e laboriosità, in concorso con un funzionario di cancelleria, ritardava in modo reiterato, grave ed ingiustificato, oltre il termine di legge, il deposito di numerose sentenze civili.
Secondo quanto sostenuto dal Procuratore generale, infatti, non era stata offerta alcuna indicazione da cui poter ricavare la straordinarietà della mole di lavoro sostenuta, né altri elementi tali da poter impedire l’espletamento dell’incarico, emergendo, semmai, criteri di organizzazione del tutto inadeguati.
Gli inadempimenti, sostiene sempre la Procura, non sono, dunque, imputabili ad un carico eccessivo di lavoro od ad un eccesso di scrupolo, ma a pigrizia. In più, l’esistenza di una precedente condanna riportata dal magistrato per condotte analoghe, aggravava la valutazione dell’illecito disciplinare ascritto al medesimo.
Il magistrato, dinnanzi alla Corte, sosteneva, invece, la violazione delle regole di diritto circa la formazione, la valutazione e l’onere della prova, nonché la mancata tempestività in merito alla promozione dell’azione disciplinare, l’irrogazione della sanzione, ovvero la perdita di anzianità nella misura di un anno, al di fuori delle ipotesi previste dal D. Lgs. 109/2006 e la mancanza di congruità nella motivazione impugnata.
La Corte ha, tuttavia, considerato infondati i motivi del ricorso ed ha escluso la pregiudizialità del procedimento penale per il delitto di concorso continuato, con un funzionario della cancelleria, in falso in atto pubblico. Vista la modifica delle date di deposito delle ultime sentenze, infatti, il capo di incolpazione del procedimento disciplinare in questione non comprende l’addebito penale e, pertanto, non è ammissibile la sospensione del primo in attesa della definizione del procedimento penale.
Per approfondimenti sulla materia si veda:
I ritardi della magistratura che superino un anno determinano responsabilità disciplinare attesa l’ingiustificata irragionevolezza del processo
Sentenza – Cassazione civile, sezioni unite – 18-07-2013 – n.17556
È onere del magistrato incolpato provare che l’inottemperanza ai termini di deposito sia dipesa da fattori eccezionali
Sentenza – Cassazione civile, sezioni unite – 25-11-2013 n.26284
Il ritardo di un anno nel deposito dei provvedimenti certamente integra l’illecito disciplinare di cui al d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, artt. 1 e 2, comma 1, lett. A
Sentenza – Cassazione civile, sezioni unite – 07-01-2014 n.69
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12100/2013 proposto da:
V.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) , per delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 44/2013 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 18/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2013 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. – Il magistrato dr. V.P., con ricorso del 24 marzo – 2 aprile 2013, ha impugnato per cassazione – deducendo quattro motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 44/2013 del 7 febbraio – 18 marzo 2013, con la quale la Sezione disciplinare, pronunciando sull’azione disciplinare promossa dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione nei confronti del dr. V., incolpato dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. q), sulle conclusioni del Procuratore generale – il quale aveva chiesto la condanna dell’incolpato alla sanzione della perdita di anzianità di sei mesi – e del difensore dell’incolpato – il quale aveva chiesto l’assoluzione per insussistenza dell’addebito in riferimento ai ritardi relativi all’anno 2008 e l’assoluzione per scarsa rilevanza del fatto, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, in riferimento ai ritardi relativi all’anno 2009 -, ha dichiarato il dr. V. responsabile della violazione ascrittagli, infliggendogli la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno.
1.1. – Il Ministro della giustizia, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva.
1.2. – Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
2. – Il capo di incolpazione addebitato al dr. V., di cui alla citata sentenza n. 44/2013 della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, è così formulato:
“… incolpato dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. q), per avere, mancando ai propri doveri di diligenza e di laboriosità, ritardato in modo reiterato, grave e ingiustificato il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni di giudice del Tribunale di Taranto, addetto al settore civile. In particolare il Dott. V. ritardava oltre il termine di legge il deposito delle seguenti sentenze civili …. Notizia circostanziata dei fatti acquisita: per i ritardi verificatisi nell’anno 2009 il 6 ottobre 2011; per quelli verificatisi nell’anno 2008 l’11 gennaio 2011”.
In particolare, il capo di incolpazione precisa che, relativamente ai ritardi dell’anno 2008, le minute di cinque sentenze risultano depositate con ritardi di 72, 55, 45, 44 e 1.038 giorni oltre i sessanta giorni; relativamente ai ritardi dell’anno 2009, le minute di sette sentenze risultano depositate con ritardi di oltre un anno e sei mesi (2), di oltre due anni (1), di oltre due anni e sei mesi (3), di oltre quattro anni (1).
2.1. – In particolare – e per quanto in questa sede ancora rileva -, la Sezione disciplinare:
a) quanto alla richiesta di sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale promosso nei confronti dell’incolpato per il delitto di concorso continuato in falso in atto pubblico – “per aver alterato, in concorso con un funzionario di cancelleria, la data di deposito delle minute delle ultime sette sentenze indicate nel capo di incolpazione, riportando sui relativi fascicoli una data anteriore a quella di deposito annotata nell’archivio informatico del registro in uso presso il Tribunale civile di Taranto” -, ha escluso il carattere pregiudiziale di tale procedimento penale, relativamente al quale è stato emesso l’avviso di conclusione delle indagini in data 20 dicembre 2011, osservando che il capo di incolpazione del procedimento disciplinare non comprende l’addebito penale, sicchè “all’accertamento del fatto costituente illecito disciplinare non è pregiudiziale l’esito del procedimento penale, a nulla rilevando che il falso sia stato contestato, tra l’altro, anche con riferimento alla modifica della data di deposito di alcune sentenze indicate nel capo di incolpazione. Infatti, pur dovendosi ritenere l’astratta possibilità della sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del giudizio penale nel caso di perfetta coincidenza dei fatti materiali …, nella fattispecie in esame tale possibilità è esclusa dall’assenza di identità dei fatti dedotti nei due procedimenti pendenti nei confronti dell’incolpato”;
b) quanto all’eccezione di decadenza dalla promozione dell’azione disciplinare, ha osservato: “… come emerge dagli atti (f. 1), il Procuratore generale ha avuto notizia circostanziata dei ritardi maturati tra il dicembre 2008 e il marzo 2009 soltanto il 6 ottobre 2010 (e non il 6/10/2011 come, per un evidente errore materiale di battitura, è stato indicato nel capo di incolpazione). Ne consegue che, per l’illecito disciplinare costituito dal ritardo nel deposito di detti provvedimenti, l’azione disciplinare è stata proposta tempestivamente in data 6 ottobre 2011, entro il termine previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1”;
c) quanto ad alcune delle giustificazioni dei ritardi contestati, addotte dal dr. V., ha, tra l’altro, affermato: “Quanto, poi, al dedotto gravoso impegno lavorativo, va osservato che non è stata offerta alcuna indicazione dalla quale poter ricavare il carattere di straordinarietà del lavoro espletato negli anni in esame. Nè vi sono elementi da quali desumere il carattere elevato del carico di lavoro del Dott. V. Da un lato, infatti, non v’è prova che l’incolpato abbia sostenuto carichi di lavoro sensibilmente maggiori rispetto a quelli riservati ad altri colleghi del Tribunale di Taranto e, per altro verso, non sembra che i numeri affrontati fossero assolutamente non gestibili, come peraltro è dimostrato dal fatto che non risulta che nello stesso periodo altri giudici addetti al medesimo ufficio abbiano raggiunto livelli di ritardo quali quelli ascritti all’incolpato. Tale ultima circostanza induce dunque a ritenere che la causa di quei ritardi debba essere ricercata soprattutto nell’adozione, da parte del Dott. V., di criteri di organizzazione del proprio lavoro del tutto inadeguati alle esigenze del ruolo affidatogli, tanto da determinare, per un rilevante numero di cause, il decorso di un lasso di tempo oggettivamente intollerabile tra la scadenza dei termini di legge e il deposito dei provvedimenti. A ciò va aggiunto che le statistiche annuali in atti non appaiono neppure indicative di un particolare rendimento dell’incolpato, il quale nel periodo in esame ha raggiunto un livello di produttività che non si discosta in modo significativo da quello conseguito da altri colleghi dell’ufficio”;
d) quanto alla determinazione della sanzione per l’illecito disciplinare contestato e riconosciuto, ha affermato: “La gravità del fatto ascritto al Dott. V., l’esistenza di una precedente condanna riportata dal predetto magistrato per condotte analoghe, di per sè indicativa del fatto che quel precedente non ha avuto alcuna efficacia emendativa nei suoi confronti, e l’attuale pendenza di altri procedimenti, penali e disciplinari, nei confronti dell’incolpato, che hanno determinato l’adozione, in data 23 marzo 2012, di una misura cautelare, inducono ad applicare, in coerenza al generale principio di cui all’art. 133 c.p., la sanzione della perdita di anzianità nella misura di anni uno”.
Motivi della decisione
1. – Con il PRIMO MOTIVO (con cui deduce: “Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e, in relazione: alla corretta applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 15; violazione dell’art. 111, 2 comma, della Costituzione”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lett. b), sostenendo che i Giudici a quibus: a) non hanno considerato che non v’è la prova che la notizia circostanziata dell’illecito disciplinare in questione – trasmessa da Lecce con raccomandata del 27 settembre 2010 – sia stata acquisita dal Procuratore generale in data 6 ottobre 2010, tale data risultando soltanto da una stampigliatura senza sottoscrizione apposta sul fascicolo dello stesso Procuratore generale; b) così facendo hanno violato le regole di diritto circa la formazione, la valutazione e l’onere della prova di cui all’art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui stabilisce che il processo si svolge in condizione di parità delle parti, con l’ovvia conseguenza che nessuna delle parti, nemmeno quella pubblica, può attestare alcunchè, al di fuori dei meccanismi di prova apprestati dalla legge; c) hanno omesso di considerare che la tempestività della promozione dell’azione disciplinare, essendo una condizione dell’azione, deve essere provata dall’autorità che la promuove con mezzi idonei, vale a dire con la registrazione della notizia in un registro pubblico, cartaceo od informatico, e con l’attribuzione alla stessa di un numero di protocollo.
Con il SECONDO MOTIVO (con cui deduce: “Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e, in relazione alla corretta applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 12, commi 1 e 2, e art. 5, comma 2, con riferimento all’adeguatezza della sanzione irrogata”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1, lettera d), sostenendo che i Giudici a quibus hanno irrogato la sanzione della perdita di anzianità al di fuori delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 12, ipotesi del tutto estranee alla fattispecie disciplinare contestata ed accertata, ed inoltre hanno giustificato l’applicazione di detta sanzione con riferimento a procedimenti disciplinari, diversi da quello de quo, e penali per di più non ancora definiti.
Con il TERZO MOTIVO (con cui deduce: “Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e, in relazione alla congruità della motivazione, illogica ed insufficiente, ed all’esame di documenti decisivi, nonchè alla corretta valutazione della prova”) il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lett. c), sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno erroneamente valutato la laboriosità dell’incolpato omettendo, in particolare, di considerare sia che l’incolpato, nel periodo considerato, aveva introitato il maggior numero di sentenze rispetto ad ogni altro collega dello stesso ufficio giudiziario, come risulta dalle tabelle allegate al ricorso, sia che lo stesso, cessate le funzioni di giudice delegato al fallimento, non era più incorso in ritardi.
Con il QUARTO MOTIVO (con cui deduce: “Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e, in relazione alla corretta applicazione dell’art. 295 c.p.c.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lett. a), sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di considerare che, anche ad ammettere che rilevante ai fini della tempestività del deposito della minuta sia il deposito di quella “definitiva” e non di quella “provvisoria”, tuttavia “ai fini della misura della sanzione da infliggere, la cosa aveva sicura rilevanza; perchè non è la stessa cosa tralasciare il lavoro circa le questioni sottoposte, ovvero lavorarci sopra, ed eccedere i termini, per eccesso di scrupolo, non di pigrizia”.
2. – Il ricorso non merita accoglimento.
2.1. – Il primo motivo è infondato.
E’ noto che, secondo il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1, primo periodo, “L’azione disciplinare è promossa entro un anno dalla notizia del fatto, della quale il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha conoscenza a seguito dell’espletamento di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione del Ministro della giustizia”.
Come già rilevato, la Sezione disciplinare ha respinto l’eccezione di decadenza del Procuratore generale presso la Corte di cassazione dal potere di promuovere l’azione disciplinare, affermando che, “…come emerge dagli atti (f. 1), il Procuratore generale ha avuto notizia circostanziata dei ritardi maturati tra il dicembre 2008 e il marzo 2009 soltanto il 6 ottobre 2010 (e non il 6/10/2011 come, per un evidente errore materiale di battitura, è stato indicato nel capo di incolpazione). Ne consegue che, per l’illecito disciplinare costituito dal ritardo nel deposito di detti provvedimenti, l’azione disciplinare è stata proposta tempestivamente in data 6 ottobre 2011, entro il termine previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 1”.
Con il motivo in esame, il ricorrente sostiene che i Giudici disciplinari hanno omesso di considerare, da un lato, che non v’è la prova che la notizia circostanziata dell’illecito disciplinare in questione – trasmessa dal Presidente della Corte d’appello di Lecce (anche) al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione con lettera raccomandata del 27 settembre 2010 – sia stata acquisita dal Procuratore generale in data 6 ottobre 2010, tale data risultando soltanto da una stampigliatura senza sottoscrizione apposta sul fascicolo dello stesso Procuratore generale, dall’altro, che la tempestività della promozione dell’azione disciplinare, essendo una condizione dell’azione, deve essere provata dall’autorità che la promuove con mezzi idonei, vale a dire con la registrazione della notizia in un registro pubblico, cartaceo od informatico, e con l’attribuzione alla stessa di un numero di protocollo.
Nella specie, dall’esame diretto degli atti – consentito a questa Corte dalla natura del vizio denunciato che, ove accertato, comporterebbe la nullità del procedimento disciplinare e, conseguentemente per derivazione, dello stesso processo disciplinare e della sentenza impugnata – risulta che, all’estremo superiore destro della menzionata raccomandata del Presidente della Corte d’appello di Lecce in data 27 settembre 2010, è presente un “adesivo” del seguente testuale tenore: “Ministero della Giustizia – Procura Generale della Repubblica Presso la Corte Suprema di Cassazione ROMA – ENTRATA – 06/10/2010 09:14 – 0017911”.
Orbene – tenuto conto che il predetto “adesivo” è incontestatamente proveniente dall’Ufficio del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, come emerge dalla riprodotta intestazione -, l’applicazione del principio di legalità, che deve informare lo svolgimento dell’azione amministrativa, da fondamento ad una presunzione semplice circa la veridicità delle circostanze ivi indicate, in particolare della data e dell’ora di ricezione della predetta lettera raccomandata da parte dell’ufficio del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, con la conseguenza che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, è proprio colui che contesta la veridicità di tali circostanze ad essere onerato della prova – anche presuntiva – contraria; ciò, senza contare – sempre in via presuntiva, in assenza di prova contraria – sia che il numero finale (“0017911”) di detto “adesivo” richiama all’evidenza il numero attribuito alla stessa lettera raccomandata nella data medesima al momento della sua protocollatura, sia che la data della sua ricezione, 6 ottobre 2010, è ragionevolmente congruo rispetto al tempo trascorso dalla data della sua redazione, 27 settembre 2010.
2.2. – Anche il secondo motivo è infondato.
La piana lettura della motivazione adottata dalla Sezione disciplinare, quanto alla determinazione della sanzione per l’illecito disciplinare contestato e riconosciuto, consente di affermare che la stessa si basa su distinte ed autonome ragioni (“La gravità del fatto ascritto al Dott. V., l’esistenza di una precedente condanna riportata dal predetto magistrato per condotte analoghe, di per sè indicativa del fatto che quel precedente non ha avuto alcuna efficacia emendativa nei suoi confronti, e l’attuale pendenza di altri procedimenti, penali e disciplinari … inducono ad applicare, in coerenza al generale principio di cui all’art. 133 c.p., la sanzione della perdita di anzianità nella misura di anni uno”), sicchè – ove anche, per mera ipotesi, si accedesse al rilievo del ricorrente, di illegittimità del riferimento a procedimenti disciplinari, diversi da quello de quo, e penali, tutti per di più non ancora definiti – la determinazione della sanzione risulterebbe pur sempre adeguatamente sorretta dalle affermate gravità dell’illecito accertato ed esistenza di una precedente condanna disciplinare per condotte analoghe. Ciò, senza contare che la scelta della sanzione da irrogare spetta – in mancanza di contrarie previsioni di legge ed in applicazione analogica (analogia juris) del principio desumibile dagli artt. 132 e 133 c.p. – al potere discrezionale della Sezione disciplinare del C.S.M., la quale deve indicare i motivi della scelta compiuta, relativamente, in particolare, alla gravità dell’illecito ed alla capacità o meno dell’incolpato di commetterne altri, come puntualmente motivato nella specie dai Giudici a quibus, in applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 12, comma 1, lett. g), (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 2336 del 1989).
2.3. – Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili.
In particolare, il terzo, perchè le censure sono in parte irrilevanti ed in parte generiche.
Infatti – a fronte di una motivazione ampia, puntuale e corretta sul piano logico – giuridico, quanto ad alcune delle giustificazioni dei ritardi contestati, addotte dal dr. V., (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera c) -, il ricorrente si limita a dedurre che i Giudici a quibus hanno erroneamente valutato la laboriosità dell’incolpato omettendo, in particolare, di considerare sia che l’incolpato, nel periodo considerato, aveva introitato il maggior numero di sentenze rispetto ad ogni altro collega dello stesso ufficio giudiziario, come risulta dalle tabelle allegate al ricorso, sia che lo stesso, cessate le funzioni di giudice delegato al fallimento, non era più incorso in ritardi. Tale ultima deduzione è palesemente irrilevante, riferendosi ad un (soltanto) addotto (peraltro doveroso) comportamento del magistrato, rispettoso dei termini di deposito dei provvedimenti, successivo ai periodi considerati dall’illecito disciplinare contestato. L’altra deduzione è palesemente generica, in quanto il ricorrente – alla motivazione, secondo cui “… Da un iato … non v’è prova che l’incolpato abbia sostenuto carichi di lavoro sensibilmente maggiori rispetto a quelli riservati ad altri colleghi del Tribunale di Taranto e, per altro verso, non sembra che i numeri affrontati fossero assolutamente non gestibili, come peraltro è dimostrato dal fatto che non risulta che nello stesso periodo altri giudici addetti al medesimo ufficio abbiano raggiunto livelli di ritardo quali quelli ascritti all’incolpato …” – si limita a contrapporre valutazioni contrarie, senza peraltro specificare adeguatamente gli elementi che fonderebbero i suoi dedotti maggiori carichi di lavoro e la sua maggiore laboriosità in comparazione con gli altri colleghi del Tribunale di Taranto.
Anche il quarto motivo è inammissibile, perchè la censura non investe la vera ratio decidendi della sentenza impugnata.
Infatti, la Sezione disciplinare, quanto alla richiesta di sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale promosso nei confronti dell’incolpato per il delitto di concorso continuato in falso in atto pubblico – “per aver alterato, in concorso con un funzionario di cancelleria, la data di deposito delle minute delle ultime sette sentenze indicate nel capo di incolpazione, riportando sui relativi fascicoli una data anteriore a quella di deposito annotata nell’archivio informatico del registro in uso presso il Tribunale civile di Taranto” -, ha escluso il carattere pregiudiziale di tale procedimento penale, osservando che il capo di incolpazione del procedimento disciplinare non comprende l’addebito penale, sicchè, “pur dovendosi ritenere l’astratta possibilità della sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del giudizio penale nel caso di perfetta coincidenza dei fatti materiali …, nella fattispecie in esame tale possibilità è esclusa dall’assenza di identità dei fatti dedotti nei due procedimenti pendenti nei confronti dell’incolpato”.
A prescindere da altre pur possibili considerazioni conducenti anch’esse ad un esito sfavorevole al ricorrente, la piana lettura del motivo in esame consente di escludere che le censure ivi mosse investano l’esclusione della pregiudizialità di detto procedimento penale in ragione della “assenza di identità dei fatti dedotti nei due procedimenti pendenti nei confronti dell’incolpato” rispetto ai fatti dedotti nel procedimento disciplinare.
3. – Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese del giudizio, in quanto il Ministro della giustizia non si è costituito nè ha svolto difese.
Risultando dagli atti che il procedimento in esame è esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui all’art. 13, comma 1 quater, del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2014
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Numero Protocolo Interno : 154/2014