E’ valida la capitalizzazione annuale per il periodo antecedente all’entrata in vigore della Circolare Cicr, nonostante quanto statuito da ultimo la Cassazione a SS. UU. N.24418/2010.
Sebbene parte della giurisprudenza di merito ritenga che la nullità della clausola di anatocismo trimestrale non apra la via ad una sostituzione legale o inserzione automatica di clausole ex art.1374 c.c., la prevalente giurisprudenza, approvata da questo Tribunale, ritiene che gli interessi passivi siano comunque soggetti alla capitalizzazione annuale, e ciò per una molteplicità di motivi: 1) in primo luogo, perché la capitalizzazione annuale è applicata dalla banca in favore dei clienti (e dunque in riferimento agli interessi c.d. attivi); 2) in secondo luogo, perché tale cadenza di capitalizzazione appare conforme alla cadenza annuale degli interessi, prevista dall’art. 1284 c.c.; 3) in terzo luogo, perché l’art. 2948 n. 4) c.c. parifica l’obbligazione di interessi a tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno; 4) in quarto luogo, perché il legislatore, con la legislazione del 2000, ha mostrato un favor per la creazione di una situazione di parallelismo fra interessi a favore del cliente (interessi creditori) ed interessi a favore della banca (interessi debitori).
La clausola di cui all’art. 7 del regolamento contrattuale concluso fra gli opponenti e l’opposta è da considerarsi nulla, perché in violazione dell’art. 1283 c.c.: tuttavia tale nullità, se comporta l’inapplicabilità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, non esclude la capitalizzazione annuale dei medesimi interessi, per le ragioni su esposte.
Sono legittime le cms qualora siano determinate specificatamente e per iscritto ovvero siano state previste espressamente modalità obiettive e criteri per garantirne conoscibilità e determinabilità.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BARI
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Bari sezione I civile in composizione monocratica, in persona del dott. Michele Prencipe, Giudice istruttore operante in funzione di Giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
definitiva nella causa iscritta nel Ruolo Generale degli affari civili contenziosi per l’anno 2000 sotto il numero d’ordine 1800376, avente per oggetto opposizione a decreto ingiuntivo, vertente
TRA
XXXXXX elettivamente domiciliati in Bari alla via (…) (avv. G.Pe.) presso gli avv. Mi.De.
e Gi.De., da cui sono rappresentati e difesi in virtù di procura a margine dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo
OPPONENTI
E
XXXXX in persona del suo legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Bari alla via (…) presso l’avv. Gi.Ch.No., da cui è rappresentata e difesa in virtù di mandato generale alle liti rilasciata in data 20/12/2002 con atto per notaio dott.To.Gh.,
OPPOSTA
All’udienza del giorno 19/04/2010 l’Ufficio, fatte precisare le conclusioni, come da relativo verbale,riteneva la causa per la decisione, all’esito della scadenza dei termini assegnati alle parti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi del combinato disposto degli artt. 281 quinquies e 190 comma 1 c.p.c.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I. Con ricorso depositato in data 10/02/2000 Ro.Ba. S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, chiedeva al Presidente del Tribunale di Bari di volere, con decreto provvisoriamente esecutivo, ingiungere a Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr. il pagamento della somma di Lire 15.279.964, oltre interessi come per legge fino al soddisfo, nonché di spese, competenze ed onorari della procedura monitoria, esponendo: di essere creditrice di Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr. della somma di Lire 15.279.964, quale risultante dal saldo debitore al giorno 04/01/2000 verificatosi in relazione allo scoperto sul conto corrente di corrispondenza n. (…) acceso presso la filiale di Bari (…) di essa ricorrente, come documentalmente provato dall’estratto conto certificato ai sensi dell’art. 50 L. B., oltre interessi legali come per legge fino al soddisfo; che essa ricorrente, stante l’esposizione di cui innanzi, aveva revocato i rapporti e richiesto il pagamento’ di quanto dovuto con raccomandata A/R del 21/12/1999, ricevuta in data 28/12/1999; che essa ricorrente aveva provveduto ad iscrivere ipoteca giudiziale nei confronti dei debitori, in qualità di fideiussori per tutte le obbligazioni di Pr. S.r.l. nei confronti di essa ricorrente, in forza del decreto ingiuntivo n. (…) emesso dal Tribunale di Ravenna in data (…); che pertanto era legittimo e fondato, anche in considerazione degli altri eventi pregiudizievoli risultanti dalle visure ipocatastali allegate (ipoteca volontaria), il timore che potessero venire meno le garanzie patrimoniali che assistevano il credito Per il quale si procedeva e che altri creditori potessero costituire garanzia reale sui beni dei debitori o che gli stessi beni potessero essere sottratti, escludendo in tal modo la possibilità di soddisfo di essa ricorrente; che pertanto ricorrevano i requisiti per la concessione dell’esecuzione provvisoria ai sensi dell’art. 642 c.p.c.; che i tentativi di ottenere quanto dovuto dai debitori erano stati vani; che il credito era certo, liquido ed esigibile e certificato ai sensi dell’art. 50 L. B.
II. Con decreto non provvisoriamente esecutivo n. (…) in data (…) il Giudice Delegato ingiungeva a Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr. di pagare alla ricorrente, entro 40 giorni, in solido tra loro, la somma di Lire 15.279.964, oltre interessi così come indicati in ricorso, nonché le spese di procedura, liquidate in complessive Lire 1.000.000, di cui Lire 500.000 per onorario.
III. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo notificato in data 30/05/2000 Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr.(d’ora innanzi anche solo “opponenti” (N.d.G.)) citavano Ro.Ba. S.p.a. (d’ora innanzi anche solo “opposta” (N.d.G.)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a comparire davanti al Tribunale di Bari per sentir così provvedere: 1) revocare e porre nel nulla l’opposto decreto ingiuntivo; 2) condannare la ricorrente al pagamento di spese e competenze del giudizio, per avervi dato motivo per l’illegittima sua richiesta di condanna al pagamento. A sostegno dell’opposizione gli opponenti eccepivano: che il saldo debitorio del conto corrente di corrispondenza era innegabilmente esoso, in quanto ottenuto capitalizzando trimestralmente (illegittimamente) interessi calcolati (illegittimamente) in misura superiore al dovuto, se dovuto, sicché si contestava ad ogni effetto di legge, in particolare agli effetti di cui all’art. 2697 c.c., che essi opponenti dovessero alcunché all’opposta; che, più precisamente, mancava la piena prova sia dell’esistenza del credito che l’opposta assumeva di vantare sia della corrispondenza dei tassi debitori applicati a quelli effettivamente da applicare (ammesso e non concesso che interessi fossero dovuti); che inoltre andava osservato che l’opposta assumeva di vantare un credito di quella entità e credeva di poter dimostrare il proprio assunto esibendo una (comoda) documentazione ex art. 50 del D.Lgs. n. 385/1993 proveniente dalle proprie scritture contabili (in altri termini, nella sostanza propria ed unilaterale); che si contestava formalmente e recisamente la legittimità dell’importo suddetto, unilateralmente determinato e non suffragato da prove ritenute idonee allo scopo dalla legge e dalla giurisprudenza; che infatti, come era noto, la Corte Suprema a sezioni unite, con la sentenza n. 6707/1994, aveva negato che il “vecchio” saldaconto (e quindi, per relationem, anche il documento prodotto ex adverso, che nella sostanza non era certo più attendibile del vecchio “saldaconto”) fosse sufficiente in un ordinario giudizio di cognizione a provare la sussistenza e l’entità del credito che si assumeva vantato da un istituto di credito, essendo tale documento unilaterale valido solo ed unicamente nella fase del c.d. procedimento di ingiunzione; che pertanto la semplice, ancorché generica, contestazione della legittimità dell’art. e del quantum del credito comportava che l’istituto di credito dovesse provare, inequivocabilmente e secondo i consueti canoni dell’istruzione probatoria, la sussistenza del proprio diritto; che del resto la Corte di cassazione, con la decisione suindicata, aveva finalmente ed opportunamente eliminato ogni dubbio sull’efficacia probatoria del saldaconto, negandone ogni rilevanza nei giudizi ordinari di cognizione, per il semplice motivo che la legge non lo prevedeva, senza dire che, ove l’avesse ritenuta sussistente, avrebbe dato luogo ad un evidente disparità di trattamento nella condizione delle parti, consentendo a quella cui incombeva l’onere della prova di dimostrare il proprio assunto in base ad una semplice enunciazione, sicché, come era agevole intuire, la pretesa di pagamento avanzata dall’opposta era, già in parte qua, del tutto infondata; che a tal fine essi opponenti contestavano formalmente e ad ogni effetto di legge che tutte le operazioni riportate negli estratti conto ex adverso esibiti fossero state effettivamente poste in essere e, quindi, se ne contestava la veridicità; che l’opposta, al di là della mancanza di prova, aveva agito per un preteso credito di oltre Lire 15.000.000, applicando illegittimamente un tasso di interesse ultralegale mai concordato; che essi opponenti, più precisamente, mai avevano concordato per iscritto un tasso di interesse ultralegale per nessuno dei contratti posti in essere;infatti, dalla documentazione ex adverso esibita, non era dato rilevare un accordo scritto sul tasso d’interesse, sicché, ai sensi dell’art. 117 del D.Lgs. n. 385/1993 e comunque ai sensi della normativa vigente in tema di contratti bancari, quei contratti erano tutti insanabilmente nulli; che era del tutto evidente, per conseguenza, che essi opponenti non dovevano affatto le somme richieste per nessuna delle causali indicate nel ricorso per decreto ingiuntivo, per l’appunto perché esse erano state ottenute illegittimamente applicando un tasso di interesse ultralegale; che l’opposta, per la verità, aveva esibito alcuni documenti a sostegno della (legittimità della) propria domanda, che avrebbero potuto essere invocati per confutare l’eccezione di nullità appena prospettata, ma quei documenti, lungi dall’essere di conforto alle ragioni della ricorrente, stavano a dimostrare la fondatezza della predetta eccezione di nullità, in quanto i tassi applicati (che si evincevano chiaramente dagli estratti conto esibiti successivamente al deposito del ricorso e che la ricorrente si era ben guardata dall’esibire spontaneamente) erano di gran lunga superiori a quelli indicati nel documento e quindi dimostravano che quei documenti non si riferivano al rapporto oggetto del giudizio, per l’ovvio rilievo che, ove l’avessero avuto, l’opposta avrebbe applicato quei tassi; che inoltre i tassi ivi indicati erano abbondantemente oltre il tasso cosiddetto soglia, ai fini della legge sull’usura, come in subordine formalmente si eccepiva ad ogni effetto di legge (id est:nullità della clausola).
IV. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 04/12/2000 Ro.Ba. S.p.a. si costituiva in giudizio, deducendo: che la citazione in opposizione era nulla per mancanza dell’esposizione dei fatti posti a base dell’opposizione e per mancanza di una domanda nel merito,con conseguente improcedibilità dell’opposizione ed esecutività del decreto ingiuntivo opposto; che gli opponenti erano decaduti da ogni potere di contestazione, essendo le contestazioni contenute nell’atto di opposizione prive della specificità richiesta dalla legge; che sussisteva la prova del credito, riveniente dall’estratto conto vero e proprio nonché dall’estratto conto generale relativo a tutto il periodo nel quale si era protratto il rapporto; che non era vero che non vi fosse alcun accordo sul tasso ultralegale, in quanto i contratti di conto corrente e di apertura di credito indicavano effettivamente i tassi di interesse; che gli interessi convenuti non avevano carattere usurario, poiché al momento dell’apertura del credito il tasso c.d. soglia era pari al 21,285% e quindi era di gran lunga superiore a quello convenuto; che la capitalizzazione trimestrale degli interessi era legittima. Pertanto l’opposta chiedeva al Tribunale di voler così provvedere:
1) preliminarmente dichiarare, ai sensi dell’art. 164 comma IV c.p.c., la nullità della citazione in opposizione e, per l’effetto, dichiarare improcedibile l’opposizione ed esecutivo il decreto ingiuntivo opposto; 2) in via subordinata rigettare l’opposizione, perché inammissibile e comunque infondata
in fatto ed in diritto, e, per l’effetto, confermare in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto; 3)concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; 4) condannare gli opponenti alla rifusione di spese, competenze ed onorari di causa.
V. All’udienza di prima comparizione del giorno 15/01/2001 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti, rigettava la richiesta di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto (evidenziando che nel contratto di conto corrente era espressamente prevista la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, consistente in una forma di anatocismo vietata dall’art. 1283 c.c. (sicché l’opposizione poteva dirsi fondata su prova scritta); che non appariva prima facie fondata l’eccezione di nullità dell’opposizione, la quale ben poteva consistere in una generica contestazione del credito avverso e concludersi con una richiesta di revoca dell’ingiunzione, spettando comunque all’opposto (attore in senso sostanziale) la compiuta prova (e la preordinata deduzione specifica) del credito vantato) e, ai sensi dell’art. 180 comma II periodo terzo c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis), rinviava la causa, in prima trattazione, all’udienza del giorno 01/10/2001, assegnando alla convenuta-opposta il termine di venti giorni prima della predetta udienza per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
VI. All’udienza del giorno 01/10/2001 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti, concedeva i termini di cui all’art. 183 comma V c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis) per la definizione del thema decidendum e rinviava la causa, per i provvedimenti di cui all’art. 184 c.p.c., all’udienza del giorno 17/05/2002.
VII. All’udienza del giorno 17/05/2002 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti, concedeva i termini di cui all’art. 184 comma I periodo secondo c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis) per la definizione del thema probandum e rinviava la causa, per l’ammissione delle prove, all’udienza del giorno 04/04/2003.
VIII. All’udienza del giorno 04/04/2003 il procuratore dell’opposta ribadiva quanto già dedotto nella memoria depositata il 13/03/2003 (e cioè che, con atto pubblico del 19/06/2002, era avvenuta la fusione per incorporazione di Ro.Ba. S.p.a. in Un.It. S.p.a. e successivamente, con atto pubblico del 20/06/2002, era avvenuto il conferimento del ramo d’azienda bancario nella Un.Ba. S.p.a.). L’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentito anche il procuratore degli opponenti, dichiarava l’interruzione del processo.
IX. Con ricorso ex artt. 300-303 c.p.c. depositato in data 11/04/2003 gli opponenti chiedevano che fosse fissata l’udienza per la prosecuzione del processo interrotto e l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), con decreto in data 12-16/04/2003, fissava per la riassunzione del processo l’udienza del giorno 20/10/2003, ponendo a carico dei ricorrenti l’onere di notificare il ricorso ed il decreto alla controparte entro il termine del giorno 31/05/2003.
X. Con comparsa di costituzione e di risposta a seguito di riassunzione depositata in data 20/10/2003 Un.Ba. S.p.a. si costituiva in giudizio e rassegnava le medesime conclusioni già formulate nella comparsa di costituzione e risposta depositata in data 04/12/2000.
XI. All’udienza del giorno 20/10/2003 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti, si riservava e con ordinanza pronunciata in data 23/10/2003 – 05/1 1/2003, a scioglimento della riserva, disponeva c.t.u. contabile (all’uopo nominando il dott. Fe.Re.), rinviando la causa all’udienza del giorno 02/02/2004 per il giuramento del c.t.u.
XII. All’udienza del giorno 02/02/2004 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti e preso atto dell’impedimento del c.t.u., rinviava la causa all’udienza del giorno 19/04/2004 per il conferimento dell’incarico peritale.
XIII. All’udienza del giorno 19/04/2004 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti, conferiva l’incarico peritale al dott. Fe.Re. e rinviava la causa, per il seguito, all’udienza del giorno 12/1 1/2004. Il c.t.u., in data 29/07/2004, depositava il proprio elaborato scritto.
XIV. All’udienza del giorno 15/11/2004 l’Ufficio (in persona del dott. A.Ru.), sentite le parti, rigettava le istanze di provvisoria esecuzione e di ingiunzione avanzate dall’opposta e rinviava la causa, per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del giorno 04/12/2006.
XV. All’udienza del giorno 11/06/2007 (cui la causa giungeva dopo due rinvii disposti ex officio in ragione del collocamento fuori del ruolo organico della magistratura, intervenuto medio tempore, del dott. A.Ru., Giudice istruttore originariamente designato) l’Ufficio (in persona del dott. P.Er., assegnatario del ruolo istruttorio già in carico al dott. A.Ru. in forza del decreto in data 10/05/2007 del Presidente della sezione la civile del Tribunale), sentite le parti, rinviava la causa all’udienza del giorno 18/02/2008 per i medesimi incombenti.
XVI. All’udienza del giorno 18/02/2008 l’Ufficio (in persona dello scrivente, assegnatario tra l’altro, a decorrere dal giorno 03/12/2007, dell’intero ruolo istruttorio già in carico al dott. A.Ru.) rinviava la causa, per i medesimi incombenti, all’udienza del giorno 05/10/2009, all’esito della quale, sentite le parti, il procedimento era rinviato all’udienza del giorno 19/04/2010.
XVII. All’udienza del giorno 19/04/2010 l’Ufficio, fatte precisare le conclusioni, riteneva la causa per la decisione, assegnando alle parti i termini di cui al combinato disposto degli artt. 281 quinquies e 190 comma I c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Motivi della decisione
XVIII. Le questioni preliminari.
L’opposta, con la comparsa di costituzione e risposta, in via preliminare ha sollevato eccezione di nullità della citazione, per mancanza dell’esposizione dei fatti posti a base dell’opposizione e per mancanza di una domanda nel merito, nonché eccezione di decadenza degli opponenti da ogni potere di contestazione, in ragione della genericità delle contestazioni. Le eccezioni non sono fondate.
È noto che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente è attore in senso formale ma convenuto in senso sostanziale, mentre l’opposto è convenuto in senso formale ma attore in senso sostanziale.
Ne consegue che l’opponente ben può limitarsi, con l’atto di opposizione, a contestare genericamente il diritto di credito fatto valere dalla controparte in via monitoria ed a chiedere la revoca del decreto ingiuntivo, posto che incombe all’opposto (attore in senso sostanziale) l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere con il ricorso per ingiunzione di.
A ciò deve aggiungersi che gli opponenti, con l’atto di citazione in opposizione, hanno espressamente e specificamente eccepito l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, l’illegittimità dell’applicazione del tasso di interesse ultralegale (asseritamente mai concordato per iscritto) nonché l’illiceità dei tassi pattuiti (asseritamente così elevati da raggiungere la soglia dell’usura).
XIX. Il merito.
L’opposizione è fondata in minima parte e merita accoglimento solo nei limiti di seguito specificati.
XIX. A. La vicenda contrattuale.
Dalla documentazione acquisita agli atti emerge che nell’estate del 1998 Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr.stipularono con Ro.Ba. contratti di conto corrente e di apertura di credito, le cui condizioni furonopattuite per iscritto ed allegate al contratto.
Il regolamento contrattuale prevedeva (tra l’altro):
– la determinazione dei tassi di interesse creditori (ossia quelli dovuti dalla banca al correntista) edebitori (ossia quelli dovuti dal correntista alla banca);
– la determinazione delle commissioni di massimo scoperto;
– la chiusura contabile dei rapporti di dare e avere, in via normale, a fine dicembre di ogni anno (art. 7 comma I delle norme contenute nel regolamento contrattuale);
– la chiusura contabile trimestrale (alla fine di marzo, di giugno, di settembre e di dicembre) dei conti anche saltuariamente debitori (art. 7 comma II delle norme contenute nel regolamento contrattuale).
XIX. B. Il tasso di interesse ultralegale.
L’art. 1284 comma II c.c. prevede che, qualora le parti non abbiano determinato la misura dell’interesse convenzionale, trova applicazione il saggio legale, determinato annualmente dal Ministro del Tesoro con proprio decreto.
L’art. 1284 comma III c.c. aggiunge che “gli interessi superiori alla misura legale devono essere approvati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”: dunque la forma scritta, nel caso di interesse convenzionale ultralegale, è richiesta ad substantiam, cioè ai fini della “validità” della clausola stessa.
La legge n. 154/1992 e successivamente il D.Lgs. n. 385/1993 (“Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, che ha recepito quasi integralmente la disciplina entrata in vigore nell’anno 1992) sanciscono la nullità delle clausole di mero rinvio agli usi, per la determinazione di tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati, nonché delle clausole che prevedono condizioni più sfavorevoli per i clienti, con un meccanismo di integrazione ex lege della clausola nulla.
Occorre però distinguere due ipotesi diverse: per i contratti conclusi successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 154/1992 (cioè successivamente al giorno 09/07/1992, come nel caso di specie) si applica la disciplina – non retroattiva – degli artt. 4 e 5 della predetta legge, trasfusi nell’art. 117 del D.Lgs. n. 385/1993; per i contratti stipulati prima del giorno 09/07/1992, invece, si applica la disciplina precedente, cioè l’art. 1284 c.c., che prevede per l’appunto, in caso di
mancanza della forma scritta della clausola, l’applicazione del tasso legale.
Affinché il requisito della forma scritta ad substantiam sia rispettato occorre che il contratto bancario preveda per iscritto l’interesse applicabile.
Ciò premesso in punto di diritto, l’Ufficio osserva, in punto di fatto, che i contratti inter partes prevedevano per iscritto gli interessi applicabili, sicché, sul punto, l’opposizione degli opponenti è senz’altro infondata.
XIX. C. Il superamento del tasso c.d. soglia.
Gli opponenti hanno sostenuto che i tassi indicati nei contratti superavano abbondantemente il tasso c.d. soglia, ai fini della legge sull’usura (L. n. 103/1996).
L’eccezione è infondata, atteso che nel terzo trimestre dell’anno 1998 (01/07/1998 – 30/09/1998),epoca di conclusione dei contratti di conto corrente e di apertura di credito, il tasso c.d. soglia, con riferimento alle aperture di credito in conto corrente, era pari al 21,29% per la classe di importo sino a Lire 10.000.000, sicché i tassi pattuiti per iscritto tra le parti erano senz’altro inferiori (come emerge chiaramente dalla documentazione prodotta dall’opposta).
XIX. D. La clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori. L’art. 1283 c.c. recita:”In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.
E notorio come in passato, dal 1952 (Norme Bancarie Uniformi predisposte dall’ABI) fino ad epoca recente, i contratti bancari prevedessero da un lato la c.d. capitalizzazione annuale degli interessi creditori (a favore del cliente) e dall’altro la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (a favore della banca): cioè gli interessi creditori producevano altri interessi (anatocismo) a scadenza annuale, mentre gli interessi debitori, sommandosi al capitale, producevano altri interessi (parimenti anatocistici) a scadenza trimestrale.
Tale distinzione, che determinava un indubbio vantaggio per le aziende di credito a danno dei clienti, nasceva dall’erronea interpretazione dell’inciso “in mancanza di usi contrari” contenuto nell’art. 1283 c.c.: si riteneva cioè che l’anatocismo trimestrale degli interessi passivi costituisse un uso normativo ai sensi degli artt. 1 e 8 delle disposizioni sulla legge in generale, in grado di derogare alla disciplina dell’art. 1283 c.c.
Sta però di fatto che dal 1999 in poi la Suprema Corte, con un vero e proprio revirement giurisprudenziale (pienamente condiviso ed ormai costantemente applicato da questo Tribunale,sicché anche da tale insegnamento non v’è motivo alcuno di discostarsi), ha avuto modo di spiegare come la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi abbia natura pattizia e non normativa, di tal che essa non può essere ritenuta idonea a derogare alla norma imperativa posta dal legislatore nel codice civile. E ciò per tre ordini di ragioni: 1) non risulta che, al momento dell’entrata in vigore del codice civile nel 1942, esistesse, a livello nazionale, un uso normativo di anatocismo trimestrale, mentre, successivamente al 1942, non si sarebbe mai potuto formare un uso contro legem; 2) le raccolte di usi attestanti la capitalizzazione trimestrale degli interessi risalgono, al massimo, al 1952, data di comparsa della suddetta clausola nelle Norme Bancarie Uniformi, contenenti condizioni generali di contratto, quindi norme pattizie; 3) l’uso normativo di cui alle Preleggi è formato da diuturnitas (ripetizione nel tempo di un determinato comportamento) ed opinio iuris ac necessitatis (convinzione da parte dei consociati della doverosità del predetto comportamento), sicché non può certamente affermarsi che l’anatocismo, sebbene ripetuto nel tempo, sia un comportamento avvertito quale doveroso dai clienti degli istituti bancari (al contrario i clienti, notoriamente, non hanno molta forza contrattuale, dovendo semplicemente aderire a condizioni generali di contratto predisposte dalle Banche, tanto che quasi sempre le condizioni predisposte dalle varie aziende di credito sono identiche, o molto simili, fra loro).
Pertanto la giurisprudenza ormai costante, esclusa la natura normativa delle clausole che prevedono una capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e rilevato il contrasto di dette clausole con l’art. 1283 c.c., le ritiene nulle.
Né può essere condivisa la tesi, sostenuta dall’opposta, secondo cui la pattuizione anatocistica degli interessi operanti nel conto corrente bancario troverebbe la sua disciplina non già nell’art. 1283 c.c., bensì negli artt. 1823, 1825 e 1831 c.c., riguardanti l’ordinario contratto di conto corrente, ed in particolare in tale ultima norma, la quale, prevedendo la chiusura del conto con la liquidazione del saldo alle scadenze previste dal contratto o dagli usi ovvero, in mancanza, al termine di ogni semestre, consentirebbe la pattuizione di una clausola anatocistica in deroga al principio generale di cui all’art. 1283 c.c., che invece richiede la posteriorità della pattuizione rispetto al tempo della maturazione degli interessi.
Invero la Corte Suprema ha già avuto modo di chiarire (e anche da tale autorevole insegnamento, che questo Tribunale condivide pienamente, non v’è ragione alcuna di dissentire) l’infondatezza di tale tesi, osservando testualmente: “A tale ricostruzione si oppone però in primo luogo il rilievo che l’art. 1857, relativo alle operazioni bancarie in conto corrente come quelle in esame, nel richiamare alcune disposizioni che regolano il conto corrente ordinario (artt. 1826, 1829 e 1832 c.c.), non indica anche l’art. 1831 c.c. che pertanto deve ritenersi inapplicabile, non condividendosi la tesi … secondo cui una tale omissione sia frutto di “una difettosa dizione normativa”, né l’ulteriore tesi di una sua applicazione analogica. Esclusa infatti la possibilità del ricorso all’analogia in presenza di una norma che disciplina espressamente l’istituto dell’anatocismo, si osserva che questa Corte recentemente ha affrontato anche tale problema, disattendendo la tesi dell’applicazione dell’art. 1831 c.c. al contratto di conto corrente bancario, attesa la sua diversità per struttura e funzione con il contratto di conto corrente ordinario (Cass. 6187/05).
Si è sottolineato, infatti, che la funzione del secondo consiste nella reciproca concessione del credito o, comunque, nella liquidazione per compensazione delle reciproche rimesse, mentre quella del primo (c/c bancario) nella prestazione da parte della banca di un servizio di cassa e di gestione del denaro riconducitele allo schema del mandato senza rappresentanza; inoltre che i crediti annotati sul conto corrente ordinario sono inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto mentre nel conto corrente bancario il credito risultante dal conto è sempre disponibile; ancora nel conto corrente ordinario la compensazione ha luogo solo al momento della chiusura del conto conservando fino a quel momento i contrapposti crediti e debiti la loro individualità mentre nel conto bancario la compensazione fra versamenti e prelievi è immediata ed anzi si esclude che tali operazioni possano integrare una fattispecie compensativa; infine nel conto corrente bancario manca la reciprocità delle rimesse, presente invece nel conto corrente ordinario, oltre che un’attività gestoria che la banca svolge sulla base degli ordini ricevuti dal cliente.
Per quanto riguarda poi l’ulteriore profilo in ordine alla dedotta inapplicabilità dell’art. 1823 c.c. prospettato sul rilievo che tale norma riguarderebbe solo gli interessi corrispettivi e moratori e non già quelli compensativi in cui si identificherebbero quelli di conto corrente, si osserva che – a parte l’uso indiscriminato che a volte viene fatto dei due termini (corrispettivi e compensativi) nonché il fatto che solo l’art. 1499 c.c. (relativo alle obbligazioni del compratore nel contratto di vendita) fa esplicito riferimento all'”interesse compensativo” – non può in ogni caso negarsi la natura corrispettiva degli interessi di conto corrente, rientrando certamente nell’ambito di applicazione del principio in base al quale la utilizzazione di un capitale o di una cosa fruttifera obbliga l’utente al pagamento di una somma proporzionale e cioè corrispettiva al godimento ricevuto”.
Tutto ciò chiarito, resta allora da stabilire soltanto se la nullità della clausola de qua comporti l’applicazione di una capitalizzazione annuale degli interessi passivi (in parallelo con quelli attivi) oppure se nessuna capitalizzazione degli interessi debba aver luogo.
Sebbene parte della giurisprudenza di merito ritenga che la nullità della clausola di anatocismo trimestrale non apra la via ad una sostituzione legale o inserzione automatica di clausole ex art.1374 c.c., la prevalente giurisprudenza, approvata da questo Tribunale, ritiene che gli interessi passivi siano comunque soggetti alla capitalizzazione annuale, e ciò per una molteplicità di motivi:
1) in primo luogo, perché la capitalizzazione annuale è applicata dalla banca in favore dei clienti (e dunque in riferimento agli interessi c.d. attivi); 2) in secondo luogo, perché tale cadenza di capitalizzazione appare conforme alla cadenza annuale degli interessi, prevista dall’art. 1284 c.c.;
3) in terzo luogo, perché l’art. 2948 n. 4) c.c. parifica l’obbligazione di interessi a tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno; 4) in quarto luogo, perché il legislatore, con la legislazione del 2000, ha mostrato un favor per la creazione di una situazione di parallelismo fra interessi a favore del cliente (interessi creditori) ed interessi a favore della banca (interessi debitori).
In definitiva, alla stregua di quanto evidenziato, la clausola di cui all’art. 7 del regolamento contrattuale concluso fra gli opponenti e l’opposta è da considerarsi nulla, perché in violazione dell’art. 1283 c.c.: tuttavia tale nullità, se comporta l’inapplicabilità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, non esclude la capitalizzazione annuale dei medesimi interessi,per le ragioni su esposte.
Ne consegue che, delle varie opzioni di calcolo indicate dal c.t.u., dovrà tenersi conto soltanto di quelle che, previa esclusione della capitalizzazione trimestrale, tengano conto della capitalizzazione annuale degli interessi passivi.
XIX. E. Le commissioni di massimo scoperto.
Gli opponenti non hanno specificamente impugnato l’applicazione, ai rapporti negoziali de quibus, delle commissioni sul massimo scoperto. Ciò, tuttavia, non può significare che tale costo debba essere “automaticamente” conteggiato nel calcolo del saldo debitorio, poiché gli opponenti, con l’atto di opposizione, hanno contestato in foto il credito vantato dall’opposta (comprendente anche le commissioni sul massimo scoperto, oltretutto sottoposte anch’esse – al pari degli interessi – a capitalizzazione trimestrale).
Pertanto, nella risoluzione della presente controversia, va esaminato anche tale aspetto.
La commissione sul massimo scoperto è un istituto che, sotto il profilo causale, non trova una chiara definizione né un inquadramento certo: essa costituisce una pattuizione accessoria a contratti di apertura di credito che si sostanzia in una commissione applicata dalle banche sul massimo saldo negativo di ogni trimestre, quale accessorio che si aggiunge agli interessi passivi.
Secondo una prima opzione interpretativa, tale commissione costituirebbe la remunerazione spettante alla banca per la messa a disposizione in favore del cliente di determinati fondi, per un certo lasso di tempo, a prescindere dalla loro concreta utilizzazione (con conseguente indisponibilità per la banca della somma concessa); in tale ipotesi, quindi, la stessa dovrebbe calcolarsi sull’importo del credito accordato, indipendentemente dall’importo utilizzato. Secondo una seconda opzione interpretativa, la commissione sul massimo scoperto costituirebbe la controprestazione per il rischio crescente che la banca assume in proporzione all’ammontare dell’utilizzo concreto dei fondi messi a disposizione, da calcolarsi sul massimo importo utilizzato in un determinato periodo.
Secondo una terza opzione interpretativa, la commissione sul massimo scoperto sarebbe un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi. La Corte Suprema, di recente, si è pronunciata sulla questione, affermando che la commissione sul massimo scoperto costituisce “la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma” (pare potersi affermare, dunque, che il Supremo Collegio ha avallato la prima delle tre opzioni esegetiche suindicate).
In materia è intervenuto di recente il legislatore, con la L. n. 2/2009 (di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 185/2008, recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”), il cui art. 2-bis (“Ulteriori disposizioni concernenti contratti bancari”) recita testualmente:
“1. Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento. L’ammontare del corrispettivo omnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione. Il Ministro dell’economia e delle finanze assicura, con propri provvedimenti, la vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni del presente articolo.
2. Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Ba.d’I., emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni.
3. I contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell’articolo 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo I settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”.
Ciò premesso, l’Ufficio osserva che nel caso di specie, allo stato, non emerge dagli atti che le commissioni sul massimo scoperto furono applicate dalla banca opposta in modo non conforme alla definizione giurisprudenziale (ossia operando il calcolo non sull’importo utilizzato, bensì su quello messo a disposizione del cliente, oltre il fido concesso, non esistendo per definizione uno scoperto entro il limite del fido e non potendo di conseguenza essere considerata valida, per mancanza di causa, la clausola contrattuale che ponga a carico del cliente il pagamento di una somma, a titolo di commissione sul massimo scoperto, da calcolarsi su fondi che siano stati messi a disposizione entro il limite del fido), sicché non v’è ragione di affermare che la clausola avente per oggetto le commissioni sul massimo scoperto sia affetta da nullità, senza omettere di considerare che detta commissione, non partecipando della natura degli interessi passivi, risulta pienamente compatibile con l’esercizio dell’autonomia contrattuale delle parti ed è, quindi, da ritenersi valida ed efficace qualora sia determinata specificatamente e per iscritto (come nel caso qui in esame) ovvero siano state previste espressamente modalità obiettive e criteri per garantirne conoscibilità e determinabilità.
IX. F. Conclusioni.
Così inquadrati i termini fattuali e normativi della vicenda in esame è allora evidente, tirando le fila sparse del discorso sin qui svolto, come, delle varie ipotesi di calcolo formulate dal c.t.u. nella relazione depositata in data 29/07/2004, debba applicarsi quella (la cui esattezza non è stata minimamente contestata dalle parti, sicché l’Ufficio ritiene di poterla condividere in toto, poiché esente da vizi logici e di metodo, tanto da non essere tenuto ad esporre analiticamente le ragioni del proprio convincimento, rinviando per una più compiuta disamina tecnica alla relazione del dott. Fe.Re., da intendersi richiamata quale parte integrante, ad ogni fine sostanziale e processuale, della presente pronunzia) che prevede la combinazione dei seguenti elementi: A) capitalizzazione annuale degli interessi; B) applicazione delle commissioni sul massimo scoperto.
Pertanto può concludersi senz’altro nel senso che il credito dell’opposta, alla data del passaggio in sofferenza (04/01/2000), ammontava non a Lire 15.279.964 (somma indicata nel ricorso per ingiunzione di pagamento depositato in data 10/02/2000, il pagamento della quale fu ingiunto dal Giudice Delegato dal Presidente del Tribunale di Bari con il decreto n. 481 in data 15-17/04/2000), bensì a Lire 15.156.297 (pari ad Euro 7.827,57).
Consegue a tanto che il decreto ingiuntivo n. 481 in data 15-17/04/2000 del Giudice Delegato dal Presidente del Tribunale di Bari va revocato e che, in ragione della quasi totale fondatezza della domanda proposta con il ricorso per ingiunzione di pagamento (si è già ha ricordato che, nel giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c., l’opponente è attore formale ma convenuto sostanziale e l’opposto è convenuto formale ma attore sostanziale, con tutto ciò che ne deriva anche in punto di regolamentazione delle spese processuali), Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr. vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore di Un.Ba. S.p.a. (già Ro.Ba. S.p.a.), della somma di Euro 7.827,57, oltre interessi calcolati in misura pari al saggio legale a decorrere dal giorno 10/02/2000 – giorno di proposizione della domanda – sino al soddisfo.
XX. Le spese processuali.
La regolamentazione delle spese processuali (liquidate, anche per la fase monitoria, come da dispositivo, tenendo conto del valore della causa ed applicando le tariffe in materia civile vigenti ratione temporis per i diritti e la tariffa in materia civile attualmente in vigore per gli onorari) segue la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. (e, nel caso di specie, non è seriamente discutibile che gli opponenti siano soccombenti, tenuto conto del fatto che il credito accertato nel presente giudizio (Euro 7.827,57) è risultato inferiore di poche decine di Euro soltanto (Euro 63,87) al credito azionato dall’opposta in via monitoria (Euro 7.891,44)).
Per analoga ragione gli oneri peritali, come in atti liquidati, sono posti in via definitiva a carico degli opponenti, in solido tra loro.
XXI. L’esecutività.
La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti, ex art. 282 c.p.c.
PQM
Definitivamente pronunciando sull’opposizione al decreto ingiuntivo n. 481 in data 15-17/04/2000 del Giudice Delegato “dal Presidente del Tribunale di Bari proposta da Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr., con atto di citazione notificato in data 30/05/2000, nei confronti di Ro.Ba. S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, opposizione riproposta da Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr., con ricorso per riassunzione ex art. 303 c.p.c., depositato in data 11/04/2003, nei confronti di It.Ba. S.p.a. (già Ro.Ba. S.p.a.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, ogni diversa e contraria istanza, eccezione, deduzione, conclusione disattesa, così provvede:
1. revoca il decreto ingiuntivo n. 481 in data 15-17/04/2000 del Giudice Delegato dal Presidente del Tribunale di Bari;
2. condanna Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr., in solido tra loro, al pagamento, in favore di Un.Ba. S.p.a., della somma di Euro 7.827,57, oltre interessi calcolati in misura pari al saggio legale a decorrere dal giorno 10/02/2000 sino al soddisfo;
3. condanna Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr., in solido tra loro, alla rifusione, in favore di Un.Ba. S.p.a., delle spese processuali, che liquida, anche per la fase monitoria, in Euro 320,00 per esborsi, Euro 2.887,06 per diritti di avvocato ed Euro 1.674,57 per onorari giudiziali, oltre rimborso forfettario delle spese generali, C.N.P.A.F. ed I.V.A. come per legge;
4. pone in via definitiva gli oneri peritali, come in atti liquidati, a carico di Ca.Gi.Mi. e Lo.Gr., in solido tra loro;
5. dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva per legge.
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