La domanda riconvenzionale del convenuto deve contenere la determinazione della cosa oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che ne costituiscono la ragione, cioè deve esporre tutti gli elementi che il convenuto avrebbe dovuto indicare ai sensi dell’art. 163, secondo comma, n. 3 e 4, cod. proc, civ., se la medesima domanda l’avesse proposta in via di azione. Qualora il giudice non assegni un termine per integrare la domanda riconvenzionale incompleta e tale termine non sia richiesto dal convenuto, se la nullità è dedotta come motivo d’appello, il giudice del gravame non dovrà fissare alcun termine per l’integrazione dell’atto nullo, ma dovrà definire il processo con una pronuncia in rito che accerti la sussistenza del vizio.
Questo il principio espresso dalla Corte d’Appello di Napoli, Pres. Rel. Eugenio Forgillo, con la sentenza n. 4211 del 27 agosto 2019 in aderenza della decisione della S.C. 9798/2018 del 20 aprile 2018.
Il caso riguarda una banca che ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accolto il gravame proposto da un professionista per l’omessa o comunque erronea pronuncia sulla domanda riconvenzionale proposta in primo grado da quest’ultimo, volta ad accertare l’esistenza di un controcredito nei confronti della Banca e l’ingiusto conteggio delle spese e delle commissioni nelle somme oggetto di condanna in favore della società.
La Corte di Appello, pur rilevando la genericità della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta in primo grado, aveva ritenuto che la nullità della stessa dovesse essere eccepita dalla controparte e che fosse stata comunque sanata in quanto non rilevata dal Tribunale.
La Banca ha, pertanto, proposto ricorso per Cassazione eccependo con il primo motivo di ricorso la violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 184 c.p.c. per non aver la Corte d’appello rilevato la tardività della formulazione della domanda riconvenzionale proposta dalla professionista in primo grado, posto che l’importo del controcredito vantato era stato precisato per la prima volta solo con una memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 184 c.p.c., già decorsi termini per la precisazione delle domande.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9798/2018 accogliendo il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e ha rinviato alla Corte d’appello di Napoli.
La Corte di Appello conformemente al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, ha dichiarato nulla la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta nel giudizio di primo grado sul presupposto che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare essa stessa la nullità originaria (e non sanata ai sensi dell’art. 164, quinto comma, cod. proc. civ.) della domanda riconvenzionale e rigettarla.
Quanto agli altri due motivi di ricorso, il Collegio, ritenuto che la convenuta in primo grado si era limitata a richiedere la verifica di un anatocismo illegittimamente applicato al rapporto senza contestare in nessun passaggio dell’atto le spese e le commissioni addebitate dalla società e risultanti dall’estratto conto dalla stessa prodotto, ha accolto i motivi di ricorso dichiarati assorbiti dalla Corte di Cassazione, in quanto le dette eccezioni erano state proposte dalla cliente per la prima volta in secondo grado ed erano dunque tardive e non potevano essere oggetto di esame da parte della Corte.
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