ISSN 2385-1376
Testo massima
Integra disconoscimento di scrittura privata anche solo una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto sulla non conformità tra l’originale e la copia fotostatica dell’atto, non essendo richiesto dall’ordinamento l’uso di formule sacramentali.
E’ questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza n.18349 pronunziata in data 31/07/2013 dalla Cassazione civile, sezione seconda, a seguito del ricorso presentato da un soggetto avverso la decisione della Corte di Appello che aveva rigettato la sua pretesa di pagamento sulla base di un chiaro disconoscimento di una scrittura privata fonte del credito da lui vantato.
Nel caso di specie, il ricorrente, aveva convenuto in giudizio due coniugi per sentirli condannare al pagamento di una somma, come riconosciuto in una scrittura privata da loro sottoscritta e depositata in fotocopia, ma i coniugi, costituitisi in giudizio, avevano negato il debito; in seguito, per morte dei convenuti, la causa era stata riassunta nei confronti del loro erede il quale, prodotto in giudizio l’originale della scrittura privata, aveva subito disconosciuto le sottoscrizioni dei defunti coniugi. Pertanto, la domanda attorea, accolta inizialmente in primo grado, veniva rigettata in Corte di Appello, rilevato che, a seguito del disconoscimento, non era stata proposta alcuna procedura di verificazione.
Ebbene, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunziarsi in tema di disconoscimento di scrittura privata, dando seguito alla pronunzia della Corte di Appello, ha statuito che l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto dalla quale possano desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia.
Pertanto, ad avviso dei giudici di legittimità, la circostanza che nel caso de quo in comparsa di risposta fosse stato dedotto testualmente “gli attuali convenuti non ebbero a sottoscrivere alcuna scrittura privata e, nel caso, sicuramente estorta con inganno e raggiro“ è da considerarsi idonea ad operare un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta. Inoltre, l’inequivoco e tempestivo disconoscimento effettuato dopo la produzione dell’originale può essere considerato valido al fine di confermare chiaramente l’adempimento dell’onere di disconoscimento.
In conclusione, dunque, gli ermellini, ritenuta corretta la decisione della Corte di appello atteso che, ex art.216 cpc, la parte che aveva prodotto la scrittura disconosciuta avrebbe dovuto chiederne la verificazione, hanno rigettato il ricorso condannando il ricorrente alla refusione delle spese di lite.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11190-2007 proposto da:
D.F.I.
– ricorrente –
contro
D.C.B.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 44/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/01/2007;
Svolgimento del processo
D.F.I. conveniva in giudizio D.C.S. ed P.E., chiedendone la condanna al pagamento di Euro ventimila, somma mutuata in più riprese, come riconosciuto in una scrittura privata del 14 febbraio 1989 sottoscritta dai convenuti e depositata in fotocopia.
I coniugi D.C. si costituivano in giudizio negando il debito.
Tal G.M., inizialmente indicato quale testimone, interveniva in giudizio adesivamente, senza assumere pertanto la veste di litisconsorte necessario.
Interrotta per la morte dei convenuti, la causa veniva riassunta nei confronti dell’erede testamentario D.C.B., la quale resisteva in giudizio e, avvenuta la produzione dell’originale della scrittura, disconosceva le sottoscrizioni. La domanda veniva accolta dal tribunale di Avezzano. La Corte di appello di L’Aquila il 16 gennaio 2007 capovolgeva la decisione e, rilevato che a seguito del disconoscimento, iniziale e successivo, non era stata proposta la procedura di verificazione, rigettava la pretesa attorea.
D.F.I. resisteva con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso consta di un solo motivo, che denuncia in rubrica violazione e falsa applicazione degli artt.214 e 215 cpc, condensato da quesito di diritto che qui si riporta:
“Ai fini del disconoscimento di una scrittura privata, nella sua interezza o limitatamente alla sua sottoscrizione, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale o speciale, è sempre necessaria una impugnazione specifica e determinata, che contesti chiaramente l’autenticità della stessa, e che non lasci dubbio alcuno sulla sua interpretazione?“.
Come risulta palese dalla formulazione, il tema della controversia non è il principio di diritto, senza dubbio pacifico, che si vuole affermare (cfr. per tutte Cass. 5461/06, secondo la quale “l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto: tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia”), ma la sussunzione in esso del caso di specie e l’adeguatezza della motivazione con la quale la Corte di appello l’ha sorretta.
Nella specie la Corte di appello ha avuto ben presente il ricordato insegnamento della Corte di legittimità, poichè ha ritenuto che fosse stato espresso “un chiaro disconoscimento della scrittura prodotta”. Lo ha ravvisato nel fatto che in comparsa di risposta fosse stato dedotto testualmente: “gli attuali convenuti non ebbero a sottoscrivere alcuna scrittura provata e, nel caso, sicuramente estorta con inganno e raggiro“.
Ha aggiunto che la odierna resistente aveva ribadito la contestazione della scrittura prodotta in copia e, avuta visione dell’originale prodotto in corso di causa, “aveva immediatamente disconosciuto la sottoscrizione del de cuius“.
Ha osservato che detto secondo disconoscimento era tempestivo in relazione alla produzione dell’originale; ha concluso traendo le conseguenze della mancata istanza di verificazione.
La decisione così assunta è ineccepibile sotto ogni profilo.
La motivazione circa la idoneità del primo disconoscimento è congrua e logica, poichè ha dato peso, razionalmente e opportunamente, alla prima manifestazione della comparsa di risposta e non alla subordinata ipotesi di estorsione e vizi della volontà.
Questa ultima era formulata in via eventuale (“nel caso“); era dunque destinata ad assumere valore e senso autonomo solo ove, a seguito di positiva verificazione, che è mancata, la scrittura fosse risultata di pugno dei convenuti.
Inoltre l’inequivoco e tempestivo disconoscimento effettuato dopo la produzione dell’originale valeva a confermare chiaramente l’adempimento dell’onere di disconoscimento.
Ai sensi dell’art.216 cpc, la parte che aveva prodotto la scrittura così disconosciuta avrebbe dovuto chiederne la verificazione.
In mancanza, è corretta la decisione del giudice di merito, che ha considerato non provata la domanda.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 19 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2013
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