Provvedimento segnalato dall’Avv. Augusto Guerriero del Foro di Napoli
In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, se è richiesta da un creditore di una procedura fallimentare occorre aver riguardo, quale dies a quo, del decreto con il quale ciascuno di essi è stato ammesso, in via tempestiva o tardiva (L. Fall., artt. 97,101 e 99), al passivo. È quello infatti il momento in cui gli stessi subiscono gli effetti della irragionevole durata dell’esecuzione fallimentare nella quale si sono insinuati, rimanendo, per gli stessi, irrilevante, la durata pregressa della procedura, alla quale sono rimasti, fino a quel momento, estranei.
Questo il principio di diritto espresso dalla Corte d’Appello di Napoli, Giudice Antonietta Golia, che, con il decreto del 6 maggio 2020, ha accolto il ricorso di alcuni creditori che chiedevano l’indennizzo per l’irragionevole durata di una procedura fallimentare.
La Corte ha fatto suo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21200 del 27 agosto 2018, con cui è stato abbandonato il precedente orientamento (Cass. Civ., sentt. n. 2013/2017, n. 20732/2011, n. 2207/2010) e ha ribadito che l’eccessiva durata del procedimento deve essere valutata tenendo conto – quale dies a quo – del decreto di ammissione del credito, in via tempestiva o tardiva, al passivo fallimentare. Infatti, secondo il giudice di legittimità, solo dal momento dell’ammissione i creditori, effettivamente riconosciuti tali, subiscono gli effetti della irragionevole durata dell’esecuzione fallimentare nella quale si sono insinuati, rimanendo per gli stessi irrilevante la durata pregressa della procedura alla quale sono rimasti, fino a quel momento, estranei.
La determinazione del dies a quo è questione di fondamentale importanza ai fini dell’indennizzo previsto dall’art. 2 bis della Legge n. 89/2001 (cd. “Legge Pinto”), anche perché è indennizzabile solo il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata e non l’intera durata del processo stesso.
In forza dell’art. 2 bis, comma 1, della Legge Pinto, la somma che il Giudice può liquidare a titolo di equa riparazione non può essere inferiore a 400 euro (valore applicato nel caso di specie) e superiore a 800 euro (salvo le maggiorazioni nei casi previsti dal medesimo comma 1 e le riduzioni elencate dai successivi commi 1 bis ed 1 ter) per ciascun anno, o frazione di anno superiore ai sei mesi, che eccede la ragionevole durata del processo. In ogni caso (art. 2, comma 3), l’importo dell’indennizzo non può superare il valore della causa o, se inferiore, quello del diritto accertato dal giudice (cioè il credito ammesso al passivo).
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